10 settembre 2014

musica – BRAHMS E MI.TO.


BRAHMS E MI.TO.

Quando nel 1961 comparve sugli schermi di mezzo mondo il film “Le piace Brahms?” diretto da Anatole Litvak, con Ingrid Bergman, Yves Montand e Anthony Perkins, tratto dall’omonimo romanzo che Françoise Sagan aveva pubblicato due anni prima, Brahms era un musicista noto eamato prevalentemente da musicologi e musicofili; per i tanti che riempiono le sale da concerto era più una curiosità che un protagonista. La stessa sorte, peraltro, toccava a Mahler per il quale ci volle la bravura e la tenacia di Claudio Abbado per farlo conoscere e per farlo apprezzare e amare dal grande pubblico.

musica30FBDa qualche anno a questa parte Brahms ha sfondato nell’animo popolare a tal punto che il Festival MI.TO appena iniziato – che non è propriamente elitario, anzi – lo mette al centro dei propri programmi milanesi. E lo fa con tanta chiarezza che la serata inaugurale la dedica a ben due Sinfonie del poker brahmsiano, la Terza e la Quarta, quelle di cui Giacomo Manzoni dice che se l’una “si impone soprattutto per la straordinaria bellezza dei suoi temi“, l’altra “è indubbiamente il capolavoro sinfonico di Brahms” che si impone all’attenzione dell’ascoltatore per la “grandiosità degli sviluppi“.

MI.TO. curiosamente è partito dalle ultime due sinfonie, eseguite il 5 settembre alla Scala dalla Budapest Festival Orchestra diretta da Ivàn Fischer; poi si è spostato agli Arcimboldi dove a ritroso, il 9, la Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Temirkanov ha eseguito la Seconda, mentre la Prima sarà eseguita in chiusura del Festival il 21 settembre dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della Radio Polacca di Katovice, diretta da Alexander Liebreich (e quella stessa sera vedrà Krystian Zimerman al pianoforte eseguire l’Imperatore di Beethoven!).

Non basta, perché nei sedici giorni del Festival saranno proposti anche l’integrale della produzione pianistica brahmsiana con otto recital di giovani solisti, e poi ancora Lieder, Serenate, Danze Ungheresi, i Trii, il Quintetto opera 111, gran parte delle sue straordinarie Variazioni e l’emozionante Concerto per violino e orchestra affidato all’Orchestra dei Pomeriggi musicali diretta da Alapont con il violino di Sunao Goko. Insomma un vero e proprio festival brahmsiano all’interno del festival milanese.

MI.TO. ha colto nel segno perché una immersione nella musica di questo grande compositore ci mancava e arriva al momento giusto: dopo l’indigestione di Liszt e di Wagner che ci è stata imposta negli ultimi anni grazie ai bicentenari delle loro nascite (sono rispettivamente del 1811 e del 1813), il riavvicinamento a Brahms (che nasce solo vent’anni dopo ma sembra già un’altra era) ha quasi il sapore della riconquista della pura musicalità e poesia a fronte del virtuosismo di Liszt e della protervia intellettuale di Wagner. Senza togliere nulla alla grandezza di quella coppia – giunti entrambi all’apice della celebrità legati non solo da una improbabile parentela ma anche dalla volontà di eccellere, l’uno con il pianoforte l’altro con il teatro (“l’opera totale”) – Brahms ha restituito al suo secolo e alla sua nazione una straordinaria intensità emotiva. Un approccio dovuto sicuramente a quella nicchia di tensioni affettive in cui era cresciuto a Lipsia intorno a Robert e Clara Schumann e a Felix e Fanny Mendelssohn e che quando si è trasferito a Vienna, nel 1863, ha testardamente coltivato evitando i “salotti buoni” della città (che non eran pochi né poco determinanti per qualsiasi carriera) e maturando, in una vita sostanzialmente solitaria, quella intimità che per lui era l’unica vera fonte di ispirazione.

Il grande critico e musicologo ceco Eduard Hanslick, nella recensione alla prima viennese del Quintetto per clarinetto ed archi di Johannes Brahms (ricordate il capolavoro di Mozart per lo stesso organico?), scriveva (1) sulla Neue Freie Presse che “Mentre Haydn e Mozart (inizialmente anche Beethoven) sottolineano i singoli movimenti principalmente per mezzo del contrasto, mettendo un sofferente Adagio accanto a un gaio Scherzo e chiudendo in ogni caso con un Finale impetuoso, sereno o passionale, in Brahms vediamo lo sforzo di avvicinare fra loro i quattro movimenti in un graduale percorso. Il vero e proprio Scherzo, in lui, si lascia appena intravedere, ancor meno il Minuetto, al cui posto si trova per lo più un Andantino quasi Allegretto, un Allegretto non troppo. Le moderate indicazioni ‘non troppo’, ‘non assai’, ‘quasi’ etc., sono caratteristiche del tardo Brahms, che non supera volentieri un certo livello di emozione e che preferisce evitare i contrasti netti piuttosto che cercarli. Che ad alcuni ascoltatori sembrino auspicabili un gaio Scherzo dopo un primo movimento poco mosso e un Finale focoso e impetuoso dopo un cupo Adagio, non dev’essere taciuto né biasimato. Ma il senso di disappunto, dove fosse comparso, sparirebbe presto. Chi si è occupato a fondo e con amore di Brahms, amerà presto e prenderà confidenza con lo stile posato del suo periodo più tardo, con tutte le sue particolarità. Si deve affermare che ogni composizione più grande di Brahms nasconde in sé un merito segreto, cioè quello di darci più gioia al secondo ascolto che al primo“.

E vale anche la pena di rileggere Arnold Schönberg che scriveva, nel 1947 (2), “Ci sono ancora vecchi wagneriani a prova di bomba, nati al tempo della mia generazione e anche dieci anni dopo. Da un lato i pionieri dei progresso musicale, dall’altro i custodi del Santo Graal della vera arte, tutti si ritenevano legittimati a considerare con disprezzo Brahms, il classicista, l’accademico. Gustav Mahler e Richard Strauss furono i primi a condannare questo orientamento. Erano stati educati entrambi lungo le linee della tradizione e quelle del progresso, secondo la filosofia dell’arte (Weltanschauung) dí Brahms e quella di Wagner. Il loro esempio ci aiutava a capire che in Wagner c’era tanto ordine, se non pedanteria, nell’articolazione quanto c’era coraggio, se non bizzarra fantasia, in Brahms“.

Tutti argomenti, come si vede, per immergerci nell’intimità brahmsiana senza pregiudizi, pregustando la gioia di riascoltare la sua musica – come dice Hanslick – leggendola come gesto di distensione dopo le esibizioni muscolari di quei due colleghi poco più anziani di lui e come risarcimento per un lungo oblio che sicuramente non ha meritato.

Schönberg, subito dopo, aggiunge una notazione curiosa, che mi sembra piacevole ripetere: “La corrispondenza mística fra le date biografiche non suggerisce forse un rapporto più misterioso tra loro? Nel 1933 il centesimo anniversario della nascita di Brahms coincise con il cinquantesimo anniversario della morte di Wagner. Ora, mentre sto riscrivendo questo saggio, commemoriamo il cinquantesimo anniversario della morte di Brahms. I misteri celano una verità, ma stimolano la curiosità perché li sveli“.

 

(1) citato da Andrea Massimo Grassi in “Fräulein Klarinette. La genesi e il testo delle opere per clarinetto di Johannes Brahms”, ETS, Pisa 2006

(2) da Arnold Schönberg “Brahms il Progressivo”, in “Stile e pensiero.  Scritti su musica e società”, a cura di A.M. Morazzoni, Il Saggiatore, Milano 2008

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

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