17 settembre 2014
ROSITA BOSCHETTI
OMICIDIO PASCOLI
IL COMPLOTTO
Mimesis editore
pp.160, euro 18
Dopo quel 10 agosto 1867 nulla fu più come prima per la famiglia di Giovanni Pascoli, al tempo dodicenne. Suo padre, Ruggero, potente amministratore “in pectore” del principe Torlonia, liberale, sindaco per un anno nel 1859 di San Mauro, fu assassinato mentre tornava con il suo calesse a Savignano. Da questo fatto scaturì la dolente e arcinota poesia “La cavalla storna“. Da allora la famiglia Pascoli, di ben otto fratelli, dovette vivere delle piccole rendite della madre e di una non lauta pensione a lei offerta dal principe Torlonia.
Chi lo uccise e perché è la finalità dell’opera di Rosita Boschetti, direttore del Museo Casa Pascoli di San Mauro, casa natale del poeta. Merito del testo è quello di avere ricostruito il clima conflittuale politico e sociale della Romagna di quegli anni tumultuosi a ridosso della annessione, già sotto lo Stato pontificio, al Regno di Sardegna. L’autrice ha intessuto ad arte la tela di un presunto complotto ordito ai danni di Ruggero Pascoli, grazie a nuove fonti reperite tra numerose lettere e documenti di Archivi storici della zona, carte processuali, testimonianze, tutte citate nel testo. Pur nella sparizione dolosa di numerose fonti, come la denuncia della contadinella che aveva assistito al delitto, o la lettera di minacce al fratello del Poeta, Giuseppe Pascoli, sul suo letto di morte, una morte sospetta.
Di certo Ruggero Pascoli aveva molti nemici, specie all’interno del Consiglio comunale, a causa della sua intransigenza e delle simpatie per la nuova Monarchia dei Savoia, avverso dunque alla forte componente Repubblicana della zona. E all’interno di questo partito sembra debbano ricercarsi il mandante e i due sicari: nonostante il clima diffuso di omertà, i nomi dei responsabili girarono da subito per le vie e le osterie del paese, ma nonostante ciò il processo allora istruito fu intentato contro ignoti, e i sicari non furono mai nemmeno interrogati, un ergastolano che aveva fatto rivelazioni interessanti sul caso fu assassinato, non si riuscì nemmeno a stabilire l’arma del delitto, e le carte processuali furono poi date la macero.
Si adombra nel libro che il mandante dell’omicidio, l’influente possidente repubblicano Pietro Cacciaguerra, contendesse al Pascoli la sua carica di amministratore delle immense proprietà del Torlonia, tant’è che dopo la sua morte ne assunse la carica. Ruggero Pascoli costituiva un ostacolo a eventuali affari di acquisti e vendite di terreni al Principe, operazioni immobiliari che poi ebbero corso. Il Caccciaguerra anzi si distinse per nuove tecniche di coltivazione agraria.
L’esecutore materiale del delitto fu indicato nel “famigerato” repubblicano Luigi Pagliarani, detto Bigeca, farmacista, allora ventenne, riconosciuto al tempo del delitto dalla contadina trentenne Filomena Lucchi, che lo salutò nel vicino campo, poco prima dello sparo al Pascoli: la sua testimonianza sparì dal tavolo del pretore incaricato dell’indagine, che subito dopo venne rimosso.
I fratelli Pascoli, proprio perché il processo non dette loro giustizia, condussero indagini private e per questo furono minacciati di morte, tant’è che l’amministratore del capitale degli orfani Pascoli, Ercole Ruffi, industriale dello zolfo, fervente repubblicano, consigliò vivamente Giovanni Pascoli ad andarsene dal paese “Tornate a Bologna, mettetevi a dozzina da una vecchia ricca e fatevi mantenere”, perché non sarebbe comunque mai riuscito a conoscere la verità. Forse il Ruffi era convinto della sua tesi, perché conosceva l’influenza politica del mandante?
Né mancarono i depistaggi sui giornali del tempo, come l’addebito dell’omicidio ai contrabbandieri del sale, i quali odiavano Ruggero Pascoli, perché autore del divieto di attraversare le proprietà del Torlonia con la loro merce fuorilegge.
Si da il caso che nel 1891, a 24 anni dall’omicidio del padre del Pascoli, avvenne a San Mauro un omicidio rivelatore: il presunto assassino Luigi Pagliarani fu ucciso in una pubblica rissa nella piazza del paese, dall’oste Salvatore Zani, detto il Turoùn, per futili motivi di gioco delle carte. Sospetto è il fatto che lo Zani, latitante per un mese, tornò, rese testimonianza e fu assolto per legittima difesa, quando tutta la meccanica del caso rivelava invece un omicidio premeditato. Da chi era protetto? Ecco allora il ragionevole dubbio, insinuato dall’autrice, che il Pagliarani, quell’anno caduto un bancarotta, bisognoso perciò di aiuto economico, avesse potuto ricattare l’autorevole mandante, e perciò fu fatto tacere .
Nel 2012, a 100 anni dalla morte del Poeta, fu inscenato un nuovo singolare processo d’appello, alla presenza di magistrati in carica, e fu così pronunciata la definitiva sentenza di condanna per i sicari già allora individuati, senza peraltro potere coinvolgere i veri mandanti per mancanza di prove. Una magra soddisfazione postuma per la famiglia Pascoli.
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero