18 dicembre 2013

libri – BUONGIORNO AFRICA. TRA CAPITALI CINESI E NUOVA SOCIETÀ CIVILE


 

RAFFAELE MASTO

BUONGIORNO AFRICA. TRA CAPITALI CINESI E NUOVA SOCIETÀ CIVILE

Bruno Mondadori, 2011,

pp. 193, € 16,00

 

Buongiorno Africawww.buongiornoafrica.it – è il titolo di un blog con cui Raffaele Masto, giornalista di Radio Popolare e inviato in varie aree del mondo, ma soprattutto in Africa, svolge con passione e competenza un prezioso lavoro di informazione sulla realtà africana di questi anni. Ed è anche il titolo di un libro con cui lo stesso Masto, nel 2011, ha inteso farci partecipi di una sua riflessione sul futuro dell’Africa, rivisitando con noi alcuni momenti paradigmatici selezionati tra i tanti viaggi che negli ultimi venticinque anni lo hanno visto percorrere, come inviato speciale, le aree di crisi di questo grande continente. Con sempre uno sguardo rivolto – al di fuori di ogni schema prefabbricato e dei soliti conformismi – a coglierne gli attuali, enormi problemi, in cui si rispecchiano e si svelano in maniera lacerante le contraddizioni del nostro mondo e le irrazionalità del nostro modello di sviluppo.

libri44FBIn questi anni l’autore ha vissuto in prima persona molti tra i processi e gli eventi che hanno profondamente cambiato l’Africa: dalla crescita economica di alcuni paesi, con la speranza che finalmente si stesse aprendo una via d’uscita dalla spirale del sottosviluppo, all’arrivo di capitali e tecnologia cinesi che ha messo fine al monopolio europeo e americano; dalla nuova corsa alle materie prime, in nome delle nuove tecnologie, all’accaparramento dei terreni, a danno dei contadini locali, per sopperire ai bisogni alimentari ed energetici di Occidente, Cina e Paesi Arabi; dall’esplosione demografica, con i conseguenti e imponenti flussi migratori, interni e verso il mondo sviluppato, alla crescita esplosiva delle baraccopoli attorno alle grandi città; dall’irrompere dell’integralismo islamico e dei movimenti jihadisti nel Sahel e nel Corno d’Africa, alle guerre che hanno devastato, con milioni di morti, vaste aree del continente. E, non ultimi, gli effetti del cambiamento climatico, che si profilano disastrosi sui fragili ecosistemi di questo grande ma vulnerabile continente. “L’Africa si prepara a finanziare il nuovo equilibrio geostrategico del mondo. Un ruolo, questo, al quale non è nuova ma che la storia ha evitato di riconoscerle“, non può fare a meno di constatare Masto nell’introduzione, nel cui titolo la domanda “Chi salverà l’Africa?” è subito corretta dalla nota pessimistica “ammesso che la si possa salvare“.

Non è casuale che prima tappa del libro sia quell’Etiopia che tanti eventi storici legano all’Italia e che “oggi è uno dei paesi più dinamici di tutta l’Africa“, nel pieno di un processo di “sviluppo” in cui i cinesi la fanno da protagonisti realizzando grandi opere la cui ricaduta sul benessere della popolazione è, però, più che dubbia. Il viaggio dell’Autore è alla ricerca delle tracce di Orazio Antinori, il naturalista che qui arrivò, nella seconda metà dell’Ottocento, “in punta di piedi”, con rispetto. Un italiano che, mentre l’Italia “cercava di conquistare con la forza e con l’inganno una parte dell’altopiano etiopico, ne aveva ottenuti 75 ettari dal ‘selvaggio’ Menelik“. La speranza di un futuro diverso per l’Africa ci sarebbe già stata allora, se l’approccio di Antinori e di pochi altri non fosse stato tremendamente in anticipo sui tempi e per questo completamente ignorato.

L’esempio limite di ciò che invece è accaduto – e continua ad accadere anche ai nostri giorni – lo troviamo nelle pagine dedicate al Congo, questo grande paese africano che esibisce nelle sue regioni nord-orientali un vero e proprio “scandalo geologico”: oro, rame, stagno, cobalto, platino, coltan, tungsteno, berillio, diamanti e quant’altro, comprese quelle “terre rare” destinate a diventare l’oro di questi anni, perché indispensabili alle nuove tecnologie “sostenibili”. Una straripante ricchezza potenziale, che però si traduce nell’esempio più sconvolgente di quella che è stata definita la “maledizione delle materie prime”. Una replica, a più di un secolo di distanza, dello scenario conradiano di Cuore di tenebra, quello passato in rassegna dall’Autore: dagli spaccapietre curvi a estrarre a colpi di martello il coltan da pezzi di roccia, ai ragazzini che scavano le colline per estrarre l’oro, ai bambini-soldato. Il tutto in un territorio dove “c’è sempre un gruppo di guerriglieri che mette a rischio la pace e che attacca i villaggi terrorizzando la popolazione“, mantenendo una situazione di caos che è quanto di più propizio al contrabbando di materie prime verso il paesi più “avanzati” del mondo globalizzato. Questo accade dopo che al predominio franco-belga si è sostituito quello anglosassone: inglesi, australiani, americani, canadesi. Ma non solo: anche qui sono arrivati in forze i cinesi, anche loro affamati di terre e materie prime, complicando lo scenario di turbolenza e competizione.

