25 maggio 2016

musica – ANCORA LE GOLDBERG, IN VERSIONE PIANO CITY


L’insistenza su questo tema credo sia motivata non solo dalla impressionante grandiosità dell’opera ma piuttosto dalla continua evoluzione e mutazione della sua interpretazione e della percezione che ne ha il pubblico. Quella di sabato mattina all’alba è stata una esecuzione sublime e in presenza di un pubblico che mai avrei potuto immaginare interessato alla più astratta e intellettuale opera del più astratto e intellettuale compositore che la musica colta occidentale abbia mai visto. Sto parlando ovviamente delle cosiddette “Variazioni Goldberg” di Johann Sebastian Bach la cui esecuzione nel nuovo spazio di BASE in via Bergognone – a conclusione della maratona notturna che Piano City ha proposto con il nome di Piano Night – avevo annunciato nella rubrica della settimana scorsa.

musica19FBInnanzitutto lo spazio. Non molti avranno avuto modo di frequentare questo pezzo della vecchia fabbrica dell’Ansaldo che, insieme agli altri già occupati dal MUDEC e dai laboratori teatrali della Scala, contribuisce a creare il nuovo importante polo culturale della città che si sta sviluppando intorno a via Tortona. “BASE  è il nuovo progetto per la cultura e la creatività a Milano. Nasce per innovare il rapporto tra cultura ed economia, futuro e quotidianità, tra democrazia, benessere ed economia della conoscenza, tra innovazione sociale e sviluppo. Non a caso “base” significa “fondazione”, l’inizio di qualcosa di nuovo, ma anche il supporto che fa stare in piedi un progetto e lo rende solido. Una base è un nuovo inizio, una nuova forma di linguaggio da creare ex novo. Sogno e concretezza insieme”.

Di fatto è uno spazio ex-industriale molto suggestivo, organizzato intelligentemente, articolato e arredato per forme di spettacolo alternative, informali, dirette, per abbattere la distanza psicologica fra chi fa spettacolo e chi vi assiste. Non vi sono sedie o poltrone allineate, numerate e tutte eguali, ma a qualche sedia sparsa in platea si mescolano poltrone e poltroncine, divani e divanetti, qualche materasso su cui sdraiarsi e persino delle chaise-longues con pouf poggiapiedi! Ne deriva un ambiente rilassato, sciolto, conviviale, assai distante da quello ingessato del teatro classico o dell’auditorium. Un ambiente che potrebbe aversi anche nella Palazzina Liberty, ove una volta si svolgevano le aste del mercato ortofrutticolo, ma dove ora le classiche file regolari delle sedie negano libertà e fantasia a uno spazio che potrebbe essere molto più attraente e piacevolmente alternativo.

Poi l’orario. L’Aria iniziale delle Goldberg è stata eseguita alla luce della luna piena che entrava dalle grandi vetrate; le trenta Variazioni sono state accompagnate dalla luce dell’aurora che sfumava in quella dell’alba; infine la ripresa dell’Aria si è svolta nel cielo luminoso del sole appena sorto. Un incantamento.

E il pubblico. Soprattutto ragazzi e ragazze, molto diversi tra loro sia per l’età (alcuni potevano sembrare ancora adolescenti, altri erano decisamente più maturi) che per l’abbigliamento e l’atteggiamento: dai tipi “centro sociale” agli evidenti borghesi eleganti, vi era di tutto un po’, li accomunavano l’impegno e l’interesse per l’ascolto, anche quelli sdraiati sui materassi.

Infine l’interpretazione. È noto che questo gigantesco monumento bachiano – dopo le incisioni di Wanda Landowska al clavicembalo del 1933 e del 1946 – è stato per così dire inventato al pianoforte da Glenn Gould che ne ha inciso due diverse letture a distanza di diciotto anni una dall’altra (1955 e 1973). Dopo di allora vi è stato un grande vuoto, nessuno voleva misurarsi con quelle due esecuzioni; poi, poco a poco si prese coraggio, si cominciarono ad ascoltare i primi ardimentosi, e oggi – quarant’anni dopo – vengono suonate praticamente da quasi tutti i pianisti. Ma con approcci, intenzioni, impegno e risultati molto diversi fra loro.

L’interpretazione che ne ha dato Monica Leone l’altra notte (o l’altra mattina, come si vuole) è a par mio rivoluzionaria e considerevolmente evoluta rispetto a quelle finora ascoltate. Comincio col dire che la pianista non fa minimamente sentire il peso della difficoltà tecnica, che pure è gigantesco, nessun affaticamento o forzatura; l’esecuzione scorre con incredibile naturalezza. La cosa più sorprendente è l’architettura su cui ella poggia l’intera esecuzione; non si limita a esporre una semplice sequenza di variazioni che si differenziano solo per la tecnica compositiva scelta dall’autore (canone, giga, ouverture, fuga, ecc.), ma descrive un lungo viaggio, con un inizio e una fine, di cui si percepiscono i momenti di gioia, di eccitazione, leggerezza, meraviglia e quelli di sconforto, stanchezza, riflessione, cedimento, senza mai perdere l’intensità e l’emotività dello stato d’animo del viaggiatore, senza sottrarlo alla ineluttabilità del suo procedere.

In funzione del significato che ciascuna variazione esprime con la propria struttura, il pianoforte allude in alcuni passaggi alle sonorità sommesse del clavicembalo per poi crescere di potenza fino a evocare il suono di un grande organo. Le corone e le pause che segnano il passaggio da una variazione all’altra assumono significati diversi a seconda della relazione fra il brano che si conclude e quello che sta per iniziare; soprattutto sono intese a predisporci all’ascolto del pezzo successivo. I cosiddetti “ritornelli” non sono la meccanica ripetizione della parte appena eseguita ma ne rappresentano l’eco oppure la perentoria riaffermazione. E quando arriva il momento del Quodlibet (la trentesima variazione, che tale in realtà non è) è la gioia liberatoria e trionfale di chi è giunto a conclusione dell’impresa, mentre il ritorno finale dell’Aria si intride della nostalgia per il viaggio compiuto. Un ascolto avvolgente ed emozionante come pochi altri fin qui sono riusciti a offrirci.

Paolo Viola

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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