3 aprile 2018

LA MILANO SOGNATA

They have a dream but ...


Nonostante le oltre 300 pagine il DUP (Documento Unico di Programmazione 2018 – 2020) approvato dal Consiglio Comunale del Comune di Milano somiglia a un promemoria sulle cose fatte, non fatte e da realizzare. Può essere un dossier utile per avere un quadro generale sullo stato della metropoli e un’occasione e strumento di discussione e approfondimento. Ma sia i consiglieri sia i mezzi di comunicazione sembrano non avere voglia di parlarne.

06natale13FBIl documento rischia di essere letto come un libro dei sogni, laddove ad esempio si narra di Milano “capitale europea della cultura” e addirittura “alla pari con le grandi metropoli internazionali”. Infatti a questa narrazione non corrisponde una visione generale e una politica strategica di ampio respiro miranti a uscire dalla cerchia dei Navigli o dalla vecchia cinta daziaria e a promuovere una vera “città metropolitana”. Senza disconoscere realizzazioni e contributi condivisibili indicati nel documento, mi soffermerò in questa sede su lacune e limiti che ritengo gravi e preoccupanti.

Si pensa ancora a una crescita urbana “dimensionale e funzionale” tutta interna ai confini comunali. E non si considera che la superficie del territorio milanese di appena 181 kmq, che contiene 1.368.590 residenti (31.12.2016) con un leggero aumento rispetto al 2001 (+ 84.344), è urbanizzata in maniera eccessiva. Si aggiungano i pendolari e si ha una città piena come un uovo! La superficie del Comune di Milano è meno del 10% di quella metropolitana (comprensiva di Monza) che si estende per 1.982 kmq. A me sembra quindi davvero sbagliato pensare e perseguire una politica di crescita che vorrebbe portare la popolazione dell’attuale Comune di Milano a 1.418.268 nel 2025. Questa mania di “grandezza” milanese impedisce di pensare in termini di area vasta e policentrica e di distribuzione equilibrata di risorse e di attività, di centri culturali e relazionali e quindi anche di sviluppo demografico sostenibile.

Mentre si fa nel documento l’elenco degli accordi di programma sui megapiani di sviluppo urbanistico, di cui molti risultano in crisi o in ritardo, bloccati o addirittura falliti, si punta ancora una volta sulla “priorità ai grandi progetti” prevalentemente di crescita edilizia (area post-expo, scali ferroviari, navigli), senza riflettere sul grande spreco di risorse finanziarie, progettuali e professionali che potrebbero essere impiegate su progetti meno faraonici, anche piccoli, ma diffusi sul territorio, di qualità e bellezza: criteri questi ultimi che dovrebbero improntare anche la riqualificazione delle aree citate in parentesi.

A me sembra si sottovaluti la gravità delle pessime condizioni ambientali ed ecologiche di Milano e della sua area metropolitana, che costituiscono un serio pericolo alla salute delle persone e un vero persistente ostacolo allo stesso sviluppo economico e culturale, civile e sociale. Infatti non viene indicata come “tematica generale” (che pure sono ben 14!) quella ambientale e non si definisce come assolutamente prioritaria una conseguente politica di disinquinamento e bonifiche, di interventi urgenti e radicali per ridurre drasticamente inquinanti e polveri sottili e per salvaguardare un bene primario come l’aria che si respira.

Sempre nella sezione operativa delle “tematiche” manca la povertà, che è in aumento allarmante anche a Milano e in Lombardia – e non solo nel sud e nel resto del Paese. Milano è la città in cui la ricchezza si concentra maggiormente e sempre di più in poche mani. E si stratifica anche territorialmente: il centro è tre volte più ricco della periferia! Nei rapporti della Caritas ambrosiana si registra una preoccupante crescita di persone che si rivolgono ai suoi centri. Non solo immigrati ed emarginati, ma è in crescita il numero dei milanesi doc che si impoverisce e chiede aiuto. In testa le donne, di famiglie divise o sole. Non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese a causa di: mancanza di lavoro e/o reddito insufficiente, affitti insostenibili, mutui che non si riescono a pagare, sfratti… Da un trentennio non esiste una politica sociale per la casa.

