4 ottobre 2017
Francesco Caringella
10 LEZIONI SULLA GIUSTIZIA. Per cittadini curiosi e perplessi
Mondadori, Milano, 2017
pag. 135, € 17,00
Ci eravamo abituati alla schiettezza di Francesco Caringella, già commissario di polizia e magistrato penale a Milano durante «Mani pulite», e presidente di Sezione del Consiglio di Stato. Alla sua capacità di interpretare i fatti, come nel saggio La corruzione spuzza, scritto a quattro mani con Raffaele Cantone. Ma ora arriva in libreria 10 lezioni sulla giustizia, una profonda riflessione su cos’è la giustizia, in tutte le sue declinazioni.
Come dice l’autore, ogni libro ha la sua storia. Una storia fatta di sentimenti e di esperienze di chi scrive. Come il ricordo di quando Caringella era un giovane giudice a latere della Corte d’Assise e osservava gli occhi pieni di terrore e, nello stesso tempo, di speranza dell’imputato, in attesa della sentenza. “Lo sguardo di un essere umano rivolto un altro essere umano che aveva il potere di annientarlo o di salvarlo”. In quel momento all’autore vennero in mente le parole di suo padre: “Per giudicare un uomo, bisogna capirlo”.
Ed è proprio su questo punto che la giustizia da “uguale per tutti” diventa personalizzata. Perché a parità di fatti, di prove, di leggi, molti giudici approdano a decisioni non solo diverse, ma del tutto opposte. Sicuramente ognuno di noi si è già posto questo quesito, esattamente come lo ha fatto la madre di Caringella, alla cui memoria il libro è dedicato.
Il viaggio disincantato nel sistema giudiziario sui limiti e vizi di chi è chiamato a giudicare nei tribunali, sull’ipertrofia legislativa, sulla lentezza della macchina giudiziaria ci porterà a capire, lezione dopo lezione, che un processo, come quello italiano, che ha tre gradi di giudizio, è un “rito” che vede protagonisti gli uomini, con tutte le imperfezioni e i difetti. “I giudici non sono angeli salvifici, pedagoghi illuminati o filosofi con la verità in tasca”.
Dal primo incarico da magistrato dell’autore a oggi, la corruzione si è meglio organizzata. È capace di intrecciare alleanze opportunistiche con la criminalità. Dove non ci sono giri di denaro, ma baratti di piaceri e favori. Dove il vantaggio del singolo si antepone alla bellezza dello stare insieme.
È assurdo pensare che una toga, anche se indossata bene, possa contrastare la malattia di vivere, che ha origine dal nostro egoismo e delle malsane relazioni tra noi e gli altri, soprattutto quando la legislatura non semplifica, ma complica la quotidianità dei cittadini, ingrassando di inutili commi i già complessi articoli dei Codici.
Se allora il mondo non dà segni di cambiamento, bisogna cambiare la visione del mondo. La magistratura non può essere l’unico imputato in questo processo.
Cristina Bellon
questa rubrica è a cura di Cristina Bellon