3 maggio 2016

LA CITTÀ METROPOLITANA: UNA STORIA DI POTERE


La storia – La pluridecennale vicenda delle città metropolitane non è un storia di dibattiti intellettuali ma una storia di resistenza conservatrice alla modifica degli assetti di potere, i cui protagonisti hanno nomi e cognomi istituzionali. Nel 1990 la Legge 142 istituiva le città metropolitane e affidava agli enti locali l’attuazione delle nuove istituzioni. Per ventiquattro anni sindaci di capoluoghi e di grandi comuni, amministratori di regioni, partiti a livello locale, amministratori di aziende pubbliche, tutti depositari di piccoli o grandi poteri (e relativi canali di spesa) si sono opposti alla ricomposizione dei poteri che l’istituzione delle città metropolitane avrebbe comportato, sorretti nell’azione di resistenza conservatrice da un’economia in crescita, da un mercato immobiliare in continua espansione, da una spesa pubblica senza i limiti del fiscal compact.

04targetti16FBAnche molti studiosi del territorio sono stati prudentemente contrari all’”istituzionalizzazione della Città Metropolitana” cioè alla reale modifica dell’assetto dei poteri. Lo Stato, dopo aver inserito in Costituzione le città metropolitane, nel 2001, non si è più occupato della questione.

L’esito – Oggi la politica nazionale ha strumenti deboli per governare l’economia. Anche la politica locale incide sempre meno. La spesa pubblica è ridotta e controllata centralmente perché soggetta ai vincoli di Maastricht. Far quadrare i bilanci dei Comuni è impresa ardua. La rendita immobiliare si è ridotta drasticamente e si concretizza in misura significativa solo in limitate parti del territorio, nei centri delle città maggiori e nei luoghi del turismo di lusso. La ricchezza si concentra sempre più nelle mani di chi ha capacità di relazioni extranazionali e che ha quindi pochi riferimenti al territorio.

In questo scenario vengono istituite d’”imperio” le città metropolitane, con la Legge n. 56 del 2014.  Sembrerebbe una vittoria del fronte riformatore: in realtà la partita è praticamente chiusa. Le nuove città metropolitane sono istituzioni debolissime, elette in secondo grado, amministrate nel tempo “libero” da amministratori eroici, già oberati dai problemi dei loro comuni, con risorse decrescenti; il destino delle città metropolitane è comunque considerato questione locale. La Città Metropolitana di Milano ha rischiato il commissariamento per deficit.

Le prospettive per Milano – Nello scenario della mutata struttura economica del Paese, Milano “funziona” comunque: si trasforma, cresce, attira investimenti. È la politica che deve dimostrare che l’istituzione Città Metropolitana è utile. Dovrebbe servire ad elevare la competitività e la qualità della crescita della più forte area economica del Paese e a distribuirne equamente i vantaggi; dovrebbe garantirne la sostenibilità ambientale. Indicando obbiettivi concreti.

Ma in queste condizioni di estrema debolezza delle istituzioni, della politica e dell’economia, la Città Metropolitana di Milano avrà una prospettiva solo se sarà nazionale ed europea (oltre che regionale). Ma ancora una volta bisognerà rimettere in discussione l’assetto dei poteri, anche rinunciando ad affermare un’autonomia autoreferenziale di stampo “federale” che la globalizzazione e il debito pubblico nazionale hanno di fatto già spazzato via. La questione della Città Metropolitana di Milano è questione nazionale. Se si vuole che la città competa sul piano internazionale bisogna concentrare risorse politiche ed economiche. La Città Metropolitana, la Regione e il Governo devono concordare una strategia concreta e assumersi la responsabilità di attuarla.

La modifica istituzionale, primo obbiettivo strategico della Città metropolitana – La prossima amministrazione metropolitana, dopo le imminenti elezioni del capoluogo, dovrà decidere se attivare le procedure per rafforzare l’istituzione, possibilità prevista dalla legge, pur con procedure faticosissime. La riforma comporterà: l’elezione diretta del Sindaco; la nomina o elezione di amministratori esclusivamente dedicati al governo metropolitano; l’articolazione del Comune di Milano in municipalità; la conseguente disarticolazione dell’apparato burocratico e l’attribuzione alla Città Metropolitana delle tecnostrutture e delle aziende pubbliche, a partire da ATM.

