12 settembre 2017

CITTÀ METROPOLITANA: GLI ULTIMI PERCHÉ

Risuscitare il passato?


Due articoli comparsi sul Corriere della Sera rispettivamente giovedì 8 giugno e mercoledì 5 luglio, firmati entrambi dal giornalista Gian Giacomo Schiavi, mettono in dubbio la utilità della Città Metropolitana e suscitano molte perplessità sullo scopo che essa può avere. Nel secondo dei due articoli si afferma esplicitamente che “la crisi della Città Metropolitana è un dato di fatto”.

09gardella29FBDel resto i difetti contenuti nella Legge Delrio (n. 56/2014) con la quale vengono istituite le Città Metropolitane erano già stati rilevati; ed erano state abbondantemente criticate anche le gravi incongruenze e carenze contenute nella Legge. Su ArcipelagoMilano da più di due anni escono articoli riferiti agli svantaggi e vantaggi della Legge senza che si sia giunti ad un chiaro e definitivo giudizio di approvazione o di condanna.

Il fatto stesso che si sia ancora così confusi e incerti sta a significare che la Legge non ha saputo risolvere il problema; e forse sta anche a dimostrare che la Città Metropolitana è divenuta col tempo un falso problema, o meglio un problema non più attuale.

Limitiamoci a considerare la Città Metropolitana di Milano, e tralasciamo le altre tredici individuate sul territorio nazionale. Tra i punti più controversi e sconcertanti se ne ricordano alcuni:

a) Se vi è coincidenza fra confini della Città Metropolitana e confini della Provincia, non ancora abolita, di sicuro si profila una evidente sovrapposizione di ruoli, di competenze, di funzioni: quale dei due Enti avrà il diritto di prevalenza?

b) La nomina del Sindaco Metropolitano non avviene attraverso una elezione democratica ma con un atto di autorità: Sindaco metropolitano diventa d’ufficio il Sindaco del Capoluogo. Perché mai? Se tra i sindaci dei Comuni che partecipano al Consiglio Metropolitano vi è una persona capace e preparata; e se al contrario il Sindaco del capoluogo è inetto e inefficiente – come purtroppo si è constatato con amarezza a proposito degli ultimi sindaci milanesi -, perché non poter eleggere il primo e scartare il secondo?

c) Le elezioni del Consiglio Metropolitano non sono estese ai cittadini dei Comuni che appartengono alla città metropolitana ma sono riservate esclusivamente ai Sindaci e ai Consiglieri Comunali inviati dai vari Comuni di appartenenza all’ambito metropolitano. Il pericolo di pressioni, manovre, alleanze sottobanco condotte dai vari partiti politici è evidente e indubbio. Coloro che amministrano la Città Metropolitana in realtà non rappresenteranno né difenderanno il bene della popolazione ma favoriranno gli interessi e le mire dei partiti e dei gruppi a loro collegati. Quale garanzia democratica sapranno assicurare ai cittadini?

d) Oscuri, mal definiti, imprecisati sono i compiti assegnati alla Città Metropolitana: tra i primi compiti è indicata la pianificazione territoriale. Parola vaga, indeterminata, generica; parola che viene usata d abusata nell’elenco dei compiti di tutti gli Enti politico-amministrativi operanti nel nostro Stato; dai piani urbanistici degli Enti più piccoli come il Governo del Territorio di competenza dei Comuni, ai piani più grandi di competenza delle Regioni, passando attraverso i piani delle Province e ora aggiungendo anche i piani delle Città Metropolitane. Non diventa uno spettacolo ridicolo – se non fosse in realtà allarmante – questo sovrapporsi di molteplici pianificazioni gestite da tanti Enti tutti diversi tra loro ma tutti competenti sullo stesso territorio?

e) Se i confini della Città Metropolitana coincidono con i confini della Provincia di Milano occorre far notare che sono confini ridicolmente stretti. I rapporti economici, commerciali, professionali, culturali che Milano da sempre ha intrapreso con il territorio circostante toccano località ben più lontane di quelle contenute entro i confini della sua Provincia; si estendono, raggiungono e superano altre province della Lombardia; escono dai confini della Regione, si spingono addirittura all’estero; diventano rapporti e contatti interprovinciali, interregionali, internazionali. Chi può negare che la città di Lugano non rientri nelle località con cui Milano mantiene rapporti stretti e costanti?

