31 ottobre 2017

la posta dei lettori_01.11.2017


Scrive Giuseppe Ucciero sulla riapertura dei Navigli – Sull’ultimo numero di ArcipelagoMilano il professor Roberto Camagni mi gratifica di una polemica scomposta quanto immotivata. A dire il vero, l’incipit preoccupava, ma scorrendo il testo l’umore mi si faceva sempre più lieve, fino a sentirmi del tutto sollevato. In fondo, di cosa mi accusa effettivamente l’illustre accademico?

Di aver affrontato il tema della “Riapertura dei Navigli” privilegiandone (e dichiarandolo) gli aspetti relativi all’impatto economico, di aver segnalato la questione della “rendita immobiliare” e infine di aver suggerito una valutazione dell’opera negli scenari milanesi attuali e futuri.

Davvero, non mi riesce di comprendere come tutto questo possa aver scombussolato il sereno aplomb dello studioso fino ad addebitarmi nientemeno della lesione del carattere aperto e informato del dibattito.

Intendiamoci, i progettisti possono ben ritenere che l’opera debba essere discussa solamente dal punto di vista delle finalità ambientali in favore dei cittadini, ma non vedo proprio come, in una logica di dibattito aperto, non sia ammissibile e a pieno titolo anche un punto di vista che ne integri la valutazione con argomenti economici e di sviluppo territoriale.

Non stiamo parlando di una pista ciclabile da qualche milione, ma di una imponente opera che impatta profondamente sulla città nei prossimi decenni. Che poi la gran parte delle aspettative economiche si fondi sull’incremento atteso del valore immobiliare degli edifici insistenti nell’intorno dell’opera, e che questo fenomeno si chiami “rendita immobiliare” non vedo come possa far stizzire il nostro critico che invece, impugnata la penna blu, afferma che questo “non coglie la vera logica del metodo utilizzato”. Sarà, ma mentre si effonde nelle argomentazioni tecniche, alla fine compare dispettosa, malgré lui, l’espressione da lui stesso incriminata: “incremento della rendita immobiliare”. Ma questo è esattamente quanto indicavo nel mio contributo.

E che si tratti, come è chiaro a tutti, di rendita attesa, di riflesso sulle singole proprietà private dell’incremento della qualità territoriale di un’area urbana e del metodo “econometricamente misurabile” della comparazione tra immobili in vista d’acqua e quelli che non ne godono, non sposta la vera questione di un millimetro: il risultato finale “in termini economici” consisterà in un rilevantissimo aumento del valore immobiliare dei privati interessati.

Nella logica economica del progetto, questo ne forma la principale risultante, tant’è che viene espressamente rivendicata dai progettisti Boatti e Prusicki. Non sarà nelle loro attese il principale obiettivo, ma certo ne forma il principale risultato economico atteso e quindi, ribadisco serenamente, “l’opera lavora per la rendita immobiliare”. Se scriverlo apertis verbis urtica o ferisce, me ne dispiace ma non per questo cambiano fatti e valutazioni.

Dopo avermi dato dell’ignorante, mi illudo nel senso della “persona che ignora tecnicamente un argomento”, il professore apostrofa infine come retorico l’interrogativo circa il contributo che la “riapertura dei Navigli” apporterebbe alla “competitività economica dell’area milanese”. Infatti a suo dire, il problema neppure si pone, data la finalità principalmente non economica del progetto, scambiando deliberatamente, tale è la topica, finalità con effetti.

Personalmente, ritengo che un tale investimento pubblico debba essere valutato “anche” da questo punto di vista, e non credo davvero che la domanda sia retorica o secondaria, né che introduca profili scorretti e fuorvianti al dibattito, a meno che non si ritenga da “maleducati” il semplice dissentire, nel qual caso mi prendo volentieri anche questo titolo dopo quello di ignorante, lasciando ad altri la facoltà di immaginarsi in quello di scolastico arrogante.

Scrive Pier Giorgio Righetti sulle periferie – Ho conosciuto Franca Caffa quand’ero giovane ricercatore all’Università di Milano (Facoltà di Agraria) dove pure Caffa era all’epoca segretaria del mio “boss”. Boss democratico che, visto che non portavo rispetto ai baroni (ero appena rientrato dopo quattro anni in America e non potevo capire come mai l’università fosse colonizzata da questi baroni, spesso ignoranti e prepotenti) aveva subito scritto una lettera al Rettore per farmi licenziare in tronco. All’epoca si poteva! Quanto Franca ha scritto mi ha commosso parecchio e il suo stile è inimitabile. Suggerisco che scriva un libro su queste tristi storie di periferie di gente ferita nell’animo. Brava, Franca, continua così!



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