28 maggio 2014

musica – SCHUMANN E CAMPANELLA


 

SCHUMANN E CAMPANELLA

Durante un saggio musicale di bambini ai primi anni della scuola di pianoforte ho riascoltato in questi giorni alcuni dei 43 pezzi che compongono il celebre “Album per la gioventù” (Album fűr die Jugend, opera 68) pubblicato da Robert Schumann nel 1848 per le sue tre figlie. Di questi pezzi – suddivisi in due parti, i primi 18 “per i più piccoli” e gli altri 25 “per i più grandi” – lo stesso autore in una lettera alla sua Clara ebbe a dirne “… queste cose ti stupiranno, cose folli e qualche volta solenni, scritte ridendo e piangendo …”. Una magnifica chiave interpretativa se si pensa al valore didattico di questi piccoli capolavori; e non c’è nulla di meglio che ascoltare i bambini alle prese con le loro prime importanti opere musicali per capire la drammaticità del conflitto, o la difficile coniugazione, fra “tecnica” e “interpretazione”.

musica20FBQuesti pezzi sono stati registrati pochi anni fa da Michele Campanella – che fra un mese avremo occasione di risentire alla Milanesiana nell’Aula Magna del Politecnico, in concerto con Monica Leoni – e ripropongo qui di seguito la bella nota tolta dalla copertina del CD con cui il pianista prende con grande acutezza le distanze dalla “tecnica” fine a se stessa:

«Penso siano ben pochi i pianisti che non abbiano avuto occasione di conoscere qualche brano dell’Album per la gioventù di Schumann durante i primi approcci con lo strumento. I pregi didattici dell’opera sono fuori discussione: nelle loro piccolissime dimensioni i frammenti della raccolta sono assai ricchi di spunti per l’insegnamento e per l’apprendimento del fraseggio, del canto, della caratterizzazione; ma il loro valore è soltanto questo? Sono degni di essere eseguiti da un pianista maturo, di essere inclusi nel repertorio alla pari con le altre raccolte schumanniane? Se son qui a scriverne evidentemente penso di sì, ma per decenni ho sacrificato questa piccola grande opera alla doverosa indagine sulle opere maggiori di Schumann, quelle che lui stesso chiamava Großes stücke; e dava sui suoi Kleines stücke giudizi sempre più distaccati. Con il metro estetico di oggi, Papillons e Intermezzi, Kleines stücke giovanili appunto, sono l’inveramento della sua grande rivoluzione, la svolta che eleva il frammento sino a renderlo alternativo alla “Forma Sonata” tradizionale, ormai sclerotizzata.

Negli anni in cui Schumann scriveva Trii, Quartetti e Sinfonie, la produzione per pianoforte si ridusse drasticamente e perciò il numero d’opera e l’anno di pubblicazione rappresentano un significativo ed eccezionale sguardo all’indietro. Sguardo arricchito da due motivi che si erano sviluppati in quegli anni: il Lied e l’Hausmusik. Dimensioni che avevano entrambe prodotto spettacolari risultati musicali e aperto nuove prospettive alla creatività schumanniana. Nel nostro caso le conseguenze di queste diverse esperienze si manifestano nel linguaggio: tutto è canto, canto senza parole ma inequivocabilmente vocale. E il Lied ha affinato in Schumann la capacità di miniaturizzare una forma semplificata, ma efficace, e straordinariamente comunicativa. Con essa nascono il quadretto di genere, il bozzetto, il ritratto, luoghi dove appunto si realizza ciò che l’Hausmusik predilige (si veda Canto del nord,
Siciliana, Canto dei marinai italiani, La Befana, La canzone del nuovo anno e tanti altri). Il salotto chopiniano o lisztiano si riduce al soggiorno di casa, per un ascolto limitato alla famiglia borghese ove non c’è posto per grandi gesti, né pianistici né letterari. Questa riduzione al minimo esprime da una parte un mestiere, una maturità formale indiscutibile, dall’altra quella tendenza all’arretramento che caratterizza – si può grossolanamente dire – la creazione del tardo Schumann. Gli slanci e il coraggio dei primi brani pianistici sono gradatamente abbandonati per conquistare una solidità e una pacatezza consona ai fruitori musicali della classe borghese tedesca cui Schumann si rivolgeva. Canto popolare, corale luterano, oltre a un prudente gusto per l’esotismo (Sheherazade) e un certo sapore zuccherino, sono insieme stili musicali e annotazioni di costume. Resta intatto il prodigioso dono della poesia, la quale si annida anche nelle paginette che si preannunciano di maniera.

Ecco perché, al di là del poco prestigio che può produrre il rispolverare l’Album, questi brani emanano un fascino discreto e malizioso (ascoltate Mignon …) a cui, una volta preso in mano lo spartito, non si resiste.

Si pensa che l’Album sia un’opera facile, per principianti: lo è. Ma come tutte le opere facili in cui manca uno spessore denso e virtuosistico del dettato pianistico, l’Album fűr die Jugend nella concretezza si rivela molto pericoloso: il pericolo sta nel fatto che le piccole cose richiedono un controllo del suono ben superiore a una Rapsodia Ungherese. La “tecnica” non è virtuosismo, espresso prevalentemente in velocità e forza, bensì produzione del suono. Un solo accordo richiede definizione “tecnica” affinché produca la sua giusta ed efficace sonorità. E l’Album è quindi, nei fatti, difficile» (M. Campanella, 2003)

Proprio in questa settimana, in piazza del Duomo, si presume davanti a più delle 50.000 persone dell’anno scorso, Lang Lang esegue il Concerto n. 2 per pianoforte e orchestra di Rachmaminov, con la Filarmonica della Scala diretta da Esa-Pekka Salonen; ho la sensazione che si tratti di un altro mondo, diverso da quello di cui stavamo parlando, e sono in difficoltà a immaginare cosa ne penserebbe Rachmaninov.

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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