13 marzo 2018

la posta dei lettori_14.03.2018


Scrive Elena Morgante a proposito del Pd – Caro Direttore, appena dopo le elezioni ho sentito in TV un deputato del PD affermare, con rammarico, in estrema sintesi, che il risultato elettorale non ripagherebbe “tutto quello che il suo partito ha fatto per gli italiani”. In merito vorrei sollecitare qualche spunto di riflessione su ambiti dei quali non si parla sovente, tanto meno in campagna elettorale. Sono parole che si sentono spesso pronunciate in alcuni ambiti locali, v. gli interventi sulle famiglie in difficoltà da parte dei Servizi preposti, anche nella nostra città.

La frase riportata mette a fuoco che, forse, il problema è proprio questo e il post elezioni lo deve tenere bene a mente: esiste un paese reale; esistono bisogni delle persone; esiste un bene rispondente alle persone, di diversa estrazione, nazionalità, cultura e ceto sociale a cui bisogna rispondere e corrispondere in modo rispettoso della individualità, della personalità, della libertà , del pluralismo secondo criteri di proporzionalità , adeguatezza, beneficità e consenso informato e, soprattutto, senza prescindere dalla percezione che gli utenti destinatari hanno delle varie iniziative; percezione che non può più venire falsata anche da un giornalismo che più che riportare fatti, fa sempre di più lui stesso politica.

Detto questo: il PD si è chiesto se la maggioranza degli italiani voleva il divorzio breve? Se voleva la legge sul fine vita? se voleva la legge sulle unioni civili? Ecc. ecc. Oppure la volevano solo le minoranze che gli strizzavano l’occhio? Si è chiesto se, ad es. gli interventi di “tutela minori” e sulle famiglie in difficoltà (anche tramite i servizi sociali) così come li ha sostenuti vanno bene agli italiani?

Il timore è che, sino ad oggi, si siano seguiti protocolli secondo una idea di bene per l’altro, invero, all’altro imposta dalle élite intellettuali, senza di questo altro concreto e reale, tenere minimamente conto, presi come si è stati nel seguire la propria idea di bene secondo i propri schemi soggettivi…

E così anche sul tema dell’immigrazione: ci sono persone che vivono da 7,8 10, 12 e più mesi in strutture in attesa di cosa? Con quali prospettive di futuro, qui da noi o altrove? Nessuno si è posto il problema dei costi di tale assistenzialismo, spesso utile ad offrire a noi italiani dei posti di lavoro che, non solo non è sostenibile nel presente, ma per di più non offre alla maggioranza di questi stranieri alcuna prospettiva di futuro.

Dunque il problema da riporre al centro è questo: quale criterio mi guida nel fare il bene e del bene? Qual è il bene dell’altro? Non bastano le mie soggettive intenzioni in tale direzione, essendo necessario che tale venga considerato soprattutto dai destinatari del mio operato. Come per le cure mediche: una cura è cosa buona se il malato guarisce, o, quanto meno, se lo stesso riferisce che, con quella cura, è stato meglio.

Il PD, i suoi pensatori ed i suoi seguaci, invece, seguendo logiche che sembrano riportare indietro nel tempo, dapprima si è presentato come “depositario” contro gli altri di nobili ideali e valori, ma poi è finito per assolutizzare la sua unilaterale e soggettiva idea di “bene”, variamente declinata, e non si capisce più sulla base di cosa ispirata e fondata, ritenendola unilateralmente valida per tutti solo perché espressione delle sue buone intenzioni nell’attuarla. Ma all’Italia ed agli italiani destinatari di tutto ciò, sia a livello generale, sia soprattutto, a livello locale, questo approccio sembra non corrispondere né bastare più.

 

Scrive Roberto Alfonsi -Buongiorno, in un passato, accadde un fatto: mare mosso e un bagnante imprudente stava annegando, la gente guardava da riva incerta e dubitosa, un giovane si butta in acqua, certo a suo rischio, afferra il bagnante e lo salva. Applausi e pacche sulle spalle. Il giorno dopo il bagnante si trova delle ecchimosi, sei graffi e si lamenta per la “brutalità” del salvataggio, e molti gli danno ragione, molti erano di quelli che titubavano sulla riva. Criticare dopo è accettabile solo se la prudenza delle parole è pari all’irruenza giovanile ma salvifica. Purtroppo o per fortuna, il PD non è più il PCI, né più lo sarà, sarebbe un anacronismo, visto che tutt’attorno è cambiato il mondo. Il mondo politico italiano di oggi è ancora pieno di reducisti dei vecchi partiti e delle vecchie idee. Non parliamo di rifondare, occorre studiare  i problemi  dell’Italia e degli italiani in Europa e nel mondo, occorre realizzare sulla base di tempistiche idonee alle moderne tecnologie, occorre spendersi con l’entusiasmo di Renzi, con la prudenza attiva di Gentiloni, Con le competenze dei vari esperti della cosa pubblica, con le filosofie di fondo di un Cuperlo: a ognuno il suo ruolo, cosa che in Italia d’abitudine si dimentica, assoggettati a vincoli apragmatici e variamente clientelari o correntizi.

La percentuale della sconfitta comincia da lontano, da molto lontano, con continui tentativi di galleggiamento ma senza “il cambiamento” dato da una produzione politica nuova. Il movimentismo dei vari Grillo, Di Maio, Di battista, ecc., con il cambiamento dei ruoli, le entrate-uscite dal proscenio hanno creato un obiettivi difficile da colpire. A questo aggiungiamo che hanno parlato alla pancia del paese ottenendo risultati, oggi, che domani saranno borbottii e gorgoglioni.

 

Scrive Antonella Nappi – Caro Consonni, la sicurezza del verde non può essere fattore morfologico ma è fattore economico e sociale, meglio un investimento in vigili che il disegno della città. Verde in cui sperdersi non è solo un desiderio dei criminali ma anche dei cittadini che non hanno seconda casa; né automobile, in futuro si spera. Diamo sicurezza al verde, verde, verde, con le guardie ben pagate e ben disposte!

 

Scrive Marcella Silvani – Concordo pienamente con l’analisi di Giuseppe Uccero, il PD Alla fine sotto la gestione Renzicentrica che ne ha snaturato proprio l’anima e il dna è risultato una maionese impazzita dove l’amalgama delicato tra diverse componenti non è riuscito grazie al fatto che la mano del “Cuoco” è stata assolutamente inadatta a formarla. Anzi peggio a fatto impazzire quella che già era stata fatta. Ma,mi chiedo,e tutti gli altri dirigenti che più o meno hanno assistito al tracollo alzando ogni tanto il ditino per ,con molta cautela ,dire che si stava sbagliando e per poi ritrarsi dalla battaglia politica? Qualcuno oggi avrà il coraggio di assumersi delle responsabilità? Ho poche speranze se i nomi sono Martina e company. Grazie per l’ascolto.

 

Scrive Vito Antonio Ayroldi – Caro Marossi, sarà forse pure vero che la Lombardia è una estensione geografica cisbavarese, ma le ragioni della ennesima sconfitta giungono dal passato prossimo non da quello remoto. Nella scorsa legislatura complice la pessima amministrazione del “celeste” si aveva la possibilità concreta d conquistare la Regione. Cosa si è fatto? Si è cincischiato sino all’ultimo minuto denunciando una assoluta impreparazione ad un evento che giungeva a scadenza regolare, per poi sterzare su un improbabile candidato da “quadrilatero della moda” con ascendenti monarchici, sconosciuto persino nella periferia meneghina figurarsi in quel contado che tanto sta a cuore al sempre ottimo Direttore. E si è perso contro un cdx spaccato in tre. Un record quello sì, storico!

E le elezioni assomigliano agli sport di rimbalzo come il tennis, non c’è la possibilità di ricontrollare la palla dopo uno sbaglio come non si possono cambiare le candidature. Chiuse le urne l’errore si paga, caro e subito. Ma siccome a sx amiamo farci del male possiamo aggiungere che il candidato sconfitto ha dato prova di se non riuscendo a organizzare la benché minima opposizione ad una amministrazione che sconcezze, gravi, ha continuato a farne anche più priva, senza incontrare opposizione. Non in consiglio figurarsi sul territori.

Consiglio di riprendere in mano un buon rasoio. Consiglio quello di Occam. Per tranciare gli alibi storicisti è formidabile.



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