Appena l’8% del patrimonio immobiliare è costituito da alloggi popolari, rispetto al 16% della media europea! Non basta dedicare la “tematica” n. 5 alla “Milano solidale” e teorizzare un welfare che si basi sulla collaborazione pubblico/privato e sul cosiddetto terzo settore “alleato fondamentale” nell’erogazione dei servizi sociali, e disquisire su “misure di sostegno al reddito per l’inclusione” che rimangano sulla carta. Occorre ripensare e promuovere a livello locale, senza aspettare il Godot dello Stato centrale, interventi pubblici efficaci di giustizia sociale e di redistribuzione della ricchezza e di accesso gratuito ai servizi essenziali.

Sul piano istituzionale e sulle forme di governo locale davvero decentrato e partecipativo, si continua a violare la Costituzione: a non attuare l’art. 5 (“il più ampio decentramento amministrativo” e l’adeguamento della legislazione alle “esigenze dell’autonomia e del decentramento”); a non rispettare e rendere operativo il Titolo V, in modo particolare l’istituzione delle Città Metropolitane come Enti di governo territoriale sovra-comunali e intermedi e l’ultimo cv. dell’art. 118 (“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”).

Il processo di decentramento e democratizzazione dello Stato a favore della Repubblica dei Comuni e delle Città si concretizzò nel 1990 con la L. 142 che però non venne mai integralmente attuata. In quella legge si prevedeva l’abrogazione delle province e il superamento dei capoluoghi, da scomporre in più comuni, delle aree metropolitane. Dalla fine del secolo scorso ad oggi è prevalsa una linea politica trasversale di accentramento e una legislazione tendente a ridurre l’autonomia e le risorse degli Enti locali, fino ad arrivare alla L. 56/2014 che abolisce addirittura il diritto di eleggere consiglieri e presidente di Province e Città metropolitane, violando il diritto di voto e la pari dignità dei comuni dei territori metropolitani che prevedono l’automatica nomina del sindaco del capoluogo a sindaco della città metropolitana.

Nel paragrafo “Città metropolitana e decentramento” della 14° “tematica” del DUP, non si fa alcun passo in avanti per proporre una reale politica di decentramento e per fare una proposta (pure possibile nelle pieghe della stessa legislazione vigente) che vada concretamente nella direzione di promuovere e realizzare la Città Metropolitana Milanese, che richiederebbe l’abolizione del “grande” Comune unico di Milano e dei “municipi” (che non esistono in Costituzione). Questi ultimi non hanno poteri effettivi di governo sul loro territorio, svolgono un ruolo precipuo di “sportelli” di Palazzo Marino quali erogatori di fondi e semplici presidi dipendenti dal centro. Sono invece da sostituire con veri e propri Comuni dentro un sistema equilibrato di Città e Comuni dell’area metropolitana.

La questione viene liquidata, sempre nel DUP, con affermazioni generiche che lasciano le cose come stanno e non contribuiscono a sbloccare la situazione di dominio dei Capoluoghi e, nel nostro caso, della “Grande Milano” -in quanto Palazzo Marino- sugli altri comuni dell’area, e del “Grande Centro” sulle periferie. Infatti si leggono petizioni di principio come: “Lo sviluppo della Città Metropolitana, che conta oltre 250 mila imprese attive, è fondamentale per la ripresa dell’Italia intera […] Dobbiamo fare della Città Metropolitana un luogo di elaborazione strategica delle funzioni fondamentali: mobilità, sviluppo economico, ambiente, pianificazione territoriale, investimenti in infrastrutture.”.

Come è possibile tradurre in atti politici ed amministrativi le precedenti affermazioni se il potere, gli strumenti finanziari e le società partecipate ecc. rimangono nelle mani dei Capoluoghi?

Giuseppe Natale

 

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