25 maggio 2016

CITTÀ METROPOLITANA: I TEMPI BREVI E LUNGHI DEL PROGETTO

Le tre condizioni essenziali di un progetto urbanistico


Parlare di “progetto” nelle questioni che riguardano la trasformazione territoriale e metropolitana solleva spesso perplessità, se non allarmismi, perlomeno nella nostra realtà nazionale. La nozione di progetto riferita all’ambito urbanistico, nella percezione comune, e anche di molti esperti in materia, è spesso legata all’incremento di quantità edilizia, con le conseguenti valutazioni negative, soprattutto in questo frangente di tensione alla salvaguardia di risorse. E verso il “progetto” si contrapporrebbero invece le “norme”, queste sì ritenute adatte, nell’interesse delle generazioni a venire, a ridurre il più possibile gli “impatti negativi”, considerati inesorabilmente connaturati al progetto stesso.

04marinoni19FBHo letto quindi con interesse l’articolo di Paolo Pomodoro Progetti al potere: pensare alla Città metropolitana, apparso due settimane fa su ArcipelagoMilano, che cerca di riabilitare il progetto nella sua accezione più ampia e più alta: quella di un processo culturale, creativo e tecnico – insomma politico.

Nel tentativo di corroborare le tesi di Pomodoro aggiungo qualche riflessione, partendo da quello che sta avvenendo in altre città europee – Barcellona, Parigi, Amburgo, Amsterdam, per citarne solo alcune – che nel progetto, nel suo significato più alto, ci credono da almeno tre decenni. Una cosa interessante è constatare come il progetto di trasformazione urbana e territoriale in questi casi si sia evoluto verso approcci tesi a configurare visioni di ampio respiro di riqualificazione di territori urbanizzati. Sia pur focalizzato a modificare nello specifico e in tempi brevi gli spazi urbani e paesaggistici, il progetto così inteso non si limita a cristallizzare quantità e funzioni in indici urbanistici, ma ambisce a divenire guida flessibile, individuando principi di trasformazione qualitativa – non solo quantitativa – del territorio, nel lungo periodo.

Questa forma di progetto è chiamato in Francia Projet urbain, in Spagna Proyecto urbano, nel mondo anglosassone Urban Strategies, in Italia, benché poco praticata, Progetto urbano. E agisce a una scala intermedia, tra la parte interessata alla specifica trasformazione e l’intera strategia di riorganizzazione urbana o metropolitana. Caricandosi oltretutto di valori strategici, interagendo con le decisioni prese a scala ampia, e sollecitando al contempo tale scala ampia a modificare o precisare le proprie previsioni. In quest’accezione, il progetto urbano, oltre a essere uno strumento operativo è anche un approccio teorico. E richiede di scardinare quella consuetudine che vede il progetto dedotto dalle norme di pianificazione di natura prevalentemente quantitativa, richiedendo invece di avviare un circolo virtuoso dove progetto specifico e strategie generali si modificano vicendevolmente, in una spirale di continuo arricchimento reciproco. Nei casi virtuosi, si intende.

E i casi virtuosi rivelano tre cose. Un progetto urbano deve essere sempre condotto da un progettista colto e capace, e non sempre queste caratteristiche si ritrovano in un archistar. Le sue pratiche danno risultati soddisfacenti di modifica qualitativa di città e territori quando agiscono come progetto coordinato tra molteplici componenti: urbana, paesaggistica, infrastrutturale, economica. E inoltre deve innescare il circolo virtuoso, cui accennavo prima, con le politiche urbane di lungo respiro, che devono durare ben oltre il singolo mandato elettorale di sindaci e giunte.

Ma per essere concreti faccio qualche esempio. La riqualificazione di Barcellona in preparazione all’evento delle Olimpiadi del 1992. È un caso noto, dove specifici progetti urbani di riqualificazione territoriale, condotti da architetti capaci, si sono intrecciati con le politiche urbane di un sindaco illuminato come Pasqual Maragal. Con il progetto di riconquistare il Mediterraneo alla città, sintetizzato nello slogan Le Olimpiadi durano quindici giorni ma la città rimane per sempre, in trent’anni ha preso forma il nuovo fronte mare della città, uno degli spazi pubblici contemporanei più ampi e più fruiti d’Europa.

Ma anche Parigi ha espresso grande lungimiranza nel progetto di lungo corso Paris se lève à l’est, lanciato dal sindaco Jaques Chirac negli anni Ottanta. Politiche di sviluppo del trasporto pubblico e di recupero di aree industriali e scali ferroviari in disuso interagiscono con specifici Projets Urbains di alta qualità, che nell’insieme hanno riqualificato in trent’anni la periferia est di Parigi, dal Parc de la Villette alla Seine Rive Gauche. E Amburgo con Hafen City, come Amsterdam con Oostelijk Havengebied, progetti legati alle strategie metropolitane di riorganizzazione del trasporto pubblico e del sistema infrastrutturale per riconquistare alla città i rispettivi porti dismessi.

Possono questi approcci aiutarci a pensare il futuro della Città metropolitana di Milano, nelle intenzioni di avviarne la riconfigurazione in una nuova forma urbis, adatta ai contemporanei rituali di vita dei suoi quattro milioni di abitanti e visitatori?

 

Giuseppe Marinoni



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