30 settembre 2015

musica – EROI O SCIAGURATI?


EROI O SCIAGURATI?

Il mito di MI.TO. sta crollando. Noi musicofili certo non ce lo possiamo augurare, ma che il castello fosse costruito sulla sabbia molti di noi lo intuirono fin dall’inizio, a molti non piaceva, a me in particolare: l’ho considerato un coacervo di programmi e di interpreti messi insieme senza un pensiero coerente, ho riscontrato molta improvvisazione e soprattutto qualità incostante. Il colmo dell’improntitudine si è verificato negli ultimi concerti per i quali, tre giorni prima, sono stati messi in vendita a un euro – segnalando la cosa con SMS a varie associazioni musicali – quegli stessi biglietti che gli ascoltatori più solerti avevano pagato quaranta euro nei giorni precedenti! Una débâcle.

musica33FBL’ultima stagione si è conclusa la settimana scorsa veramente male, con una pessima Passione secondo Matteo al Conservatorio (anche se la gran parte del pubblico, non avvezza agli oratori bachiani, l’ha gradita e applaudita) eseguita da un grande e famoso complesso berlinese: l’Akademie für Alte Musik Berlin con sei cantanti solisti e il RIAS Kammerchor (la sigla è quella del Rundfunk im amerikanischen sektor, di drammatica memoria) per un totale di oltre settanta musicisti diretti da René Jacobs. Questo consistente organico, insieme con i suoi preziosi strumenti antichi, ha svolto per MI.TO. il seguente programma: giovedì 17 a Torino tre Concerti e una Suite di Bach; venerdì 18 a Milano al Conservatorio replica del concerto torinese; sabato 19 ancora a Milano e sempre al Conservatorio, la “Passione secondo Giovanni“, replicata domenica 20 a Torino al Lingotto; lunedì 21 ancora a Milano per la “Passione secondo Matteo” (della quale stiamo parlando) con replica a Torino martedì 22. Vi sembra possibile? Sei serate di fila, su e giù fra Milano e Torino, con tre programmi diversi e spaventosamente impegnativi. Sono eroi o sciagurati? E sono più sciagurati loro o i dirigenti di MI.TO.?

In conclusione non ho mai sentito una Matthäuspassion così noiosa e piatta come quella di questi stakanovisti berlinesi allo stremo delle loro forze! Le voci sono apparse inconsistenti (tranne quella ottima del baritono Andrè Schuen, nella parte del Cristo, per la quale peraltro Bach avrebbe voluto un basso) o più probabilmente esauste, ma ciò che ha depresso oltre misura l’esecuzione è stata l’esasperata ricerca della prassi esecutiva originale, settecentesca, portata da Jacobs fino al limite dell’insopportabile.

Si deve riconoscere lo sforzo fatto da Jacobs per ricostruire scenicamente quella sorta di sacra rappresentazione musicale che è la Passione: l’orchestra è stata divisa in due parti – due orchestre sistemate frontalmente ai lati del palcoscenico – con il basso continuo al centro (viola da gamba e liuto, cui si aggiungevano un organo e/o un fagotto), il coro diviso in tre sezioni, per enfatizzare le diverse parti che di volta in volta era chiamato a rappresentare, mentre più parti solistiche sono state affidate a elementi del coro per dare diversa rappresentanza ai vari personaggi dell’oratorio. Ma tutti questi “movimenti di scena” per portare di volta in volta solisti e cantanti alla ribalta finivano per disturbare la concentrazione dell’ascolto.

Tornando agli aspetti musicali viene da chiedersi: se tutte le esecuzioni di un’opera si attenessero scrupolosamente a una (ipotetica) unica modalità e riuscissero perennemente a riproporre l’interpretazione originalmente voluta o immaginata dall’autore, perché mai dovremmo continuare ad ascoltare e riascoltare le stesse musiche lungo tutto il corso della vita? Saremmo degli ascoltatori sprovveduti e ottusi, noiosamente aggrappati alle stesse pagine senza scoprire mai la modernità che i grandi capolavori riescono a perpetuare e che i grandi interpreti sanno svelare a ogni esecuzione. Come potremmo mai immaginare la prima rappresentazione dell’Amleto perennemente rieditata, con i registi e gli attori che la ripetono tal quale, pedissequamente, da secoli? Quante volte potremmo rivederla? E perché invece amiamo tornare ad ascoltare tante e tante volte le Passioni di Bach o i Quartetti di Beethoven?

La prassi originale, per quanto la si riesca a conoscere e riprodurre, dovrebbe essere materia di studio per i Conservatori più che di sale da concerto, se non in quelle particolari occasioni in cui la curiosità e il desiderio di conoscenza “storica” del pubblico prevalga sul piacere dell’ascolto e sulla voglia – innata negli interpreti e negli ascoltatori più esigenti – di ripensare e di rielaborare ogni volta i capolavori del passato.

L’altra sera al Conservatorio circolava una storiella divertente a proposito della filologia musicale e degli strumenti d’epoca: tempo fa il famoso direttore d’orchestra austriaco Nikolaus Harnoncourt, padre di quella prassi esecutiva, è stato improvvisamente colpito da un attacco di appendicite e doveva essere ricoverato d’urgenza ma pare che l’autoambulanza, dopo aver girato per ore la città, non sia riuscita a trovare un ospedale disponibile a operarlo con strumenti antichi!

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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