20 dicembre 2016

musica – MUSICA A NATALE


Quando si avvicinano le feste natalizie il mondo musicale sembra andare in una sorta di diffusa effervescenza: si moltiplicano iniziative di ogni genere e di ogni livello e sembra che il clima di buonismo che pervade la città dia coraggio ai timidi e stimoli la voglia di manifestarsi e di esibirsi. E – complici anche i terremotati e gli immigrati – non mancano concerti di ogni tipo di beneficienza e di solidarietà.

musica42fbC’è sicuramente un grande impegno dei parroci cittadini che intensificano la ricerca di musicisti o sedicenti tali per offrire ai parrocchiani concerti di musiche più o meno natalizie e così riempire chiese sempre più vuote. Poi scuole e università che, con l’intento di proseguire poi per l’intero anno scolastico, si lanciano addirittura in vere e proprie stagioni musicali da offrire ai propri studenti e alle loro famiglie.

Questo desiderio di offrire musica non è motivato solo dal bisogno di sentirsi bravi e buoni durante le feste , o da una ricerca più o meno cosciente di visibilità, ma anche dalla triste considerazione che la musica costa poco perché la città è piena di musicisti appassionati, volenterosi e spesso squattrinati che per l’innato bisogno di suonare, gratuitamente o per raggranellare pochi spiccioli, sono disposti a fare salti mortali.

Tutto ciò è bene? Non so e vorrei capirlo. Certamente è bene che la gente abbia voglia di suonare e soprattutto di suonare insieme; è infatti sempre più facile imbattersi nella disponibilità di piccoli ensemble e di orchestre amatoriali piuttosto che di musicisti solisti. Si tratta spesso di studenti o di neodiplomati in attesa o nella speranza di avviare una concreta attività professionale, ma non mancano pensionati né persone professionalmente ancora attive che dedicano il loro tempo libero a suonare uno strumento o a cantare in un coro. E suonare e cantare insieme, come si sa, è uno dei piaceri più forti e avvolgenti che sia dato di provare.

È un bene anche “sociale”, nel senso che riunirsi per fare e ascoltare musica colta è un valore aggiunto per qualsiasi comunità, di giovani o di vecchi, di persone coltivate o prive di preparazione musicale; arricchisce e unisce, aiuta a sentirsi parte di qualcosa di diverso e di più grande di noi, amplia le nostre capacità percettive in tutte le direzioni, dilata la sensibilità. Tutto ok dunque? Non lo so.

In questi giorni ho sentito un quartetto di trombe con organo nella chiesa di Sant’Angelo e due orchestre e cori amatoriali composti da decine di dilettanti, studenti, diplomati e musicisti in pensione: il “Collegium Vocale di Crema” nella basilica di San Marco e  la “Orchestra Filarmonica dei Navigli” nella chiesa parrocchiale di Milano 3 a Basiglio. Nel programma di sala di quest’ultima è stato scritto: “I membri dell’orchestra non perseguono fini professionali ma spirituali … non viene fatta distinzione del livello raggiunto da ciascuno … l’orchestra dovrà essere occasione di stimolo e confronto … oltre a promuovere la musica al fine di divertimento, condivisione di intenti e spiritualità musicali fra i suoi membri, ha anche l’ambizione di divulgare la musica e la cultura musicale nel suo complesso”. Qui sta il punto, in quel “divulgare la cultura musicale”. Siamo sicuri?

Io no. Temo che la mancanza di professionalità nella formazione dei programmi (quasi sempre accozzaglie di pezzi scelti più per parlare alla pancia del pubblico, come si dice, che per stimolarne la sensibilità), la insensibilità ai problemi dell’acustica (in Sant’Angelo il suono delle trombe rimbombava a tal punto che non se ne distinguevano le note), gli sproloqui di parroci, organizzatori, sindaci e assessori (almeno mezz’ora di chiacchiere inutili prima di metter mano agli strumenti) neghino nei fatti l’intenzione di “divulgare la cultura musicale”. La distruggono, ne mortificano gli autori, abituano il pubblico a un ascolto superficiale e insignificante; meglio le bande nelle piazze dei paesi, più schiette, messaggio più chiaro, godimento più genuino.

Ma la cosa più grave, nel caso di orchestre e cori, sono i direttori che si improvvisano tali e in realtà sono solo dei “battitori”, nel senso che battono il tempo e nient’altro (spesso riescono a far male anche questo); nessuna cura del fraseggio, nessuna seria intenzione interpretativa, la dinamica totalmente ignorata e – quando dirigono Verdi – sembrano voler dare ragione ai perfidi wagneriani che definiscono il Nostro uno zum-pa-pà. Un vero strazio. È divulgare o è corrompere, degradare, volgarizzare la musica? A chi serve?

A Natale ci si prendono anche libertà di altro genere, perfino ai massimi livelli, ne faccio due esempi. All’Auditorium l’ultimo concerto de “laVerdi” è stato diretto da Axelrod e il programma prevedeva tutto Gershwin; dopo una esemplare “Rapsodia in blu”, eseguita al pianoforte da uno scintillante Giuseppe Albanese e assai bene accompagnata dal direttore texano, ecco un brutto arrangiamento di “Porgy and Bess” per due voci soliste, coro e orchestra composto da Robert Russel Bennet, un coetaneo e connazionale (era nato a Kansas City) di Gershwin. Una suite molto noiosa, frammentata e antologica, tanto che Axelrod, per animare la serata, si è messo a cantare dal podio, piroettando avanti e indietro fra orchestra e pubblico, facendo la macchietta e invitando il pubblico a cantare con lui. La più brutta copia possibile del Concerto di Capodanno viennese!

L’altra follia viene dagli States dove a fine gennaio, alla Carnegie Hall di New York, la Staatskapelle Berlin diretta da Daniel Barenboim sarà in tournée con il seguente programma: nove concerti in nove giorni con le nove Sinfonie di Bruckner, accoppiate a nove diversi Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, con lo stesso Barenboim al pianoforte. Anche questa è una brutta copia del famoso ciclo delle nove Sinfonie e dei cinque Concerti per pianoforte e orchestra di Beethoven, che nel febbraio del 2001 Claudio Abbado, appena uscito da una durissima operazione allo stomaco, eseguì con i Berliner in sei memorabili serate, prima a Roma e poi ripetute a Vienna; brutta copia perché Bruckner non è Beethoven (non si può pretendere da un’orchestra – che per giunta non è quella dei Berliner – di averle tutte e nove pronte in repertorio), perché mettere insieme Bruckner e Mozart è una fastidiosa forzatura (se non per qualche particolarissimo esempio), soprattutto perché Abbado chiamò cinque grandi pianisti, uno per ogni concerto, a interpretare Beethoven e non si è mai sognato di suonare e dirigere insieme. Due eventi imparagonabili. Vi lascio immaginare la qualità che ci si potrà attendere a New York da un simile tour-de-force.

Buon Natale e buon anno a tutti.

Paolo Viola

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 



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