25 febbraio 2015
LIVIO ISAAK SIROVICH
“NON ERA UNA DONNA, ERA UN BANDITO”
Cierre edizioni, Verona, 2014
pp. 560, euro 18
Il libro verrà presentato mercoledì 25 febbraio, ore 18 a Palazzo Sormani, sala del Grechetto, via F. Sforza 7, Milano relatori Erminia Dell’Oro e Marco Cavallarin, a cura di Unione Lettori Italiani e ANPI
Quel 17 settembre del 1944 Rita Rosani, alias Rosenzweig, la diavoletta ebrea dai capelli rossi, una maestra di 23 anni, famiglia proveniente dalla Moravia, inurbata a Trieste sin dal 1905, non è più quella ragazzina borghese 16enne, vivace e frivola, grande lettrice della posta del cuore di “Grazia“, con il fidanzatino Kubi Nagler, galiziano, triestino, internato con il padre Salo, dopo le leggi razziali del 1938, nel campo di concentramento di Castel Frentano negli Abruzzi e prima di Casoli in Calabria. (E chi ne sapeva l’esistenza).
Rita ora è una partigiana, con il grado di tenente, unica medaglia d’oro della Resistenza concessa a una donna combattente. Muore sul Monte Comune, sopra Verona, armi in pugno, durante uno scontro a fuoco all’alba, presso al baito dove la banda partigiana “Aquila”, capeggiata dal colonnello Umberto Ricca, fidanzato di Rita, dormiva in attesa del lancio delle armi promesse, dagli aerei degli alleati.
Si racconta giù al paese che alla domanda di un milite fascista a Scaroni, colui che finì Rita, agonizzante, con uno sparo alla testa: “Ma era una donna” la risposta fu :”Non era una donna, era un bandito”. Sembra che il 18enne Dino Degani, il partigiano ucciso accanto a lei, sia tornato indietro in soccorso di Rita, ormai a terra ferita, e nessun altro. Suonano perciò false le affermazioni del Ricca, di averle tenuto la mano fino all’ultimo. Lui era già scappato di corsa dal baito, poi incendiato. Ma non si saprà mai bene la meccanica degli eventi, raccontati all’autore 45 anni dopo, dall’allora 20enne partigiano Gatto.
Di certo si può dire che il Ricca, grande tombeur de femme, era molto affezionato a quella “donna con il viso di bambina” e si prodigò subito nel dopoguerra per farle ottenere la medaglia d’oro. Si resta peraltro perplessi, dice il Sirovich, nel leggere la motivazione all’onoreficenza: “A Rita Rosani, “perseguitata politica”, e non “ebrea”. A testimoniare la grande confusione, i pregiudizi e i sensi di colpa che aleggiavano in quegli anni.
Perché Rita abbia voluto arruolarsi nelle file partigiane non si può sapere: è peraltro probabile che la giovane fosse sconvolta al limite della depressione per le leggi razziali del ’38, annunciate da Mussolini in persona proprio a Trieste, la città con il maggior numero di ebrei. Senza più passaporto, né nome, stranieri, apolidi, in quella che ormai consideravano la loro patria, i Nagler e il loro entourage, senza più lavoro, negozio, impresa, scuola, club del CAI, si sentirono all’improvviso sull’orlo di un baratro, una discesa agli inferi .
Di fatto dalla metà del ’43 fino all’aprile del ’45 le operazioni di concentrazione dei treni nei lager nazisti, subì una accelerazione spaventosa. A Trieste gli ebrei erano 7.000, rimasero in 1.000. Nella stessa Roma. , racconta David I. Kerzter nel suo “I Papi contro gli ebrei” il cardinale Maglione, quel 16 ottobre del ’43, impressionato dalla notizia del rastrellamento nel ghetto di Roma di più di mille ebrei, convocò d’urgenza l’ambasciatore tedesco per chiederne conto, senza successo, peraltro. E dire che gli alleati erano già sbarcati in Sicilia tre soli mesi prima, il 10 luglio del ’43. O forse proprio per questo.
Il libro di Sirovich si distingue per l’enorme mole di documenti, lettere censurate di Rita a Kubi, archivi giudiziari, testimonianze, che ci fanno incontrare i più noti protagonisti di quell’epoca tragica a Trieste, in un brillante reportage in forma di romanzo.
Come Eugenio Colorni, padre con Spinelli dell’Europa unita, professore a quel tempo alla scuola di Rita. Come Umberto Terracini, presidente della Costituente, che ha voluto appuntare di persona la medaglia d’oro al petto di Rosa Rosenzweig, mamma di Rita. Come Cesare Merzagora, cattolico liberale, autore di un discutibile decalogo per gli ebrei ritornati a casa. Come il poeta e libraio Umberto Saba, il cui negozio era a Trieste non lontano dalle case dei protagonisti. Come Riccardo Bauer, al quale Rita da giovinetta regalò una delle bamboline di stoffa fatte a mano da lei ,e che lui portò con sé da internato.
Fine indagatore l’autore (madre ebrea tedesca, padre slavo) che non si lascia sfuggire nessuna traccia per ricostruire, con passione, vite disperse nel tempo e documenti polverosi in costruzioni abbandonate .
E che ne è stato di Umberto Ricca? Finalmente arrivò l’agognata promozione nel dopoguerra, come generale, si diede allo studio della filosofia, scrisse la sua biografia, e diventò poi, lui monarchico, liberale, un fiero comunista. “Panta rei”.
Marilena Poletti Pasero
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero