21 gennaio 2015

musica – ABBADO, UN ANNO FA


 

ABBADO, UN ANNO FA

In questa settimana è difficile dimenticare il primo anniversario della scomparsa di Claudio Abbado; nei giorni successivi a quel 20 gennaio Bologna diventò meta di un pellegrinaggio ininterrotto di amici, estimatori, musicisti e musicofili di ogni genere; nella piazzetta di Santo Stefano – dove affacciava sia la sua casa che la piccola basilica romanica in cui era allestita la camera ardente – ci si incontrava e ci si abbracciava con gli occhi arrossati e con un senso di vuoto. E poi a Milano, la folla in piazza della Scala ad ascoltare la Marcia Funebre dell’Eroica, eseguita a teatro vuoto e a porte aperte, e al Piccolo il filmato del Viaggio a Reims. Tutto questo solo un anno fa e sembra sia passata un’eternità.

musica03FBA ricordarci tutto questo è arrivato con grande puntualità il bel volumetto “Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l’arte, l’impegno” (Guanda, 174 pagine) di Giuseppina Manin, la giornalista che per il Corriere della Sera ha seguito il direttore d’orchestra nelle più importanti occasioni della sua vita professionale, intervistandolo in tante circostanze, sì da poter dire di averlo ben conosciuto. Si legge di un fiato, questo libriccino i cui capitoli corrispondono alle date significative di una vita ricca di avvenimenti e di emozioni: da ragazzo, quando ha “incontrato” la musica, alle prime importanti prove della professione, negli strepitosi successi che si sono accavallati l’uno all’altro, fra le “sue” orchestre, negli affetti familiari e nella malattia. Non vi sono indiscrezioni, anzi, è un racconto molto discreto e scritto in punta di penna, pieno di grazia e di attenzione nei confronti di un’esistenza densa di studi, di riflessioni, di rapporti umani, di impegno sociale e sopratutto di rigorosa coerenza.

La Manin non è una storica né una critica musicale, e stupisce quanto sia attenta come osservatrice, professionale come cronista, fedele nel riconoscere qualità e meriti di tutti i personaggi che racconta: i genitori e i fratelli di Claudio (così amava farsi chiamare da tutti), i quattro figli – Alessandra, Daniele, Sebastian e Misha – e il loro attaccamento al padre, le loro madri (Giovanna Cavazzoni, Gabriella Graziottin, Viktorija Mullova), i grandi amici (fra cui Luigi Nono, Maurizio Pollini, Martha Argerich, Daniel Barenboim, Zubin Metha, Renzo Piano, Roberto Benigni, Giorgio Napolitano solo per ricordare i più noti), i suoi fan (gli “abbadiani itineranti”, capitanati da Attilia Giuliani, detta “Tilla”), i musicisti che lo seguono da un’orchestra all’altra sempre pronti a “suonare insieme” e a suonare con lui. E poi gli eremi, in Sardegna e in Engadina, e le residenze a Milano, Vienna, Londra, Berlino, fino a Bologna dove concluderà l’esistenza con grande dignità e serenità. Ma anche le passioni, come quelle per il mare e la montagna, per il calcio, per il giardinaggio.

Il libro mostra in filigrana i rapporti che Abbado ha avuto con orchestre e teatri – la Scala, i Berliner, i Wiener – e da quelle pagine si capisce quanto complicato sia il mestiere del direttore. Più di ogni altra cosa colpisce la descrizione della forza che la musica infonde in chi la pratica come lui, con passione e devozione, per combattere la malattia e il dolore: Abbado ha convissuto quasi quattordici anni con il suo terribile male, e vi è riuscito grazie alla musica.

L’altro aspetto di questa biografia – che l’editore chiama più giustamente un “vivido puzzle di memorie” – è l’impegno civile che ha caratterizzato tutta la vita di Abbado. Un impegno che non è mai stato un fiancheggiamento politico (“mai una tessera di partito”) ma piuttosto il sentirsi parte di una comunità, sempre dalla sua parte più debole: dalla musica portata nelle carceri, nelle scuole, negli ospedali, all’appoggio dato alla grande mobilitazione di Abreu per i ragazzi di strada, dalla denuncia delle sopraffazioni perpetrate nel Vietnam fino alla apertura – se vogliamo con qualche ingenuità – alla Cuba di Castro, Abbado ha assunto posizioni sempre ruvide, che avrebbero potuto costargli la carriera; non si poneva il problema del proprio particolare ma cercava di guardare, con generosità, al generale. E a differenza di tanti che hanno sfruttato il mondo dei giovani senza dar loro nulla o quasi nulla in cambio, ha permesso a un numero inimmaginabile di ragazzi e ragazze di trovare la propria strada nel mondo della musica: una nuova generazione di musicisti si è formata con lui e intorno a lui, e grazie a quella inesauribile fonte di energia è riuscita a costruirsi una – peraltro difficile – professione.

Una storia lunga ottant’anni che ha cambiato il mondo della musica lirica e sinfonica e soprattutto ha modificato la percezione che il mondo aveva di quella musica. Abbado è stato un campione dell’interpretazione musicale e della prassi della direzione dell’orchestra, assicurando all’Italia il prestigio internazionale che aveva conquistato con Toscanini e proiettandola ancora una volta nel mondo. Nelle pagine di Giuseppina Manin si sente questa ammirazione, priva di piaggeria e di enfasi; e se forse qua e là le pagine sono dolenti o segnate dalla nostalgia, appaiono sempre e fortemente permeate dall’ottimismo del loro protagonista. Il che, naturalmente, ce lo fa rimpiangere ancora di più.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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