9 settembre 2015
PETER SCHNEIDER
GLI AMORI DI MIA MADRE
L’Orma editore, giugno 2015
pp. 300
Seconda Guerra mondiale. Crollo della Germania. Sopravvivenza. Fuga di milioni di cittadini nord sud. Lei, una giovane madre di quattro figli, sposa di un direttore d’orchestra, viaggia tutta la Germania in cerca di un rifugio tranquillo.
Tre amori certi di lei, il marito informato dalla moglie stessa, via lettera, sembra accettare la situazione senza fare scenate, perché li ritiene utili all’equilibrio della moglie, che sospetta sofferente di una lieve depressione. Date le circostanze estreme. Egli poi è tutto preso dal suo lavoro che lo obbliga a continue trasferte. Anzi, alla fine salta fuori un suo scritto dove la donna viene considerata una specie di santa per l’energia e la vitalità con le quali ha saputo gestirsi in quel tempo drammatico. Con a disposizione quasi sempre patate, patate … patate.
Certo ella ha saputo mettere a profitto le sue qualità di sarta, confezionando, aggiustando, rammendando abiti e biancherie che le signore del luogo le portavano, ignare della sua condizione di profuga nomade.
La storia si snoda attraverso la riproduzione del testo delle lettere, sempre in corsivo, che lei scriveva ai suoi cari, come soprattutto all’amante compositore, amico del marito. Il quale era veramente convinto che quello fosse l’unico modo per vivere.
Gli uomini fanno una figura abbastanza meschina. Impetuosi, partecipi, appassionati per l’arco limitato dell’incontro amoroso clandestino e poi a volte sei mesi di silenzi, laceranti per l’innamorata che dalle parole scritte dell’amato prendeva forza. Ma lui come un’anguilla imprendibile se ne andava, inseguendo al sua arte.
Uno spaccato della mentalità maschile dell’epoca e forse anche della nostra: almeno fino a quando il movimento femminista, ha avuto successo, con la rivendicazione del diritto a non essere sfruttate per la “leggerezza” dei cuori delle donne. La depressione è chiamata in causa per la fatica del vivere decentemente in case sempre diverse, sovraffollate, in una promiscuità esasperante, con una suocera contadina, sempre addosso .
Il narratore del romanzo è un bambino di 5 – 8 anni. fino a quando la madre muore giovane a 41 anni. È il terzo di quattro fratelli e dopo anni dai fatti raccontati, ormai quasi vecchio, lo scrittore riprende quella scatola di scarpe, che l’ha seguito in tutti i suoi spostamenti. Ove erano conservate le lettere della madre, una sorta di coperta di Linus e decide di trarne una storia. Ed è per questo che la scrittura è commovente, ironica, divertente.
Potrebbe essere il soggetto per un film. Un po’ costoso per la verità per le scene dei bombardamenti dei treni da parte degli aerei nemici o dei rifugi sotto i palazzi cittadini durante le incursioni.
C’è poi la grafia con caratteri “comuni”. E c’è voluto l’ausilio di un’amica per decifrare quella scrittura, incomprensibile all’autore. È singolare che né il marito, né l’amante abbiano espresso un giudizio positivo sulla madre scrittrice, che pure segretamente doveva nutrire aspirazioni letterarie. Peter Schneider, peraltro scrittore ultrafamoso nel suo paese, non si è lasciato sfuggire nemmeno lui un parere sullo stile della madre scrittrice, posto che il plot narrativo sia veritiero.
Fino al crudele epitaffio alla fine del libro: “Nell’ enorme lascito di Andreas (l’amante “beloved“) che è custodito all’interno di un museo teatrale, il nome della donna che fu sua amante per così tanti anni, non viene ricordato nemmeno con una sillaba”.
Marilena Poletti Pasero
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero