16 novembre 2016

la posta dei lettori _16.11.2016


Scrive Diego Corrado a Raffaello Morelli a proposito del SI e del NO – Caro Direttore, ringrazio tuo tramite Raffaello Morelli per l’attenzione, sia pure critica, che ha dedicato al mio articolo in favore delle ragioni del Sì.
Non replicherò punto per punto, per non abusare della ospitalità di ArcipelagoMilano. Nel merito mi limito a sottolineare una sola, delle osservazioni del mio interlocutore, a mio avviso indicativa di un atteggiamento che definire pregiudiziale sarebbe un eufemismo. Morelli giunge infatti a criticare il fatto che si aggiunga a quella già esistente una forma di referendum abrogativo con un quorum significativamente più basso (a patto che si raccolgano 800mila firme), con l’argomento “è un raggiro, perché tutti sanno che già raccogliere le attuali 500 mila firme in 90 giorni è difficilmente fattibile”, quando la memoria di tutti noi ci ricorda che di referendum futili se ne sono svolti a decine, negli ultimi vent’anni.
Per decine di volte si sono raccolte 500 mila firme, su quesiti cui la maggioranza degli italiani non ha ritenuto necessario dedicare mezz’ora del proprio tempo per passare dai seggi. Con la riforma, accanto a quella attuale, che resta immutata, si aggiunge una ulteriore forma di referendum: se si raccolgono 800mila firme (siamo pur sempre nel 2016, la popolazione italiana è cresciuta di 12 milioni rispetto al 1948, il livello di istruzione e informazione di ciascuno di noi è infinitamente più elevato che allora, e non solo perché tutti abbiamo uno smartphone in tasca), il raggiungimento del quorum sarà certo. Almeno una volta per legislatura, se ne ricorreranno i presupposti, le opposizioni potranno chiedere, sostanzialmente, un referendum sul governo, che difficilmente potrà restare in carica se si vedrà bocciare dal corpo elettorale una legge fondamentale nel suo programma.
Questa considerazione mi permette di fare un appello, che il finale di campagna si svolga all’insegna di un maggior rispetto. Non tanto per il sottoscritto, che è un semplice cittadino, ma per la realtà storica e, in ultima analisi, per se stessi.
Perché, non conoscendo Morelli, non posso escludere che sia tornato il mese scorso da un trentennale isolamento in un villaggio nella foresta amazzonica. Ma sono certo si possa escludere la  circostanza con riferimento alla maggioranza dei lettori di ArcipelagoMilano. E allora, caro Morelli, quando si arriva a dipingere la riforma che voteremo il 4 dicembre come il frutto del dettato di JP Morgan, bisognerebbe ricordarsi che molti di loro, molti di noi, hanno animato i comitati Prodi, dove molte delle proposte ora riprese dalla riforma facevano parte delle “tesi” a base del programma.
Molti di noi da qualche decennio si onorano dell’amicizia con – ne cito uno tra i tanti – Michele Salvati, che queste cose dice da tempo immemore; hanno studiato i testi di Augusto Barbera e Roberto Ruffilli, quest’ultimo assassinato dalle BR nel 1988; hanno sofferto per lo stallo democratico seguito alle ultime elezioni politiche, e si sono impegnati – a tutti i livelli – perché esso non abbia più a ripetersi, credendo nel tentativo di Letta e della sua commissione di saggi bipartisan, presieduta da Quagliariello, i cui lavori hanno costituito il punto di partenza per la riforma poi approvata.
O, più recentemente, hanno sostenuto in un duro ma leale confronto congressuale, all’interno del Pd, Pierluigi Bersani, che solo fino al maggio scorso dichiarava apertamente il suo Sì (vedi l’intervista a Floris). E allora, nel rispetto reciproco, anche per coloro che hanno cambiato idea, concentriamoci sul merito delle proposte, e smettiamola con la reciproca delegittimazione, che tra l’altro – se da un lato il sostegno di JP Morgan, di Gelli e in generale di una congiura giudo-pluto-massonica a favore del Sì è uno dei tanti fattoidi propalati via social media – vede il fronte del No, apertamente sostenuto da Casa Pound, Forza Nuova e populismi antisistema vari, in netto svantaggio.

Scrive Francesco Introzzi a proposito di riforma costituzionale – Raffaello Morelli parla di “riforme fondate sul confronto del merito dei problemi e non sullo spettacolo”. Altro che spettacolo: si tratta di un vero imbroglio che butta sabbia negli occhi di una popolazione, già non troppo attrezzata, manipolata senza il minimo scrupolo civile!

Scrive Cesare Mocchi a proposito di urbanistica e bisogni – Giustissimo, finalmente qualcuno che dice una cosa semplice, quasi banale, ma molto saggia: prima di progettare, bisogna conoscere la realtà (anziché quello che diceva Sala in campagna elettorale, inutile perdere tempo in analisi, bisogna agire… sì, come se un medico facesse un’operazione senza avere fatto prima la diagnosi, vi fidereste?).
E se si esamina con attenzione quello che ai mio parere sono i punti più bassi della urbanistica milanese recente, ovvero il cosiddetto “Documento di Inquadramento PII” e soprattutto lo scellerato PGT approvato dalla Giunta Pisapia, di analisi su temi come la domanda abitativa o di servizi si trova poco o nulla (per non parlare dei valori storici e artistici nelle zone periferiche …). Ma qualcuno li ha letti bene quei documenti? Eppure, alla loro redazione hanno collaborato fior fiore di professori del Politecnico, forse è per questo che adesso non hanno il coraggio di criticare … .

Scrive Martino Antonini a proposito di smog e Area C – Io non so valutare. Ma due docenti del Politecnico hanno dichiarato che il g.p.l. non inquina. Alcuni “tecnici “ del Comune hanno sostenuto il contrario. Inoltre hanno dato parere favorevole alle “car-sharing” (che non sono a gas). In più il Comune dà via libera alle moto e motocicli. Non vi sembra che ci sia della incoerenza? È “giusto” che una persona che abita da decenni in centro debba vedersi tagliare gli ingressi in modo massiccio? Debbono andarsene dal centro? Voi! Che ne dite? Avete intenzione di pronunciarvi?

Scrive Elena Morgante a proposito di realtà, opinioni e media – Caro Arcipelago, ho letto l’articolo riferito ai volontari che hanno lavorato ad Expo. Questo articolo, come le notizie fresche di giornata sull’esito delle elezioni americane, contribuisce a mettere a nudo un dato molto importante anche per quel che accade nella nostra città di Milano. C’è un paese reale e un paese diverso che è quel che risulta dalle descrizioni di alcuni politici o persone importanti tramite i media. Un paese reale e un paese dei benpensanti che ritengono che, certe cose, siano buone per la città e le persone, mentre queste ultime e il paese reale non le percepisce affatto come tali.
Il problema è che oggi anche i Media più che dare voce a questo paese reale, enfatizzano e fanno da cassa di risonanza a quelle poche persone, anche politiche che, magari, sono effettivamente animate da buoni propositi, peccato che propongono tramite i media come “bene” e “priorità” per la gente quel che hanno in mente loro e che, dunque, non è “bene” collettivo, bensì particolare. In questo Milano è la capofila su molti argomenti, anche quelli sui quali si profonde un certo buonismo filantropico di facciata, però dalle fondamenta fragili. Pochi lo dicono apertamente.
Si sa ad esempio cosa pensa il paese reale dell’operato dei Servizi sociali di Milano e della galassia delle miriadi di Onlus che vi ruotano attorno? E degli orientamenti sui temi della famiglia? E degli stranieri?
Forse varrebbe la pena di approfondire il tema sentendo le persone che ci hanno avuto a che fare. Ma questo è solo un esempio, per di più scomodo perché scardinante luoghi comuni.
Dopo le nuove elezioni americane, mi auguro davvero che i media facciano un mea culpa e si interroghino sul loro ruolo. A mio avviso dovrebbe venire prima il compito di registrare i fatti realmente accaduti piuttosto che l’orientamento dell’opinione pubblica sul quel che dovrebbe accadere nel futuro (e che poi non sempre accade), rivelando così che le prospettazioni erano solo funzionali a influenzare in anticipo l’opinione pubblica per condizionarla a far accadere quel che alcuni avevano in mente. Ma per fortuna, come insegna anche il Vangelo, la realtà è più grande delle opinioni e il suo impatto fisico e concreto è dirompente, anche in un mondo che, con internet, si sta convertendo da realista a virtuale.

Scrive Robert Sélitrenny su Mozart massone – Vedo con piacere che il caro amico Paolo Viola fu un’attento ascoltatore alla mia conferenza intitolata « Mozart … o Amadeus?», conferenza che, per caso, precedeva di pochi giorni il fatto descritto (e giustamente criticato). Avrei volentieri detto « un’attentissimo ascoltatore » se, in più, l’amico Viola fosse stato disturbato o addirittura scioccato dall’assenza totale di ogni riferimento di Mozart alla cosa massonica … .

