7 dicembre 2016

libri – L’INFINITO TRA PARENTESI


MARCO MALVALDI
L’INFINITO TRA PARENTESI
Storia sentimentale della scienza da Omero a Borges
Rizzoli, 2016
pag. 240, euro 18,00

 

libri40fbMarco Malvaldi è scrittore, chimico ed ex ricercatore all’Università di Pisa, qualità e competenze che utilizza in questo originalissimo saggio per sostenere un affascinante assunto, e cioè che il percorso della conoscenza e la sua persistenza nella memoria viaggiano su un doppio binario: il ragionamento razionale (con l’uso degli strumenti offerti dalla scienza dei numeri) e le emozioni, perché “noi ricordiamo meglio gli avvenimenti più emozionanti”.

Fin dal sottotitolo “Storia sentimentale della scienza da Omero a Borges” chi legge può intuire che il principio espresso dall’autore è avvincente; infatti, per supportarlo e dimostrarne la fondatezza Malvaldi ci guida, con vertiginosi salti temporali, a spericolate associazioni.

Così apprendiamo che “ben prima degli studi di Maxwell sul tempo di rilassamento dei liquidi, Lucrezio intuì che molecole di lunghezza differente scorrono con tempi differenti”.

Gozzano, in una delle sue poesie più belle, Invernale, descrive con precisione l’imprevedibilità di una crepa, oltre che la viltà di un giovane pattinatore di fronte a una donna innamorata. Quella fuga dal laghetto ghiacciato che inizia a incrinarsi diviene infatti lo spunto per analizzare l’imprevedibilità delle rotture, delle catastrofi e le sue conseguenze. Tratta insomma della sovrapposizione tra l’imprevedibilità dell’amore e della vita in generale, e l’imprevedibilità del destino delle crepe nel lago ghiacciato.

E questo molto prima che i matematici dimostrassero – anche attraverso il Gioco della Vita – l’assoluta impossibilità di predire l’evoluzione di alcuni sistemi.

Il libro di Malvaldi si articola in 10 capitoli ciascuno dei quali viene preceduto da una poesia o dall’ampio frammento di un poema. E quei versi non sono là a scopo decorativo bensì per introdurre il racconto di un progresso della scienza che spesso i poeti hanno intuito per primi. Perché un’equazione e una poesia, ci dice l’autore, hanno spesso parecchie cose in comune: sono ugualmente “veggenti”, utilizzano entrambe un linguaggio ricco di analogie; pur senza contrapporsi, vagabondano da un secolo a un altro costruendo gerarchie di pensiero sempre più ampie, come tensione verso la conoscenza.

Così come Tito Lucrezio Caro nel suo De rerum natura concepisce qualcosa di unico quando decide di descrivere per filo e per segno con rigore scientifico e straordinaria creatività poetica un intero sistema filosofico, dalla fisica degli atomi all’etica, Borges descrive – forse meglio dei neuroscienziati – con la sua poesia La Fisica della memoria – che “aver saputo e aver dimenticato il latino è un possesso, perché l’oblìo è una delle forme della memoria, l’altra faccia segreta della moneta”.

Poesia e fisica sono dunque due strumenti che il nostro cervello ha a disposizione per capire il mondo, condividono la capacità di creare, per induzione, analogie tra oggetti astratti che sembrano apparentemente scollegati. Il che significa <vivere>.

Daniela Muti

 

questa rubrica è a cura di Cristina Bellon

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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