25 giugno 2014

SANITÀ LOMBARDA: NON DIMENTICARE IL TERZO SETTORE


Il dibattito sulla riforma della sanità in Lombardia avviato su Arcipelago Milano da autorevoli esponenti del Pd, con diversi spunti interessanti e meritevoli di attenzione, rimane tuttavia circoscritto all’interno della cornice istituzionale e dei poteri attribuiti alla Regione.

02vicario24FBTutte le analisi condividono che l’anzianità media delle persone e la crescita della cronicità delle diverse patologie spingono verso una medicina territoriale sempre meno basata sulla centralità dell’ospedalizzazione e che l’organizzazione sanitaria debba fondarsi su servizi diagnostici, di cura e di riabilitazione più diffusi e con ruolo crescente dell’assistenza domiciliare.

Nel recente Congresso regionale del Sindacato Nazionale Autonomo Midici Italiani (SNAMI), il Professor Giancarlo Blangiardo, autorevole demografo dell’Università di Milano Bicocca, in aggiunta, ha segnalato alla platea che l’invecchiamento sta già riguardando anche la popolazione extracomunitaria residente, che aveva fin qui contribuito a contenere significativamente l’età media complessiva della popolazione. Fatto che sicuramente, in prospettiva, comporterà un aggravamento delle condizioni di sostenibilità del servizio sanitario regionale.

Al riguardo sorgono spontanee alcune domande. L’organizzazione più ottimale sul territorio dei servizi necessari a gestire tutte le problematiche connesse alla cronicità e, in particolare, all’assistenza domiciliare, è assicurata dalle competenze e dalle conoscenze della attuali strutture sanitarie regionali? La gestione delle differenze socio-sanitarie che caratterizzano i diversi territori lombardi sono compatibili con la definizione di parametri generali? Oppure l’organizzazione della sanità in divenire necessita di specifiche e diverse articolazioni in base alla caratteristiche dei singoli territori, che meglio possono essere comprese da chi quei territori governa?

In altre parole, alla costituenda Città Metropolitana e ai singoli Comuni, che poi possono anche consorziarsi, nel campo dell’assistenza socio-sanitaria non andrebbero trasferiti autonomi poteri decisionali con le relative risorse e non solo maggiori funzioni consultive? Lo spostamento della gestione della Sanità dalla Regione alla Città metropolitana ipotizzato recentemente dall’Assessore del Comune di Milano, Majorino, ad esempio, andava nelle direzione di una organizzazione sanitaria sempre più vicina al territorio. Ipotesi, però, immediatamente bocciata dai vertici regionali del Partito Democratico.

Sostenere che la maggior autonomia decisionale della Città Metropolitana e dei Comuni impedirebbe lo sviluppo di Reti regionali, come quella oncologica (ROL), è del tutto strumentale a mantenere in vita un sistema centralistico regionale che nella gestione e nel controllo non ha dato il meglio di sé. Già oggi Reti nazionali o internazionali si sviluppano non sulla base di una programmazione centralistica, ma sulla base di obiettivi e risorse condivise, da concordare tra i diversi soggetti coinvolti, sulla base degli obiettivi da perseguire.

Nel caso delle Reti regionali si può senz’altro prevedere un ruolo della Regione Lombardia, però non come Ente decisore finale, ma come soggetto portatore di obiettivi e di risorse nel confronto con le altre realtà partecipanti. Le reti cantonali e confederali, ad esempio, esistono e funzionano nella vicina Svizzera, in presenza di forti autonomie dei singoli Comuni.

Da ultimo, ma non meno importante, nel dibattito finora è rimasto assente il ruolo del Terzo settore e del volontariato. Nella migliore delle ipotesi li si ritiene utili a intervenire a fianco del pubblico nelle situazioni di emergenza, organizzativa o finanziaria, a patto però che non si metta in discussione la supremazia gestionale del settore pubblico. Resta, perciò, assente dal dibattito sul futuro dell’organizzazione sanitaria la necessità, di una concreta integrazione pubblico-privato non profit fondata su un sano principio di sussidiarietà.

Lo richiederebbe, in primo luogo, la scarsità delle risorse a disposizione del pubblico, ma anche la necessità di assicurare a un numero crescente di malati, servizi sempre più mirati. I buoni esempi, in termini di minori costi e migliori prestazioni, assicurati da diverse realtà non profit non mancano. Per vederli, e assumerli come modelli organizzativi, basterebbe guardarli senza prevenzioni, dettate solo da un’ideologia che rimane ancora troppo statalista.

 

Sergio Vicario

 

il dibattito sulla sanità lombarda

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