12 ottobre 2016

musica – POPOLARE O COLTA, COMUNQUE MUSICA


Avevo affrontato il tema della leggerezza nella musica classica, aiutato da Italo Calvino e dalle sue indimenticabili “Lezioni americane”, per ribellarmi all’idea che solo la musica leggera potesse dichiararsi tale, lasciando così intendere che la classica – per contrapposizione – debba essere considerata “pesante” (idea tutt’altro che peregrina se vi capita di parlarne con uno dei tanti che, pur amanti della musica, rifiutano totalmente il classico e rifuggono dalle sale da concerto e dall’opera lirica dicendo – appunto – che sono “pesanti”).

musica33Devo essermi spiegato molto male se – come hanno potuto constatare i quattro lettori di questa rubrica – due dotte amiche sono intervenute la settimana scorsa formulando acute osservazioni sul concetto di leggerezza applicabile alla grande musica, citando e commentando opere come il Don Giovanni e il Requiem di Mozart o il Tristano di Wagner. Non solo, ma a proposito delle definizioni di musica “colta” e “popolare”, da me riproposte ma avanzate da ben altri prima di me, sono stati citati due pesi massimi come Adorno e Baricco in disaccordo sul valore e il senso della “popolarità” della musica di Puccini (e aggiungo che Abbado non amava Puccini tanto che non ne diresse mai un’opera). Vorrei dunque tornare sull’argomento non senza esprimere grande riconoscenza ad Altea Pivetta e a Maria Matarrese Righetti per il loro importante contributo sul tema e per averne ampliato il quadro di riferimento.

È assolutamente vero che tanto popolare non è leggera quanto colta non è pesante, e altrettanto vero che non esistono barriere invalicabili fra l’una e l’altra; è vero anche il contrario, che popolare talvolta è greve e che colto spesso è leggiadro. Soprattutto è vero che la contaminazione fra i due generi ha prodotto molti capolavori: non solo Puccini, ma dai madrigali all’opera buffa, dall’operetta al musical, dal jazz al gospel la storia della musica è ricchissima di ogni genere di sconfinamento. Della musica popolare si sono fatti paladini e interpreti quasi tutti i grandi compositori (si pensi – solo per fare qualche nome – a Chopin o a Béla Bartók) e molti compositori di musica leggera hanno pescato a piene mani nel classico (il famoso tema del Jesus Christ Superstar è stato preso di sana pianta da un Corale della Johannes Passion di Bach).

Allora? Allora si tratta di sapere in che cosa consista la differenza di genere fra classica e leggera, o come le vogliamo chiamare, di capire la ragione per cui la differenza esiste e perché tanta gente sente i due generi incompatibili e inconciliabili (confesso, se ce ne fosse bisogno, che appartengo alla schiera sicuramente minoritaria di coloro che sono sostanzialmente disinteressati alla – per non dire infastiditi dalla – musica “leggera”, salvo poi amare perdutamente le canzoni napoletane cantate da Murolo o quelle francesi interpretate da Charles Aznavour!).

Quindici giorni fa ho azzardato, con tutti i dubbi del caso, l’ipotesi che l’una – leggera o popolare – sia rivolta a un pubblico quanto più vasto possibile, non necessariamente dotato di strumenti di analisi del testo musicale, piuttosto incline a farsi attrarre da ritmi incisivi e talvolta ossessivi o attirato da morbide melodie o da testi poetici di immediata comprensione.  E che l’altra – colta o classica – sia invece dedicata a un pubblico più avvertito, che possiede o dovrebbe possedere strumenti più sofisticati di ascolto e di lettura e soprattutto una minima educazione musicale. In tal caso à ovvio che la leggerezza – comunque la si voglia definire, si sia o meno d’accordo con Calvino – non avrebbe alcun ruolo nel discrimine fra i due generi e nulla a che fare di specifico né con la musica popolare né – tantomeno – con quella colta.

Mi fa piacere segnalare ai lettori che mercoledì 26 ottobre al MA.MU. una serata particolare di musica e letteratura sarà dedicata al tema della leggerezza – non a caso per iniziativa della associazione “Farfalle di luce”! – con ottimi interpreti e con gli stessi protagonisti di questo dibattito.

Tutto ciò premesso vorrei esprimere una particolare concordanza di opinioni con Maria Matarrese Righetti laddove ella rifiuta l’invito di Einstein a “tenere la bocca chiusa” dopo aver ascoltato la musica, e ad ascoltarla, suonarla, amarla ma non commentarla. Non sono d’accordo neanch’io con Einstein perché – a differenza delle altre arti le cui opere vengono in qualche modo valutate dal mercato e, sia pure con i limiti che tutti conosciamo, finiscono per avere anche un prezzo – la musica non si vende. (La stessa cosa avviene per il teatro che tuttavia ha uno sfogo parziale nella pubblicazione del testo; anche la musica viene pubblicata e venduta, ma non credo siano i copioni e gli spartiti a decretare il successo né della musica né del teatro). Lo sapevano e lo sanno molto bene i compositori di tutte le epoche che all’opera del musicista il valore lo attribuisce solo il gradimento e l’apprezzamento del pubblico. Che senso avrebbe dunque non manifestarlo?

E già che ci siamo aggiungo di essere favorevole non solo all’espressione del consenso, ma anche a quelle (garbate) di dissenso in quanto anch’esso è una chiave essenziale per misurare il livello di intesa fra autori e ascoltatori, a mio avviso sempre necessario a indirizzare la ricerca verso nuovi o rinnovati linguaggi o verso inusuali contenuti. Possiamo discutere sui modi per manifestare il consenso e il dissenso, per esempio sulla opportunità di rispettare i tempi della concentrazione e della riflessione prima e dopo un’esecuzione, o di evitare atteggiamenti da stadio, sempre più frequenti, ma immaginate come sarebbe triste se tutti ci comportassimo con la musica come davanti a un quadro, in imperscrutabile silenzio!

Paolo Viola

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 



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