27 febbraio 2018
Dario Tuorto
L’ATTIMO FUGGENTE
Giovani e voto in Italia, tra continuità e cambiamento
Il Mulino, Bologna, 2018
pp. 207, euro 18,00
È Dario Tuorto, professore associato nel Dipartimento di Scienze dell’Educazione “Giovanni Maria Bertin” dell’Università di Bologna, a parlare di un grande tema: gli effetti politici del ricambio generazionale.
La partecipazione al voto è un indicatore del funzionamento della vita democratica. Con l’affermarsi di un “partito degli astensionisti” viene da pensare che la democrazia non sia più un fine, ma un argomento di crisi. La delusione della gestione politica degli ultimi decenni è talmente radicata nella coscienza degli italiani, che chi ha diritto di voto è solito rifugiarsi in scuse, ben sapendo che l’astensione ad esprimere il proprio pensiero è una prova di indifferenza, mancanza di carattere.
La pluralità di motivazioni che astiene il cittadino dal voto ha origini diverse: dalla rabbia al rifiuto o dall’apatia al disinteresse. Il “non so chi votare, tanto non cambia niente” sembra la giustificazione più diffusa. Oltre a quella che “nessuno merita il mio voto”. I non votanti hanno minore interesse per la politica, hanno poche informazioni e sono convinti di non riuscire a influenzare le scelte del governo. Qualsiasi origine abbiano tali motivazioni hanno un solo punto di convergenza: non andare alle urne. Tale comportamento non potrà mai apportare cambiamenti al sistema politico che continuerà a funzionare più o meno come prima. E, forse, darà valore all’elogio di Winston Churchill, per cui la democrazia sarebbe “la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre che si sono sperimentate finora.”
Dall’attenta analisi di Tuorto sappiamo molto sugli astensionisti italiani. In linea di massima, le persone con livello di istruzione medio alto e con un reddito buono votano più delle persone meno istruite e con basso reddito o disoccupate. Nel passato, gli uomini votavano di più delle donne. Oggi i dati ci sorprendono, perché sono le donne delle fasce d’età tra i 18 e i 30 anni a votare di più rispetto ai loro coetanei maschi. Tra le varie ragioni, le giovani donne hanno maggior interesse a tutelare i loro interessi, a seguito delle discriminazioni di genere, di reddito e di condizioni di vita. La crisi della partecipazione interessa più i giovani adulti (nella fascia di età tra 25 e 30 anni) che i giovanissimi. Questi risultati, segnalati dalla ricerca di Tuorto, richiamano questioni più ampie che riguardano la struttura socio-economica del nostro paese, il rapporto tra gruppi di potere e categorie più o meno marginali.
I giovani sono attirati dai leader e meno dai contenuti dei programmi dei partiti. Questo perché solo occasionalmente i programmi fanno riferimento ai giovani. Nelle ultime elezioni hanno assunto rilevanza i temi economici, la precarietà, il difficile inserimento nel mercato del lavoro. Non può funzionare una proposta politica in cui il richiamo ai giovani è meramente strumentale a un’idea di cambiamento elaborata da altri e che non coinvolga il loro mondo. Sarà dunque compito dei partiti riuscire a produrre effetti reali favorendo processi autonomi, sui temi e con le modalità più vicini ai giovani.
Cristina Bellon
Questa rubrica è a cura di Cristina Bellon
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