24 ottobre 2017

la posta dei lettori_25.10.2017


Scrive Giovanni Cornaggia Medici sul referendum per l’autonomia – Leggendo l’articolo di Luca Beltrami Gadola e quello di Giuseppe Natale su ArcipelagoMilano mi sono posto alcune domande sull’atteggiamento degli autori e in generale di chi si trova davanti un referendum, o meglio una consultazione popolare di qualsiasi tipo, da quelle nel condominio o a scuola a quelle con contenuto più amministrativo e politico nazionale.

Come Beltrami Gadola, anch’io mi sono chiesto se e come partecipare a una chiamata di parte, palesemente impostata da regioni più ricche, o meglio più storicamente produttive, messa in atto per far capire che dovrebbero essere prese in considerazione le differenze economiche: che dovrebbe, come in un’azienda, essere maggiormente premiato chi riesce a fornire risultati misurabili di efficienza ed efficacia.

Poi mi sono risposto che, da cittadino facente parte di una comunità più o meno allargata, ogni volta che mi chiedono un parere mi sento di darlo e partecipare, tanto più che proprio da cittadino, come molti, sono stufo di lamentarmi delle decisioni di rappresentanti politici che neppure conosco e per molto tempo non ho avuto la possibilità di scegliere personalmente per poi gioire o pentirmi. Mi piace dire NO o dire SÌ, accettando le conseguenze.

Ogni volta che un referendum non ha raggiunto il quorum mi sono sentito come tradito dall’indolenza tutta italiana, da quella tendenza alla critica per tenersi, come si dice, più porte aperte o i piedi in due barche, perché è pressoché impossibile per l’italiano accettare il desiderio della maggioranza, perché la sindrome not in my back yard non è una malattia, è una nostra caratteristica genetica anche se espressa in lingua inglese. Non mi si deve toccare il portafoglio, che è l’espressione più certa del mio privato, devo portare risultato a me, alla mia fazione, al mio partito. Non allarghiamo di più.

L’atteggiamento proprio in questi tempi si è palesato sia per l’argomento immigrazione sia per quello della legge elettorale. Mi accorgo che i commentatori e i giornalisti pongono l’accento sulla validità dei quesiti, sulla regolarità del mezzo partecipativo, sul costo dell’operazione, come ragioni più importanti del valore della risposta a un quesito stesso. Quest’ultimo potrà essere imbecille, ma è stato posto da una parte politica, apparentemente eletta democraticamente e senza illegalità, e ad esso bisogna rispondere NO o SÌ.

Quanti quesiti imbecilli o difficilmente comprensibili ci sono stati posti in passato? Quanti soldi sono stati spesi senza nemmeno la giustificazione di una partecipazione sufficiente? Quanti hanno avuto un esito successivamente stravolto?

Per il sottoscritto partecipare è doveroso, come esprimere il proprio diniego o il proprio favore per qualsiasi motivo; oppure con la scheda bianca accettando, per umile incapacità nel discernere, la volontà degli altri. Tutto il resto, mi si perdoni il modo di pensare lombardo, è strategia volta a un risultato mediato che si preferisce ma non si ha il coraggio di esprimere, perché vorrebbe dire essere di parte. Preferisco chi per futili o poco intellettuali ragioni vota NO o SÌ, ma si reca a votare.

Preferisco Sala e Gori e li rispetto non come uomini facenti parte di uno schieramento o di un partito, di una destra o di una sinistra, concetti non più illuminanti, ma come uomini che si esprimono senza paura di essere etichettati. Liberi.

Scrive Matteo Galli sul referendum per l’autonomia – Caro Direttore, ho letto il suo scritto sul referendum. Mi sembra un’analisi perfetta sulla quale concordo pienamente. La ringrazio molto. Le porgo il più cordiale saluto.

Scrive Luca Vinti sulle periferie – Vorrei aggiungere una riflessione all’interessante articolo di Ilaria Li Vigni quale Presidente dell’Associazione Confederazione Cittadinanza Consapevole di Milano, nonché socio di Labsus (Laboratorio per la Sussidiarietà).

Il tema sull’utilizzo dei beni confiscati alle mafie, di cui la Lombardia primeggia appena dopo le regioni dove la criminalità organizzata è storicamente radicata, deve essere di massima diffusione e interesse, a maggior ragione per quanto di buono, grazie al “Regolamento per l’Amministrazione Condivisa dei Beni Comuni”, realizzato da Labsus e messo a disposizione per tutti i Comuni d’Italia, già approvato ed utilizzato in quasi 200 tra questi.

Molti dei progetti realizzati al Sud hanno avuto quale “base operativa” la concessione di un bene confiscato alle mafie. Sono nati progetti, attività, start-up e altre bellissime iniziative, spesso con i giovani quali protagonisti. uesto “Regolamento” è in naftalina nei cassetti del Sindaco anche se grazie al nostro assessore Lipparini la speranza che arrivi in aula in tempi decenti per l’approvazione è credibile (è nel programma della lista Beppe Sala Sindaco).



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