26 settembre 2017

musica – UN ABRUZZESE SUL LAGO D’ORTA


Domenica si è concluso il sessantesimo Settembre Musicale a San Giulio, una delle chicche della meravigliosa provincia italiana che di provinciale non ha proprio nulla, anzi si direbbe proprio il contrario. Su questa minuscola isoletta del Lago d’Orta, che da sola vale il viaggio, pochi edifici (una basilica romanica, un antico monastero, alcune residenze dall’aria fra il rustico e l’aristocratico) si addensano intorno a una stradina che in cinque minuti a piedi la fa girare e vedere tutta.

musica31FBUna di queste case, la settecentesca Casa Tallone, è diventata famosa grazie a questi ormai tradizionali cicli di concerti autunnali, fortemente voluti dal suo proprietario Cesare Augusto Tallone (1895-1982), che iniziò la carriera di accordatore di pianoforti (leggendario fu il suo rapporto professionale con Arturo Benedetti Michelangeli) per diventare il primo e il miglior costruttore di grancoda italiani.

Una famiglia straordinaria, quella dei Tallone: dal pittore Cesare (1853-1919, professore di disegno a Brera e ritrattista della regina Margherita) ai suoi undici figli – oltre al citato Cesare Augusto, definito da Gabriele d’Annunzio “artefice in costruzioni sonore” e autore del delizioso volumetto Fede e lavoro. Memorie di un accordatore (Milano, Rugginenti, 1978), si ricordano in particolare Enea architetto, Guido anch’egli pittore, Emilia violinista concertista, Ermanno antiquario, Giuditta disegnatrice, Alberto editore (la cui casa editrice è tutt’ora attivissima e nota per i libri preziosi dai testi interamente composti a mano con caratteri di piombo) – tutti hanno raggiunto un pezzo più o meno grande di celebrità.

In casa Tallone, dunque, si svolge ogni anno questo Settembre Musicale a San Giulio che è stagione breve ma di altissima qualità tanto che l’esservi invitati a suonare è sempre motivo di orgoglio per gli interpreti; spesso si tratta di musicisti importanti, dalla fama consolidata, talvolta di giovani all’inizio della loro carriera.

E giovanissimo è il pianista Michele D’Ascenzo, nato e cresciuto all’Aquila, che l’altro giorno ha chiuso la stagione con un magnifico concerto, iniziato con Schubert (Sonata in la minore op. 42) e concluso con Prokof’ev (Sonata in do minore op. 29), che ci ha fatto riscoprire la sorprendente suite (non saprei come chiamarla altrimenti) dal curioso titolo Musica ricercata, scritta nei primi anni cinquanta da un Ligeti non ancora trentenne.

Michele D’Ascenzo è allievo del bravissimo maestro russo Vsevolod (detto Sheva) Dvorkin che, vivendo da anni a Como dove convergono allievi da mezza Europa per perfezionarsi con lui nello studio e nell’interpretazione dei classici del pianoforte, credo si ritenga ormai italiano a tutti gli effetti. I

l risultato della sua grande passione e competenza l’abbiamo potuto verificare proprio in questa occasione in cui il giovane D’Ascenzo ha sfoggiato, oltre alla perfetta padronanza della tastiera e al preciso controllo del suono, una considerevole lucidità interpretativa: nessuna sbavatura, né titubanze o incertezze, neppure nella difficilissima Sonata di Prokof’ev. Persino esagerato: vorremmo quasi suggerirgli di assecondare più il cuore e l’istinto che la ragione, di “lasciarsi andare” così come l’abbiamo sentito nello Scherzo della Sonata di Schubert che palesemente lo emozionava e lo divertiva.

Che gioia sentire e vedere (perché la musica dal vivo, specialmente in ambienti piccoli, offre anche questo piacere!) un ragazzo di ventitré anni affrontare grandi classici con l’umiltà che essi richiedono ma anche con la sicurezza che deriva dalla severità e profondità dei propri studi!

Come ci si può lamentare, di fronte a questi esempi – e, lo vediamo, sono tanti – del modo in cui crescono le nuove generazioni? E non si tratta di ragazzi privilegiati, che hanno trovato le strade aperte dalla famiglia o dalla sorte (in questo caso ad ostacolarlo si è messo di mezzo pure il terremoto!), ma di ragazzi con le idee chiare, ricchi di passione e di determinazione, capaci di affrontare fatiche e sacrifici.

Per affrontare la complessità della Musica ricercata di Ligeti, infatti, non occorre solo “avere tre o cinque mani” come sostiene Alfred Brendel, ma dedicarle una quantità impressionante di ore di studio e soprattutto possedere una tecnica perfetta. È composta da undici pezzi così organizzati: il primo usa esclusivamente una nota – il la – che salta e si raddoppia su diverse ottave e solo alla fine aggiunge una seconda nota, il re; il secondo è formato da tre note, il terzo da quattro e così via finché l’undicesimo, dove sono presenti tutte e dodici le note della scala cromatica, è una quasi fuga / quasi dodecafonica.

Detto così può sembrare una provocazione mentre si tratta di un magnifico pezzo che dà l’emozione di confondersi fra il mondo sonoro di Bach e quello di Schönberg! Ottimo anche il bis, la Fuga XXI in si bemolle maggiore dal secondo libro del Clavicembalo ben temperato di Bach, con la quale D’Ascenzo ha non solo dimostrato la propria maturità musicale, ma ci ha anche ricordato che la chiarezza e la compostezza dell’esecuzione non devono diventare freddezza e tradire il carattere ascetico e contemplativo che è ragion d’essere dell’opera bachiana.

Questo concerto ha anche messo in evidenza l’abissale distanza della scuola europea da quella che accomuna i ragazzi che vengono dall’Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea), più che perfetti tecnicamente ma spesso culturalmente estranei alla musica occidentale. Mentre gli orientali sono aiutati dal fatto di esercitare su di noi il fascino del loro venire da lontano, i ragazzi europei – propheti in patria – fanno grande fatica a farsi conoscere e riconoscere. Andrebbero sostenuti e valorizzati anche perché rappresentano straordinari esempi di come ci si può costruire il futuro in epoche così complicate.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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