Gli obbiettivi strategici della Città Metropolitana di Milano – Comunque, indipendentemente dalla scelta di modificare l’assetto istituzionale, la Città Metropolitana, dopo il Piano Strategico, dovrà adottare il Piano territoriale metropolitano (lo prevede la legge nazionale). Il Piano strategico appena adottato dal Consiglio metropolitano non programma le procedure di modifica istituzionale, delinea un quadro di governance su base volontaria, a poteri immutati, e rinvia al PTM l’individuazione di obbiettivi “territorializzati”. Il Piano Territoriale dovrà  indicare obbiettivi concreti di assetto del territorio metropolitano.

Obbiettivi di rilevanza nazionale e regionale. Per esempio. Risolvere il nodo di Milano della rete europea (TEN) e della rete regionale delle infrastrutture di trasporto (secondo passante?). Organizzare l’intermodalità pubblica per il trasporto merci. Sviluppare la rete del ferro e il trasporto pubblico in ambito metropolitano. Portare a soluzione prioritarie emergenze ambientali, come il Seveso. Riorganizzare assi strategici come il Sempione. Rigenerare le parti obsolete del territorio metropolitano: gli scali ferroviari, le grandi aree dismesse, le caserme con funzioni di rango superiore. Rafforzare il carattere multipolare dell’area metropolitana e ripristinare le connessioni con il territorio della secessione metropolitana (la ormai ex Provincia di Monza). Elevare la qualità abitativa delle periferie più difficili. Soddisfare la domanda di abitazioni sociali che si concentra nell’area metropolitana. Dare sostegno alla ricerca e all’innovazione (il polo tecnologico di Post – Expo) ecc..

Sono questioni che i nuovi amministratori di Milano dovranno affrontare anche nella revisione del PGT, come hanno giustamente sostenuto su ArcipelagoMilano Giorgio Goggi, Emilio Battisti e altri, ma il sindaco di Milano sarà anche sindaco metropolitano e dovrà attivare con coerenza e sinergia i due strumenti di governo del territorio metropolitano.

Le questioni sul tappeto dunque escludono la rivendicazione di un’autonomia antistorica e impongono la ricomposizione dei poteri tra il Capoluogo, i Comuni, la Città Metropolitana, la Regione e il Governo.

La Regione Lombardia e la Città Metropolitana – La Regione Lombardia deve esprimere la propria visione strategica per il “core” del territorio regionale e concordare con la Città Metropolitana obbiettivi concreti, coerenti tra Piano territoriale regionale e Piano territoriale metropolitano. Lo prevede la legge regionale n.32 del 2015. Una strategia cui far seguire una coerente politica di bilancio della Regione.

Lo Stato, le città metropolitane e la CM di Milano – Lo Stato dovrebbe avere una politica per le città metropolitane che oggi sono riferimenti essenziali dei programmi di sviluppo europei. Un impegno diretto dello Stato significa un ministero, un’agenzia, un organismo governativo dedicato alle città metropolitane, tecnicamente e culturalmente attrezzato per governare, insieme agli enti locali, la complessità di quelle aree. Capace di attivare con rapidità ed efficacia i programmi di intervento nazionali (PON) ed europei (fondi strutturali 2014 – 2010). Altri paesi europei lo hanno fatto per le loro capitali e per le città maggiori: per esempio la Francia e l’Inghilterra.

I rappresentanti lombardi in Parlamento, se pensano che la Città Metropolitana sia un’istituzione utile, dovrebbero chiedere al Governo di assumersi un impegno politico ed economico diretto per Milano, Città metropolitana europea, non episodico (vedi Expo). Senza deleghe a terzi. Non è la Cassa Depositi e Prestiti che deve progettare il dopo Expo, non sono le Ferrovie che devono decidere la sorte degli scali ferroviari di Milano; non è il Ministero della Difesa che deve fare urbanistica trattando il destino delle caserme; non è l’ANAS o ancora le FFS che devono decidere tempi e modi di realizzazione dei “Corridoi della rete europea TEN” ecc., ecc.

Sono le istituzioni elette e politicamente rappresentative che devono governare, a partire dalla pianificazione del territorio: Governo, Regione e Città Metropolitana. Così la politica potrà forse recuperare efficacia e credibilità.

Ugo Targetti

 



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