10 maggio 2017

libri – IL TUFFO NEL POZZO


Domenico Quirico
IL TUFFO NEL POZZO. È ancora possibile fare del buon giornalismo?
Vita e Pensiero, Milano, 2017
pag. 87, euro 10,00

Quirico-Raccontare_uomini_punti.qxp_Layout 1Leggendo una notizia sul giornale, vi siete emozionati, tanto quelle parole sono riuscite a teletrasportarvi nel luogo dell’evento narrato? Se questo è successo significa che l’autore della notizia è un bravo giornalista, come Domenico Quirico de La Stampa, corrispondente di guerra nelle vicende africane degli ultimi vent’anni e delle primavere arabe.

In questo breve saggio, che scuote anche le anime più indifferenti, si interroga anche sulla sua vita e ci descrive, senza mezzi termini, le qualità che deve avere un giornalista. La strada è difficile e senza scorciatoie. È un viaggio all’inferno, dove la sofferenza attraversa e strazia il giornalista prima di essere impressa sulla carta stampata e arrivare ai lettori, gli ultimi della catena. Ma a volte questo non basta, perché Quirico, e molti prima di lui, constatano che non riescono più a creare indignazione, rabbia e commozione in chi legge.

Il suo primo servizio da inviato risale a trent’anni fa, in Mozambico, dove imperava la guerra civile tra marxisti al potere e ribelli. Qui, in questa terra arsa, nella quale persino gli elefanti erano scomparsi, Quirico sperimenta per la prima volta il prezzo che un giornalista deve pagare.

Raccontare deforma. Il dolore contamina, ti fiacca e diventi inesorabilmente parte stessa del dramma”. Fino a scoprire l’esistenza di due giornalismi. Quello di “presenza” e quello “del sentito dire”, cioè della testimonianza raccolta con un registratore, destinata a diventare il giornalismo di internet.

Il vero giornalismo invece è una mostruosa vicinanza al male, dalla quale non si può sfuggire, perché è lì che la redazione del giornale vuole che il reporter sia: a prendere nota di quello che sta accadendo. In quelle ottanta righe, che il giorno dopo vanno in pagina, c’è tutta la vita sua e di quelli che ha visto vivi e che ora sono mori.

Sotto il cielo siriano, Quirico ha visto una sofferenza intollerabile, non la sua, ma quella di coloro che gli stavano intorno. Nemmeno i suoi 152 giorni di prigionia, nelle mani di formazioni islamiche, sono stati più dolorosi del dolore che respirava nell’aria intorno a lui.

Per spiegare questo difficile mestiere, Quirico usa la metafora del pozzo, da cui poi nasce il titolo del libro. Fare vero giornalismo significa tuffarsi in un pozzo, e farlo a occhi aperti, fino a raggiungere il fondo, dove l’acqua è melmosa. E poi ritornare in superficie, puzzolenti di vita con i suoi drammi e le sue miserie, tirarsela via di dosso e trasformarla in parole … .

Parole, che dopo qualche giorno evaporeranno, perché le cose laggiù, nel pozzo – in Siria, in Africa, nei paesi in guerra – tra poche ore saranno già cambiate. Precarietà, anche questo è un aggettivo del giornalismo. Quirico lo sottolinea in una frase che trovo stupenda: “Il giornalismo non è, per fortuna, eternità, è l’istante”.

Indagare, vedere, verificare, svelare e raccontare. Una professione che oggi sta perdendo il suo valore, perché la via più facile è quella del pressapochismo, del cinismo, del collage con informazioni scaricate da internet su una comoda poltrona nella redazione delle ricche città italiane.

Eppure, dall’origine del reportage di guerra (Crimea 1856), molti sono stati i grandi giornalisti, da William Howard Russell a Ernest Hemingway o George Orwell, agli italiani Indro Montanelli, Dino Buzzati, Oriana Fallaci (per citarne alcuni), che ci hanno fatto tremare il cuore e ci hanno insegnato che la sofferenza è una piaga collettiva, che tocca tutti noi, nessuno escluso.

Cristina Bellon

questa rubrica è a cura di Cristina Bellon

rubriche@arcipelagomilano.org



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