26 marzo 2014

musica – FILARMONICA DELLA SCALA


FILARMONICA DELLA SCALA

Mi scrive l’amico Raffaele Valletta, a proposito del concerto della Filarmonica della Scala del 10 marzo scorso, « … fatico ad accogliere il tuo invito – di portare la mia testimonianza di spettatore al concerto – perché di fronte a un evento del genere il buon gusto di ogni persona civile dovrebbe imporre un rispettoso silenzio.

musica12FBValerij Gergiev dirigeva il 3° Concerto in do maggiore op. 26, per pianoforte e orchestra di Sergej Prokof’ev, una composizione di grande impegno, in particolare per il pianista”… alle prese con grandi passaggi a ottave e grappoli di seconde maggiori in velocità ….” (così il commento del programma di sala). Ma questa non è una novità né una sorpresa per il pubblico abituato ai funambolismi dei giovani talenti e delle star del mondo artistico internazionale. La sorpresa spiazzante doveva essere un’altra.

Dal proscenio, accompagnato fino al pianoforte per mano dallo stesso direttore Gergiev, si presenta Nobuyuki Tsujii. È giapponese e sembra poco più di un ragazzo. È cieco dalla nascita, ma non solo. Colpisce il suo modo di muoversi, scoordinato e incerto. Colpisce il modo in cui fa ciondolare la testa, quando l’orchestra avvia le prime battute del concerto, a destra e a sinistra rendendo precaria la sua stabilità sulla sedia, denunciando movimenti compulsivi fuori controllo. Anche quando alla fine della sua fatica si rivolgerà al pubblico per salutarlo, agiterà la sua manina in modo frenetico quasi inarrestabile. Ma poi succede che nel momento esatto dell’inserimento delle sue battute, nel profluvio di note dell’orchestra, avvenga il miracolo.

Questo essere in preda a movimenti scomposti delle membra che sembravano con fatica rispondere agli impulsi del cervello, improvvisamente trova una coordinazione assoluta dettata dalla legge dei rapporti musicali della partitura. Le sue dita volano sulla tastiera a una velocità impressionante producendo un suono puro, cristallino, scandito nelle singole note, in arpeggi di una difficoltà sovrumana (per come sono eseguiti), perfetti. Non c’è una nota, un tasto fuori posto, e sono migliaia.

È inspiegabile come faccia, se non pensando alla particolare patologia da cui è affetto. I gangli nervosi cerebrali trovano nel ritmo e nell’armonia della musica quei legami e quell’ordine altrimenti per lui sconosciuti. È un fenomeno impressionante, sicuramente non comune, sembra non umano.

A questo punto ci si interroga se si possa in coscienza applaudire un “monstrum” (nel senso etimologico del termine) quale è sicuramente Nabuyuki Tsujii. Vien da pensare che la sua bravura tecnica derivi dalla malattia. Affiora il ricordo del non dimenticato campione di scacchi americano Fisher, la cui particolare conformazione mentale favoriva l’impressionante memoria e bravura. Fa pensare come una particolare conformazione fisica possa favorire il risultato dei propri exploit.

Se poi ricordiamo il tempo in cui la menomazione fisica veniva addirittura prodotta per ottenere particolari risultati, con orrore pensiamo al fenomeno dei “castrati” (è solo passato poco più di un secolo) in cui si interveniva con aberranti operazioni chirurgiche per ottenere risultati particolarmente apprezzati da una società oggi giudicata mostruosa. Recentemente si è aperto il dibattito sugli “outsider artists” (la “Lettura” del Corriere della Sera del 16 marzo), artisti ospiti di ospedali psichiatrici, per affrontare il tema se si possa riconoscere un valore artistico alle loro opere. La gente affolla entusiasta stadi, arene, circhi, per assistere agli exploit di “fenomeni” che vincono i limiti fisici imposti a noi, gente comune; e forse ciò è fonte di confusione.

«Andare alla Scala, in un teatro, o in una sala da concerto, dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) rappresentare un’altra esperienza. Voglio ascoltare l’interprete che sappia dare “la vita, con tutta la sua intelligenza, il suo spirito e i suoi sentimenti” a una pagina bianca con dei piccoli segni neri, che è un tesoro nascosto (molto spesso anche al suo autore) da scoprire, aprire e leggere per liberarlo dall’involucro (la scrittura e il tecnicismo materiale ) in cui è racchiuso.

Sicuramente mi sono sbagliato. L’altra sera, ho visto, più che ascoltato Nobuyuki e quindi non sono in grado di parlarne come artista. Mi riservo di ascoltarlo in qualche altra occasione (magari in disco sarà più facile) e alle prese con qualche diverso autore. Glielo devo!»

Mi ha scritto anche Dino Betti van der Noot a proposito di un altro concerto della Filarmonica alla Scala (recensito in questa rubrica due settimane fa) « … ha perfettamente ragione, personalmente sarei più severo a proposito della performance di Barenboim; non è soltanto un problema di doppio ruolo, ma quello che non funziona è la modestia tecnica del pianista e la mancanza di afflato con la musica di Mozart. Basta ricordare l’ultimo Don Giovanni … ».

E, come questi, ricevo tanti commenti che stridono sempre, fortemente, con l’apparente successo che si riscontra a teatro, specialmente alla Scala. Perché?

Un tentativo di risposta, ancorché molto parziale, l’avrei. Credo che la musica sia diventata anch’essa, come tutto, un “mercato” e che questo mercato sia dominato in parte dalle case discografiche e in parte dalle potenti agenzie che muovono i “loro” artisti come pedine sulla scacchiera. Dapprima li costruiscono, anche dal nulla, poi con tenacia e prudenza li fanno crescere, infine li giocano sul tappeto verde dei media, per esempio scambiando informazioni riservate con recensioni favorevoli, oppure li “vendono” a teatri e a organizzazioni di concerti a condizione che insieme prendano anche i meno buoni, con l’astuzia e il savoir faire dei bravi mercanti d’arte (ma si potrebbe anche dire dei mercanti di tappeti).

Insomma, come dice un altro lettore, ci fanno sentire spesso manipolati!

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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