Replica Paolo ViolaIl Maestro Robert Sélitrenny prima ancora di essere un grande direttore d’orchestra è un grandissimo amico al quale sono debitore di appassionate conversazioni e di preziosissimi approfondimenti, come quello su Mozart che lui qui ha ricordato. Capisco molto bene il suo punto di vista e ne prendo atto, ma devo confessare che – per un preciso motivo che proverò a spiegare – non sono stato disturbato né tantomeno scioccato dal fatto che nello spettacolo di Axelrod, così come nel film di Forman, non vi fosse alcun riferimento all’appartenenza di Mozart alla massoneria viennese.
Credo infatti fermamente che le motivazioni che sono alla base dell’ispirazione artistica come la filosofia, la politica, la religione, gli aspetti caratteriali o biografici, gli eventi significativi o le impressioni fuggevoli, in sintesi tutto ciò cui può essere attribuita la genesi dell’opera, in particolare quando si tratta di musica, non vada confusa con l’opera stessa. In altre parole la musica dovrebbe essere oggetto di analisi, di studio, di godimento, a prescindere dall’occasione che l’ha generata, occasione che invece riguarda la storia della musica: materia affascinantissima ma che non è la musica; i legami tra l’una e l’altra possono essere studiati, possono anche offrire spunti e contributi utili alla comprensione di un’opera ma a condizione di tenere ben separate le due cose.
In altre parole, così come non credo che si possa correttamente definire “religiosa” la musica cosiddetta “sacra” di Bach (mentre è comunque importante indagare la sua presunta religiosità o i rapporti del Kantor con la Thomaskirche di Lipsia), non si dovrebbe definire “massonico” Il Flauto Magico ancorché possa essere utile conoscere sia i simboli massonici di cui è infarcito, sia gli importanti rapporti che Mozart ha intrattenuto con la massoneria e sui quali il Maestro Sélitrenny ha recentemente tenuto una illuminata e deliziosa lezione. Lo spettacolo di Axelrod si occupava d’altro e ritengo che da parte mia sarebbe stato improprio allargarsi.

Scrive Andrea Vitali a proposito di urbanistica milanese – Vorrei ricordare a Lodovico Meneghetti che l’intervento Pirelli-Bicocca, che tanto aborre, è stato progettato da due noti e stimati urbanisti e architetti milanesi, Bernardo Secchi e Vittorio Gregotti, spesso citati fra i rappresentanti della cultura tecnica cittadina del “ben fare”. Ricordo che dove adesso c’è l’orribile piazza Gae Aulenti (davvero grezzissima, concordo, sembra un lungomare adriatico), per cinquant’anni c’è stato un Luna-Park abbandonato, perché il Comune progressista non riusciva a decidersi su cosa fare delle ex Varesine, che aveva chiesto a Ferrovie di dismettere per realizzare il Centro Direzionale. Cinquant’anni di immobilismo, e poi non ci si deve stupire se vengono fatte le cose male, purché si facciano.
In altre parole, il “rito ambrosiano” è solo l’altra faccia del “benaltrismo” che non conclude nulla, i due estremi di un pendolo fra cui si continua a passare, senza riuscire a trovare un ragionevole punto di equilibrio (forse la cosa più difficile). Aggiungo poi sulla Bicocca che Meneghetti sbaglia ad attribuirla ad un accordo fra Tronchetti e Albertini. La Bicocca, come noto, fu impostata ai tempi di Pillitteri e realizzata ai tempi di Formentini. Albertini ha giusto tagliato qualche nastro e completata l’opera (questo per attribuire i giusti meriti-demeriti politici).

Replica Lodovico MeneghettiGentile Andrea Vitali, non so se sia vero che, circa la Bicocca, Albertini abbia solo tagliato il nastro per l’inaugurazione. Mi sembra riduttivo accennare solo a questo in un articolo di 14.000 caratteri.
Quanto alla realizzazione del quartiere, lei si sbaglia e offende ad attribuirmi giudizi o sentimenti che non mi appartengono (“aborre…”!!). Non sono mai entrato nel merito del progetto. Ho sempre criticato la scelta di espandere la città proprio lì (chissà perché), senza alcun riferimento a un piano urbano complessivo, o almeno a un’idea di città pubblicamente discussa.
Vedo che lei non conosce la storia, se vuole minore, dell’architettura italiana. Vittorio Gregotti ed io, con Giotto Stoppino, tenemmo studio di architettura (parola onnicomprensiva) nei due decenni Cinquanta e Sessanta, prima a Novara poi a Milano. Riviste di ogni genere e libri illustrarono le nostre opere, la critica fu sempre attenta. Quando ci separammo (1969), fu per seguire nel prosieguo vie diverse. Io mi dedicai con nota dedizione soprattutto alla scuola. Guarda caso, qualche mese fa, è stata discussa al Politecnico di Milano e al Politecnico di Torino un tesi di laurea sugli” Architetti Associati Gregotti, Meneghetti, Stoppino”, collettivo operante nel periodo di cui sopra. Con Bernardo Secchi, poi, non ho mai avuto uno screzio durante la comune presenza nella facoltà di architettura.

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema


13 novembre 2018

la posta dei lettori_14.11.2018

AA. VV.



6 novembre 2018

la posta dei lettori_07.11.2018

AA. VV.



10 luglio 2018

la posta dei lettori_11.07.2018

AA. VV.



3 luglio 2018

la posta dei lettori_03.07.2018

AA. VV.



26 giugno 2018

la posta dei lettori_27.06.2018

AA. VV.



19 giugno 2018

posta dei lettori_19.06.2018

AA. VV.


Ultimi commenti