18 luglio 2017

NAVIGLI: ANALISI DI COSTI E BENEFICI SULLA RIAPERTURA

In risposta all'articolo di Renato Pugno


Dispiace leggere nell’articolo di Pugno Il progetto di riapertura dei Navigli: ancora un parere (ArcipelagoMilano del 12 luglio 2017) tante imprecisioni e generiche accuse alla cultura universitaria (e quindi agli autori della valutazione del progetto di riapertura dei Navigli) da una persona che dovrebbe essere un esperto in materia. Avendo impostato e realizzato con colleghi questa parte del lavoro che il Politecnico di Milano ha condotto l’anno passato, mi corre l’obbligo di rispondere scorrendo in sequenza alcune affermazioni del testo pubblicato (un lavoro comunque utile per evitare altri fraintendimenti).

09camagni27FB1 – In apertura si legge: “Lo studio […] non risponde adeguatamente in merito alla fattibilità economica, cioè al bilancio Benefici/Costi dell’opera”. Innanzitutto, analisi Benefici/Costi e analisi economico/finanziaria sono due cose completamente differenti: la prima si occupa di misurare l’equivalenza dei vantaggi collettivi rispetto ai costi prevedibili, in un’ottica pubblicistica (ed è quanto abbiamo fatto), mentre la seconda si occupa di bilancio fra ricavi e costi (o fra flussi di cassa in entrata e in uscita) in un’ottica privatistica (comunque rilevante nel momento in cui la parte pubblica non intenda finanziare direttamente il progetto).

Questa seconda valutazione non è ancora stata richiesta dall’Amministrazione comunale, interessata a valutare per il momento solo l’interesse pubblico; e nel lavoro abbiamo sottolineato come il progetto da solo non possa generare entrate che in misura trascurabile.

2 – “Il Progetto non è riconducibile a un progetto di infrastruttura di trasporto ma piuttosto a un progetto di Eredità Culturali […] e come tale va trattato con la metodologia secondo lo stato dell’arte in materia”. L’affermazione è corretta, e infatti non abbiamo effettuato una valutazione su costi e benefici di trasporto ma una valutazione (quantitativa e monetaria) dell’utilità collettiva derivante da un’opera di riqualificazione urbana profonda, attraverso il metodo dei prezzi edonici (una innovazione introdotta nell’analisi C/B per la valutazione di benefici di natura immateriale). Il gruppo di ricerca è stato fra i primi a livello internazionale ad applicare questa metodologia a progetti di trasformazione urbanistica. Ma evidentemente l’autore della nota non se n’è accorto.

3 – Risultati positivi sulla fattibilità del progetto si possono ottenere “solo se si mettono in conto anche i benefici delle inevitabili e ineludibili trasformazioni urbanistiche nel centro della città e nelle altre aree”. Dove sono queste inevitabili trasformazioni destinate a produrre plusvalenze utilizzabili per finanziare il progetto? Queste genericità non aiutano di certo ad avvicinare la realizzabilità della riapertura dei Navigli. L’autore indica che “il progetto [Navigli] è legato alla riconversione dell’area del Policlinico […] ma richiede un Project & Construction Management di qualità”.

Questa ipotesi cui l’autore pare interessato può essere considerata, ma non sembra che lo sia stata da parte dell’amministrazione e comunque non potrebbe allo stato dei fatti essere valutata con qualche precisione, se non prestandosi a strumentalizzazioni. Ricordiamo poi che simili “riconversioni” di spazi pubblici riescono a malapena a coprire i loro costi complessivi e quasi sempre domandano ulteriori risorse pubbliche (Milano non sembra fare eccezione).

4 – “Senza queste condizioni [la riconversione] […] il progetto non contribuirà alla crescita del PIL”. Nella valutazione abbiamo aggiunto una previsione dell’impatto, proprio sul PIL, dei lavori del progetto, attraverso un’analisi con la tavola Input-Output dell’economia locale, un impatto che si manifesterebbe anche nel caso di finanziamento pubblico dell’opera.

5 – “In Italia manca una adeguata cultura e conoscenza dell’Analisi Costi/Benefici, anche e soprattutto nelle Università, queste materie o non sono insegnate o sono insegnate male”. Posso assicurare che nel caso del Politecnico di Milano queste materie sono insegnate benissimo! E i progetti cui i metodi sono applicati sono presentati e discussi in classe (ove accettiamo anche non iscritti).

6 – Secondo l’autore, in Italia l’urbanistica e la cultura delle opere pubbliche sono arretrate, anche per “il silenzio del mondo accademico” (e sin qui si potrebbe in parte condividere!), perché non si è capito che si potrebbe “utilizzare le plusvalenze immobiliari per obiettivi di crescita economica e sociale e […] per finanziare nuove opere”. Ma questo è quanto la cultura e la prassi urbanistica conosce e realizza da tempo nel paese (l’INU lo ha teorizzato dal 1995). Il problema è un altro: che le plusvalenze non sono mai valutate con precisione dalle amministrazioni (e cioè sono ampiamente sottovalutate) e sono spesso utilizzate per realizzazioni non prioritarie se non sbagliate (ricordiamo, in ambito nazionale, il “quadrilatero umbro-marchigiano” dell’era Berlusconi, opera probabilmente inutile realizzabile costruendo nuovi insediamenti urbani).

La “virtuosa” recentissima operazione degli scali ferroviari a Milano insegna: ampia sottovalutazione – condivisa! – delle plusvalenze, vantaggi minimi del Comune (verde fino eccessivo, poca vera edilizia pubblica, realizzazione di infrastrutture ferroviarie con le poche plusvalenze del Comune), nessun impegno di FS a realizzare la Circle Line. E ciò in barba alla nuova legge nazionale che impone un “contributo straordinario” sulle varianti urbanistiche. Questo mi sembra il vero ambito (politico – etico – culturale) su cui occorrerebbe una vera mobilitazione civile, professionale e accademica.

Roberto Camagni



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