28 novembre 2012

QUELLA STRANA IDEA DI CITTÀ METROPOLITANA DEL GOVERNO MONTI


Il 24 ottobre su Affari Italiani, pur professandomi convinto sostenitore della linea Monti, avevo espresso severe critiche, basandomi sulle prime anticipazioni giornalistiche, sul Decreto Legge sulle Province che il Governo si accingeva a varare. Il titolo del mio intervento, del resto, era estremamente chiaro: “Quel pasticcio brutto del decreto sulle Province”. Concludevo tuttavia il mio intervento con una nota di ottimismo: “A ogni buon conto, qualunque sarà il destino delle Province, dovremmo finalmente assistere alla realizzazione delle Città metropolitane. Provvedimento questo che costituirebbe un vero fattore di ammodernamento della pubblica amministrazione locale”.

Ebbene, dopo aver letto il Decreto Legge n. 188 del 5 novembre 2012, pubblicato il Gazzetta martedì 6 novembre, devo affermare che non soltanto la mia nota di ottimismo risulta per gran parte fuori luogo, ma che la mia fiducia nel governo “tecnico” ha subito un duro colpo. Le ragioni del mio sconcerto prendono le mosse dalle modalità di elezione del Consiglio Metropolitano previste dal DL, ma aprono seri interrogativi su quale sia l’idea di Città Metropolitana del Governo.

Mentre proponevo, ben prima che il governo Monti vi provvedesse il 5 dicembre 2011 con il DL “Salva Italia”, di abolire l’elezione diretta dei Consigli Provinciali e di procedere alla loro elezione attraverso l’Assemblea dei sindaci, non convengo sull’opportunità che lo stesso avvenga per l’elezione del Consiglio Metropolitano e che lo stesso sia composto, come per le Province, da un numero massimo di dieci membri. Il dibattito sulle Province verteva sull’opportunità o meno di abolirle (visto che a oggi le loro competenze, anche a causa di un centralismo regionale non rispondente al dettato costituzionale, risultano sostanzialmente “residuali”), da qui il consenso su elezioni di secondo livello.

Personalmente, per inciso, ho già avuto modo di esprimermi su ArcipelagoMilano a favore non soltanto del mantenimento delle Province, rivedendone le funzioni nel più generale riordino delle competenze degli enti locali, e per il depotenziamento del centralismo gestionale e amministrativo delle Regioni (sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, così come stabilito dall’art. 188 della Costituzione), ma anche della riduzione del loro numero, purché realizzata attraverso opportuni accorpamenti, individuati sulla base di criteri di efficienza. Criteri, ribadisco qui, che non ritrovo tra quelli adottati dal Governo.

Ben diverse sono le questioni per le quali si richiede da (troppo) tempo la costituzione delle Città Metropolitane. Alla Città Metropolitana, infatti, dovranno essere trasferite non soltanto le competenze attuali e future delle Province, ma anche quelle dei comuni aventi valenza sovracomunale. Una cessione di poteri importante da parte degli attuali comuni e non indolore. Da qui la nascita di un Ente con poteri “forti” che necessita, a mio avviso, di un “governo forte e autorevole” quale soltanto l’elezione diretta del Sindaco e di un Consiglio Metropolitano, composto da un numero di membri adeguato per garantire le rappresentanze dei territori che compongono la città metropolitana, può garantire.

Aiuta, forse anche i tecnici, un po’ di storia. L’esigenza di realizzare un livello di governo per l’area metropolitana Milanese è stata avvertita prima ancora della nascita della Regione Lombardia. Il 5 novembre 1961 si riunisce la prima Assemblea dei Sindaci, comprendente i 35 Comuni individuati dal decreto ministeriale 28 febbraio 1959, che delibera la nascita ufficiale del PIM. Il PIM era retto da un’Assemblea dei Sindaci e da una Giunta esecutiva, avvalendosi, sotto il profilo tecnico, di un Comitato Tecnico Urbanistico e di un Ufficio Tecnico. L’idea che la guidava era appunto quella di delegare a un ente sovra comunale le competenze dei comuni in materia di governo del territorio e di grandi infrastrutture a partire da quelle per la mobilità (allora i temi dell’ambiente non erano neppure presi in considerazione).

Ma il principale limite di quell’esperienza stava proprio nel “deficit di legittimità” della sua rappresentatività, riducendo via via il PIM, a una sorta di Centro Studi (scelta poi ufficializzata dall'”amministratore di condominio” Gabriele Albertini), con gli abitanti dei comuni foranei in stato di palese subalternità nei confronti dei cittadini milanesi. Subalternità che verrebbe confermata qualora si procedesse all’elezione indiretta del Sindaco e del Consiglio Metropolitano per il potere di condizionamento che Milano eserciterebbe all’interno dell’Assemblea dei Comuni. Da qui il dibattito sviluppatosi fin dalla fine degli anni ’60 sull’opportunità di istituire la Città Metropolitana e di chiamare tutti i suoi cittadini a eleggere direttamente i suoi rappresentanti (allora non esisteva l’elezione diretta del Sindaco).

Colgo questa occasione per ribadire alcune altre riflessioni, che ritengo utili per quando il dibattito pubblico su questi temi, oggi concentrato sulle vicende elettorali della Regione Lombardia, entrerà finalmente nel vivo del futuro della Città Metropolitana.

a) Un approccio al tema Città Metropolitana fondato sostanzialmente sull’equazione “abolizione della Provincia uguale risparmio” risulta fuorviante rispetto agli obiettivi che stanno alla base della sua realizzazione. Ciò non toglie che il riordino delle competenze e delle funzioni tra i diversi soggetti presenti nell’area metropolitana milanese deve avere come orizzonte la riduzione della spesa pubblica unitamente al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, dell’efficienza e della qualità dei servizi.

b) Rappresentatività e partecipazione devono trovare risposte analoghe (se non uguali) per le comunità dell’attuale Milano e per quelle dei comuni della provincia milanese.

c) L’ente di governo dell’area metropolitana milanese dovrà essere dotato di poteri e strutture adeguate al ruolo e ai compiti che gli verranno affidati.

d) Da ultimo, posto che la proposta per la Città Metropolitana di Milano deve partire dalle realtà della nostra provincia e rispondere alle sue reali esigenze, potrebbe essere utile, se del caso, un provvedimento legislativo ad hoc, come è stato per Roma Capitale.

Massimo Gargiulo

 

 



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