Nell’articolo del Corriere dell’8 giugno si fa rivelare come la dimensione della Città Metropolitana di Milano, equiparata a quella della Provincia, sia troppo poco estesa per giustificare la creazione del nuovo Ente Territoriale. Si fa anche notare che l’idea di Città Metropolitana non consiste solo nel cambiare nome alla Provincia ma nell’organizzare una istituzione trans-provinciale.

Se le dimensioni di Milano sono insufficienti e troppo poco estese per giustificare la creazione di una Città Metropolitana, e ciò vale anche per Roma, che dire allora delle città più piccole, come le altre dodici già scelte e destinate ad assumere il rango di Città Metropolitana?

f) La Città Metropolitana dovrebbe sostituirsi alla Provincia pertinente al Capoluogo della Regione. Sorge un dubbio: dove non vi sono le condizioni per creare una Città Metropolitana quale organo intermedio verrà istituito tra Comuni e Regione? Quale Ente interverrà in sostituzione delle Province una volta che queste venissero abolite?

g) Le prestazioni richieste agli amministratori della Città Metropolitana sono gratuite: una beffa per i cittadini ed una umiliazione per gli amministratori. Come possono essere tanto ingenui i cittadini da pensare che un impegno pesante e difficile quale è quello richiesto da una seria attività politica venga assunto per il loro bene senza ricevere un adeguato compenso? Come possono non indignarsi tanti coscienziosi e diligenti amministratori quando constatano che la loro fatica non viene né apprezzata né stimata perché priva di compensi e di riconoscimenti? Tanto quest’ultima così come quelle sopra elencate sono tutte domande alle quali la Legge Delrio non sa dare risposte né sembra conscia di doverle dare.

La quantità di errori contenuti nella Legge Delrio, ma prima ancora già impliciti nel concetto di Città Metropolitana, dimostra la deludente cecità storica dei nostri legislatori. Essi si sono scordati di un modello che anticipava la Città Metropolitana e che era già stato avviato con successo quasi cinquanta anni fa: questo modello è rappresentato dal Piano Intercomunale Milanese (P.I.M.) il quale avrebbe potuto costituire un ottimo esempio di struttura organizzativa da scegliere e da adattare alla Città Metropolitana. Rispetto alla Città Metropolitana il P.I.M. garantiva un maggiore rispetto per le autonomie dei singoli Comuni; poneva un salutare freno al potere centrale; aveva una impostazione organizzativa e statutaria molto più democratica nei confronti delle minoranze di quanto non sia oggi quella della Città Metropolitana.

Nato per iniziativa del Partito Socialista Italiano il P.I.M. stava lentamente e felicemente consolidandosi quando l’inaspettato terremoto di Tangentopoli mise fine ad ogni sua attività e ne estinse le sperate promesse. Sebbene oggi il P.I.M. non possa riproporsi identico come allora né assumere il medesimo aspetto e le stesse finalità che aveva al momento della sua nascita, esso tuttavia può suggerire l’adozione di una propria variante aggiornata, anzi migliorata perché commisurata alle nuove esigenze dei tempi attuali. Tale variante del P.I.M. potrebbe oggi sostituire felicemente il concetto di Città Metropolitana.

La variante dello storico P.I.M. consiste nella sua sostituzione e trasformazione da organismo minuziosamente definito e quindi poco modificabile in un nuovo organismo elastico e flessibile, adattabile di volta in volta alle sempre nuove esigenze e varie richieste generate dalla continua evoluzione urbanistica della Lombardia e dall’incessante fenomeno di occupazione del territorio.

Il nuovo organismo avrebbe molte affinità con un accordo assai diffuso in un mondo del tutto diverso da quello della politica; e cioè nel mondo dell’edilizia dove da tempo esiste la Associazione Temporanea di Imprese (A.T.I.) molto efficace quando si deve affrontare un lavoro di grandi difficoltà costruttive e di alta complessità tecnica. Nella Associazione Temporanea più imprese, unite ma suddivise secondo le loro specifiche competenze, lavorano insieme e conducono a termine l’opera per cui si sono associate. A opera ultimata e a collaudo eseguito la Associazione si scioglie e le imprese prima unite tornano a lavorare separatamente.

Un procedimento analogo può essere adottato nella gestione del territorio: quando si rende necessaria la esecuzione di importanti lavori pubblici o la fornitura di grandi servizi collettivi è ipotizzabile in sostituzione della Città Metropolitana una Associazione Temporanea di Comuni (AT.C.), specificamente prevista per gestire i lavori e per fornire i servizi a cui ognuno dei Comuni associati è direttamente interessato. Finito il tempo necessario ad eseguire il lavoro programmato o ad assicurare il servizio richiesto l’Associazione Temporanea di Comuni si scioglierà e la responsabilità di gestione e di manutenzione dell’opera realizzata verrà trasferita alla Regione.

Rispetto alla Città Metropolitana l’Associazione Temporanea di Comuni ha un duplice vantaggio:

a) Richiede una struttura operativa molto più semplice, agile, rapida. La struttura del suo organico comprenderà unicamente i rappresentanti dei Comuni associati ai quali si unirà la figura di un supervisore inviato dalla Regione per mantenere i contatti fra Comuni Associati e competenti Assessori Regionali.

b) Coinvolge i soli Comuni che hanno interesse all’esecuzione di una opera in comune; e non includerà altri Comuni estranei a quell’opera.

Se l’opera consiste nella costruzione di una nuova strada entreranno nell’Associazione soltanto i Comuni attraversati da quella strada. Se l’opera è un impianto di uso pubblico (depuratore, inceneritore, centrale elettrica); oppure se è la sede di un servizio pubblico (scolastico, sanitario, sportivo) entreranno nella associazione solo i Comuni inclusi nel raggio di utenza relativo a quell’impianto o a quel servizio.

Il vantaggio della Associazione Temporanea di Comuni rispetto alla Città Metropolitana è evidente: quest’ultima infatti ogni qual volta è chiamata a deliberare su opere da eseguirsi nel proprio territorio si trova costretta a coinvolgere i rappresentanti di tutti i Comuni inclusi dentro i suoi confini, anche se alcuni di questi Comuni non sono affatto coinvolti e quindi per nulla interessati a deliberare su quell’opera; mentre con l’Associazione soltanto i Comuni interessati al lavoro comune vengono chiamati e partecipano alla gestione di quel lavoro.

È utile ricordare che l’unione fra più Comuni rientra nelle istituzioni accettate e promosse dalla nostra Legislatura anche se nel testo delle relative leggi non viene specificato né chiarito quale di volta in volta debba essere l’obiettivo per cui l’unione stessa viene prevista (Legge n. 265/1999; legge n. 267/2000; legge 122/2010).

I difensori della Città Metropolitana fanno notare che essa è contemplata dalla Costituzione della nostra Repubblica e quindi non può essere messa in discussione né abolita senza ricorrere a un Referendum costituzionale. A costoro si risponde che le Costituzioni stesse sono soggette a modifiche e ad aggiornamenti. E si può anche aggiungere che così come il recente referendum del 4 novembre 2016 ha chiesto – ma senza successo – la abolizione delle Province allo stesso modo un prossimo referendum potrebbe legittimamente chiedere – e si spera con maggiore fortuna – l’annullamento delle Città Metropolitane a tutt’oggi esistenti.

I difensori della Città Metropolitana sostengono che essa è già stata istituita in molti paesi europei e quindi la sua utilità risulta già vagliata e collaudata. A costoro si può rispondere che ogni nazione ha abitudini, consuetudini, tradizioni diverse; e queste non necessariamente sono connaturate e applicabili ai nostri usi e costumi.

Il procedimento adottato per il decollo della Città Metropolitana è esattamente l’opposto di quello che in realtà si dovrebbe adottare. Prima sarebbe stato opportuno chiarire l’obiettivo a cui si intendeva arrivare e poi scegliere i mezzi e gli strumenti adatti a raggiungere quell’obiettivo. Un falegname prima deve sapere se tagliare il tronco di un albero o se intarsiare un mobile e poi si servirà di una ascia piuttosto che di uno scalpello.

Nel caso della Città Metropolitana si procede in modo curioso: invece di chiarire anzitutto a che cosa deve servire il nuovo Ente e per quale motivo lo si costituisce ci si dilunga in complicati schemi organizzativi, in astruse composizioni dell’organico, in complesse strutture operative, e intanto si perde tempo prezioso e ci si dimentica di chiarire e precisare il motivo per cui far nascere questa nuova Istituzione politico-amministrativa da tutti attesa, ma per tutti ancora oscura sia nei suoi compiti che nei suoi fini.

Si potrebbe continuare a elencare gli inconvenienti, le carenze, gli errori contenuti nel progetto della Città Metropolitana e persistere nel tentativo di correggerla e migliorarla, ma lo scopo di questo articolo non consiste nel rendere la Città Metropolitana più efficiente e più rispondente alle nostre esigenze urbanistiche; consiste al contrario nell’abolirla del tutto e nel sostituirla con la nuova e più utile organizzazione chiamata Associazione Temporanea di Comuni.

Jacopo Gardella



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