10 dicembre 2014

CITTÀ METROPOLITANA E MUNICIPALITÀ: GESTIONE DAL BASSO


Le considerazioni di Fabio Arrigoni, presidente del Consiglio di Zona 1, nel suo ultimo articolo sullo statuto della Città Metropolitana meritano ulteriori approfondimenti. Il punto dei poteri delle zone attuali mi sembra sia marginale e persino deviante rispetto ai nodi istituzionali che la sua costruzione pone e che hanno assoluto rilievo per il futuro. La singolarità per cui Milano ha dovuto avere da Roma un impulso per avviare un processo che ha radici profonde temo stia facendo sì che la riflessione non tocchi gli aspetti essenziali.

08sarfatti43FBL’obiettivo è di dotarsi di una configurazione che renda la nostra area capace di competere al meglio con le altre città metropolitane europee sul terreno della dinamicità economica e culturale e della qualità della vita. Questo riguarda la generale funzione di programmazione, di cui peraltro non mi paiono adeguatamente riconosciuto gli obiettivi, quanto la sua capacità reale di funzionamento e di stimolo agli elementi propulsivi e alle molte eccellenze esistenti.

Oggi, ancora temporalmente lontani dal momento della definizione degli strumenti di programmazione, il nodo di fondo è quello istituzionale e riguarda innanzitutto le aree e le municipalità. Partiamo da qualche constatazione.

I confini attuali della città presentano profonde smagliature e intere aree gravitano sia verso l’interno, così come un territorio più vasto della città metropolitana, ma anche verso l’esterno che presenta punti di dinamicità spesso maggiori. Le zone di decentramento comunale non riflettono alcunché di questo. Addirittura non interpretano pienamente neppure punti di potenziale promozione del territorio. Penso quale esempio emblematico al sistema Navigli suddiviso in due zone più comuni esterni mentre sarebbe meglio interpretarlo come un sistema sempre più capace di sviluppare relazioni e iniziative.

Più in generale la questione reale è se pensiamo di costruire una città metropolitana che contenga elementi di dinamica sostanziale e che questi non siano soltanto concentrati. Perché ciò avvenga o sia almeno possibile con sufficiente respiro, l’intero territorio della città metropolitana deve essere articolato in modo tale da costruire entità capaci sia di erogazione di servizi sia di dinamismo e queste trovano un ostacolo non soltanto nelle dimensioni inadeguate dei comuni vicini a Milano o nella eccessiva dimensione di Milano ma anche nella separazione anacronistica delle aree milanese divise in zone costruite con altri criteri e in comuni la cui storia li ha portati a realizzare centri di iniziativa positivamente competitivi.

Senza voler elencare, e certamente senza completezza, penso ad Assago, a Cologno, a San Donato, a Cormano e mi chiedo se non sarebbero meglio non annessi a Milano, come rischiamo che di fatto avvenga, ma connessi a parti di Milano che altrimenti sono due volte periferie e diventino poli di vivacità. Potrebbero essere loro i soggetti forti della costituzione di nuove municipalità.

In termini storici penso anche al non pieno successo delle annessioni del passato, Corpi Santi e comuni entro la cinta ferroviaria e alla lunga riflessione sui comuni dell’hinterland come luoghi di connessione. Ma penso anche che oggi siamo oltre a entrambi questi livelli e che sia possibile ragionare in termini di valorizzazione di risorse costituendo centri di iniziativa. La gestione dal basso della realizzazione di nuove municipalità è questione non soltanto di pratica democratica ma anche di efficacia programmatoria.

Forse ci vorrebbe maggiore fantasia istituzionale e anche più attenzione alla realtà. Mi chiedo allora se il processo che ha sin qui riguardato, direttamente o indirettamente soggetti interessati al mantenimento di posizioni attuali o al massimo a volere qualche potere in più per le zone non sia deviante.

 

Roberto Sarfatti



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