Etiopia, Congo, Kenya, Nigeria e Mali. In quasi tutti i viaggi che scandiscono le tappe di questo libro la presenza cinese – a volte sfumata a volte precisa – porta al lettore una interessante testimonianza di quel progressivo e ormai imponente insediamento economico che ha fatto coniare ai due giornalisti svizzeri Serge Michel e Michel Beuret il neologismo “Cinafrica“. Che si tratti dei tecnici che piombano in elicottero alla ricerca di un giacimento di rocce ferrose nell’incantevole paesaggio etiopico in cui operò Antinori; o del manager impegnato nella ricerca e mappatura di opportunità di investimento nel nord della Nigeria; o ancora del giornalista economico in missione di studio per esplorare i contesti di una futura espansione in un territorio già investito dai venti dell’islamismo jihadista come il Nord del Mali. In ogni caso tutti i passi dell’Autore sono accompagnati da queste figure, tutte portatrici di un approccio sedicente “pratico” e “concreto”, in realtà funzionale, e senza alcun pudore, ai “superiori” interessi del moderno Impero di Mezzo. Siamo passati “dal saccheggio del colonialismo e del neocolonialismo al saccheggio cinese“. Pur cosciente degli enormi rischi che corre questo grande ma fragile continente di fronte all’avanzata apparentemente inarrestabile della Cina – “oggi l’Africa sta già finanziando la nuova collocazione della Cina nel mondo globalizzato del terzo millennio” – Masto non cede però alla tentazione di credere a un’Europa che, ormai redenta dai suoi errori coloniali, possa permettersi di impartire lezioni di etica a una Cina “cattiva”: piuttosto, sottolinea, “il prossimo futuro sarà, per l’Africa, una nuova era di saccheggio realizzata in un contesto di maggior confusione e conflittualità“. Come appunto l’attuale corsa all’accaparramento dei terreni agricoli, il “land grabbing” cui tutti partecipano, in modo tale da poter ben affermare che “oggi sono cambiate le materie prime e l’utilizzatore finale è un soggetto più complesso, ma il meccanismo è rimasto lo stesso“.

La ragione induce quindi al pessimismo: la sbandierata crescita economica di alcuni paesi africani, pur se avvalorata dagli indici macroeconomici, è stata gestita da classi politiche “impresentabili” e non si è tradotta in una crescita della qualità di vita per le masse diseredate.

Nessuna speranza dunque per l’Africa? Il viaggio a Nairobi, città tra le più importanti di tutto il continente, per assistere a una manifestazione per la pace in cui il “popolo degli slum” per un giorno “aveva realizzato un miracolo, si era preso pacificamente la città” fa intravedere a Masto una reale per quanto esile possibilità. È vero, gli slum sono luoghi di degrado, “agglomerati inospitali”, “regni di violenza”. “Eppure in tali condizioni – osserva l’autore – in queste baraccopoli prive di tutto c’è l’Africa del terzo millennio. Le bidonville sono oggi il vero simbolo di questo continente”. Per questo “andrebbero indagate come un tempo gli esploratori e gli antropologi facevano con regni, tribù e popolazioni del continente”. Questo perché nelle baraccopoli – più che nella scintillante ma illusoria modernità delle downtown, coi loro grattacieli, le loro banche, i loro alberghi, i loro centri commerciali – si deve andare per ricercare un percorso di futuro riscatto. Proprio in quelle baraccopoli che, forse, “con la loro creatività e la loro capacità di imbastire reti di consenso e di solidarietà sono già l’embrione di un’Africa in cui la società civile produce i suoi canali per esprimere un’alternativa a governi corrotti, onnivori e incompetenti“. Che, anche con la loro economia parallela e informale, non censita dalle statistiche mondiali, realizzano il miracolo di tenere letteralmente in vita milioni e milioni di persone.

Forse in questi “immensi laboratori di creatività umana e materiale“, in cui “si crea reddito, si produce welfare, e si crea cultura“, si può trovare la chiave per sovvertire i nostri pessimismi. Paradossalmente, queste “realtà ingestibili e ingovernabili” potrebbero rivelarsi “una vera risorsa per l’Africa, molto più delle ricette per lo sviluppo adottate dalle agenzie dell’ONU, dai summit economici mondiali o dalla cooperazione internazionale“.

Marco Di Marco

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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