10 maggio 2017

musica – UN BARBIERE PER RAGAZZI


Si è conclusa sabato sera al Teatro degli Arcimboldi la tappa milanese del Barbiere di Siviglia rossiniano creato da AsLiCo (Associazione Lirica e Concertistica italiana) (1) in co-produzione con il Gran Teatre del Liceu di Barcelona allo scopo di sensibilizzare i giovanissimi (a giudicare dal pubblico dell’altra sera i ragazzi a cavallo fra l’infanzia e l’adolescenza), introducendoli all’ascolto della musica lirica.

musica17FBOpera, dunque, altamente meritoria specialmente se si considera che sono state previste recite in ventitré città diverse (da Bolzano a Napoli) per ben cinquantacinque giornate distribuite fra febbraio e maggio, spesso con tre rappresentazioni al giorno (alle 9, alle 11 e alle 14.30) e dunque dell’ordine di 150 recite; un programma che impegna 19 cantanti e 32 musicisti dell’Orchestra 1813 oltre al direttore (il ventiquattrenne Michele Spotti di Cesano Maderno), al regista (il più maturo Danilo Rubeca di Cosenza) e ad assistenti e tecnici vari che per quattro mesi, giorno dopo giorno, vanno su e giù per l’Italia riempiendo i teatri di ragazzini vocianti e irrequieti.

Assistendo alla rappresentazione sono rimasto sconcertato e preda di opposti sentimenti: da una parte l’ammirazione per il programma educativo e per l’impegno organizzativo ch’esso deve aver comportato, dall’altra la modestia dello spettacolo dal punto di vista musicale e teatrale. Innanzitutto è apparsa sbagliata la scelta del Teatro degli Arcimboldi la cui acustica è notoriamente inidonea (nel periodo in cui sostituì la Scala si dovettero apportare importanti modifiche alle pareti laterali della sala): troppo grande per questo minispettacolo.

Anche l’ora – le 20.30 – pare poco adatta a ragazzi così giovani, ma soprattutto la scelta dell’opera: troppo complessa per essere compresa a quell’età anche perché – essendo giustamente ridotta e contenuta nello spazio di poco più di un’ora – risulta ancor meno comprensibile dell’originale. Quando si riduce un’opera, non basta ovviamente tagliare alcune parti, ciò che resta dev’essere perfettamente autonomo e comprensibile anche a chi (ed è proprio il caso dei ragazzi) nulla sa dell’originale. La qual cosa, in questo caso, non è stata felicemente ottenuta.

Tralascio gli aspetti squisitamente musicali non senza però sottolineare che i tempi sono apparsi non adeguatamente calibrati (alcuni accelerati, altri rallentati), le voci tra loro squilibrate e non tutte all’altezza dell’opera di Rossini, ma soprattutto il fatto che gli archi si sentissero troppo poco facendo mancare il principale sostegno armonico all’intero impianto musicale.

Sul palcoscenico era allestita un’unica scena – con la bottega di Figaro e la casa di Don Bartolo divise solo dal simulacro di una porta – inopinatamente caratterizzata da più piani sfalsati raccordati da scale e scalette che, per sottolineare la vivacità del soggetto teatrale, venivano continuamente e rapidamente salite e scese dai cantanti; una ragione in più per confondere il pubblico e rendere poco comprensibile la vicenda di Rosina e del suo sedicente Lindoro.

Interessante, invece, l’idea di far cantare alcune arie dell’opera ai ragazzi seduti in platea, diretti dallo stesso maestro “concertatore”, ma evidentemente istruiti in precedenza dagli insegnanti di musica delle loro scuole; questo sì molto coinvolgente per i giovani e più che adatto a stimolarne l’attenzione e la voglia di “entrare” nell’opera.

C’è da chiedersi però se questa operazione, così congegnata e realizzata, raggiunga realmente lo scopo di avvicinare i ragazzi – gli adulti di domani – all’opera lirica; interrogandone alcuni ho avuto la sensazione che dominasse il clima del gioco e della gita, non quello dell’interesse e dell’apprendimento. Sono convinto che darebbe migliori risultati rendere più facile l’accesso dei giovanissimi al teatro vero, offrire loro interpretazioni ed esecuzioni di alto livello scegliendo fra i programmi quelli più adatti alla loro età e coordinandoli con le scuole, in modo che i ragazzi vi arrivino consapevoli e preparati e possano comprendere l’opera in tutta la sua complessità, ma anche in tutta la sua grandezza.

È il solito problema: è la cultura alta che deve avvicinarsi ai giovani – e agli sprovveduti in generale – o sono i giovani e gli sprovveduti che devono essere aiutati ad apprezzarla e a raggiungerla?

C’è anche l’altro problema: quello di introdurre altri giovani – i cantanti e i musicisti – nel circuito dei teatri e nel mondo della musica “alta”, aiutandoli a muovere i primi passi. Qual è il percorso più adatto? Farli esibire in teatri minori e spettacoli modesti, o piuttosto aiutarli a raggiungere i livelli più alti e, una volta diventati maturi e sicuri, presentarli in eventi di grande qualità?

Ricordo a chi l’avesse dimenticata la giovanissima mezzosoprano georgiana Anita Rachvelishvili, scovata ancora studente all’Accademia della Scala da Daniel Barenboim e da Emma Dante e da loro subito invitata a interpretare Carmen nella serata inaugurale della stagione scaligera del 2009. Non sono questi i grandi esempi da imitare?

La sensazione che abbiamo avuto sabato sera agli Arcimboldi è di uno spettacolo privo di ambizione, impostato impoverendo un capolavoro e “abbassandolo” al livello dei ragazzi nella illusione di renderlo più accattivante e più accettabile. Ma i ragazzi, soprattutto quelli culturalmente meno attrezzati, avrebbero tratto maggior giovamento se – certo, preparati con largo anticipo, e magari ben istruiti anche sul doveroso rispetto per il luogo e per gli artisti – si fossero trovati davanti a un Barbiere autentico.

Per fortuna, non si può dire che qualche passo in questa direzione non sia già stato fatto, come per esempio fa la Scala con le prove aperte per i giovani; facciamoci coraggio dunque e – se vogliamo che in futuro il pubblico dell’opera sia più ampio e preparato – apriamo sempre di più le porte dei grandi teatri a chi ne è ancora di fatto escluso e mettiamo alcuni spettacoli in diretta connessione con i programmi scolastici. Ma senza abbassarne la qualità.

Paolo Viola

(1) istituzione per la formazione di giovani cantati lirici, nata a Milano nel 1949 per iniziativa di Giovanni Treccani degli Alfieri, e ora residente presso il Teatro Sociale di Como.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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