24 gennaio 2017
LUISA STAGI
FOOD PORN
L’ossessione per il cibo in TV e nei social media
Egea, 2016
pag. 140, euro 16,00
Il food porn è il piacere voyeristico del cibo, un edonismo mentale che si nutre del piacere dell’attesa, della sua natura virtuale, piuttosto che dell’esperienza del godimento. L’espressione, comunemente utilizzata per indicare la pratica di chi fotografa il cibo (che sta per mangiare o che ha cucinato) per poi condividerne l’immagine sui social network, ha ampliato il suo significato prestandosi a diverse interpretazioni e conseguenti derive critiche.
L’origine del concetto di food porn viene da alcuni attribuita a Roland Barthes che lo definì “ciò che offre fantasie a coloro che non possono permettersi di cucinare certi pasti”, ma via via si è identificato in un movimento sociale, dove un gruppo di appassionati, pur non essendo professionisti agro-alimentari, mettono in scena un serio interesse per il cibo, promuovendo lo “stile alimentare” come parte della rappresentazione del sé. E dando così vita alla foodie culture.
La sociologa Luisa Stagi, che ai temi del cibo e dei disturbi del comportamento alimentare ha dedicato numerosi libri, qui esplora l’argomento dal punto di vista della comunicazione televisiva e dei social media. La Stagi, utilizzando un’impostazione lineare, di facile comprensione anche ai profani, supportata dagli archivi televisivi reperibili su Internet e da una vasta letteratura di genere, prende in esame i diversi comportamenti legati al linguaggio alimentare per avviare una lettura di tipo culturale della società nell’era dei media contemporanei. Ove si è spinti a consumare e contemporaneamente ad essere magri; dall’altro, dove all’aumentata possibilità di scelta corrisponde un’amplificazione della percezione dei rischi alimentari.
Mai come negli ultimi anni la televisione ridonda di trasmissioni di cucina, di ricette, di gare culinarie, ma anche di reality con specifici format lifestyle e makeover show che si occupano della gestione del corpo, di obesità e dunque di dieta. La foodie culture ha prodotto una serie di icone di riferimento come gli chef stellati, i leader dei movimenti alimentari e culinari, i food blogger. E ha, tra l’altro, promosso il boom dello street food che concilia la scoperta del territorio con la conoscenza dei suoi prodotti tipici, convivialità e risparmio.
Del resto in una società moderna come la nostra, opulenta e globalizzata, dalle complesse, a volte contrastanti norme alimentari, sul terreno simbolico del cibo, si esplicano istanze fortemente contraddittorie – salutistiche, edonistiche, identitarie – che portano il consumatore a volersi affidare alla guida autorevole di un esperto, per poi magari non metterne mai in pratica i suggerimenti.
Tra l’altro, è interessante – ci fa notare l’autrice – come anche nei format televisivi si rilevi la riproduzione di caratterizzazioni di genere. Come dire che gli scenari culinari cambiano, a seconda dei programmi, ma non i ruoli e le aspettative di tipo tradizionale. Gli uomini che varcano il confine della cucina, sono chef e devono incarnare la competenza e l’autorevolezza, con quel tanto di spavalderia che risponde a un modello di mascolinità egemonica. Le donne sono soltanto brave cuoche, pratiche di cucina casalinga, votate a un compito familiare e non a una prestigiosa professionalità.
Ma sono davvero tanti, in questo saggio, gli spunti di riflessione sul fenomeno, specchio di una cultura, la nostra, che si muove continuamente tra spinte contrapposte e ove anche i discorsi sul cibo – come cucinarlo, servirlo, mangiarlo o non mangiarlo, farne esercizio puramente estetico – diventano espressivi della nostra complessità.
Daniela Muti
questa rubrica è a cura di Cristina Bellon