6 novembre 2013

musica – UN DIRETTORE DIFFICILE DA CAPIRE


UN DIRETTORE DIFFICILE DA CAPIRE

Il 27 ottobre 2009 scrivevamo su queste colonne: “Helmuth Rilling è uno dei massimi musicisti europei, conosciuto in tutto il mondo grazie a una straordinaria attività di fondatore e direttore di orchestre e di cori, alle innumerevoli incisioni, alla generosa attività di insegnante di musica a tutto tondo… Ma questo approccio così rigoroso, se riservato a un concerto brahmsiano … finisce per ottenere l’effetto opposto: lo priva cioè di quel valore che nel tempo si è aggiunto grazie a sempre nuove letture e interpretazioni, alla evoluzione della tecnica strumentale e della direzione d’orchestra, all’accumulo di ricerche e di esperienze musicali … a tutto ciò che fa di ogni vera grande opera d’arte un soggetto sempre nuovo e reinventato e perciò sempre nuovamente godibile e attuale … Come si potrebbe oggi ascoltare la musica dei secoli passati se la si fosse eseguita – e si continuasse a eseguirla – sempre nello stesso modo ancorché perfetto (esiste?), senza immettervi costantemente il soffio della modernità, senza sottoporla a una sempre nuova idea interpretativa?

musicaQuasi un anno dopo, il 22 giugno 2010, a proposito del Paulus di Mendelssohn, scrivevamo ancora “… un vecchio e amato direttore d’orchestra – quell’Helmuth Rilling di cui nell’ottobre scorso avevamo lamentato la pesantezza di una lettura esageratamente “filologica” del romanticissimo Doppio concerto (violino, violoncello e orchestra) opera 102 di Brahms – ha tolto dalla soffitta l’oratorio “Paulus” di Mendelssohn … e, smentendo il precedente giudizio, ce ne ha restituito una esecuzione avvolgente e travolgente … dirigendo a memoria (eccezionale!) libero dall’ossessione della filologia, soprattutto lasciando esprimere all’orchestra tutta l’emozione che ogni numero dell’opera scatenava“.

Infine, un anno e mezzo fa, l’8 febbraio 2012 a proposito di Elias, l’altro oratorio mendelssohniano, concludevamo “… noi con Rilling non fummo molto teneri … e gli rimproverammo di trasferire sic et simpliciter nella musica romantica la prassi esecutiva cosiddetta “filologica” da lui promossa e portata ai massimi livelli nelle esecuzioni bachiane … questa volta temevamo che … ci avrebbe imposto una interpretazione più barocca che romantica e sostanzialmente noiosa. E invece, così come accadde per l’Oratorio gemello ci ha sorpreso per la freschezza, la passione e la capacità di suscitare emozioni profonde“.

L’altra sera, sempre con l’orchestra Verdi all’Auditorium, ancora Rilling – che nel frattempo ha felicemente raggiunto gli ottant’anni – ci ha proposto un concerto tutto mozartiano composto da due Sinfonie (una giovanile, la n.33 in si bemolle maggiore K. 319 e una della cosiddetta età matura, la n. 38 in re maggiore K. 504 detta anche la Praga) intervallate da quel gioiello che è l’Exultate jubilate, K. 165, mottetto per soprano e orchestra scritto a Milano nella “foresteria” della Chiesa di San Marco da un Mozart appena diciassettenne.

Un programma delizioso, un’ottima orchestra (insistiamo a ritenere che sia in assoluto la migliore delle orchestre milanesi e forse la prima in Italia) e un direttore dal quale – visti i precedenti – ci aspettavamo molto (non parliamo, invece, della giovane soprano troppo acerba per cantare davanti al pubblico in sale da concerto). Ebbene, a dispetto di ogni logica, un concerto dominato dalla noia, dimostrazione palpabile di quanto dirigendo o suonando Mozart si rischi facilmente di non farne emergere il genio e di trasformarlo in un musicista rococò; è sufficiente, ad esempio, non essere del tutto concentrati.

Rilling dirige sempre a memoria, usando solo la mano destra; la sinistra pende al suo fianco e ci auguriamo che non sia un problema di salute. La destra dà i tempi, gli attacchi e imprime ritmi; con la sinistra si esprimono i contenuti musicali, si disegna il fraseggio, si spiegano i significati dell’espressione musicale per condividerli con i colleghi dell’orchestra. Rinunciare all’uso del braccio e della mano sinistra è come chiudersi nel silenzio, non volere o non sapere comunicare con l’orchestra o anche solo aver poco da dire.

Ci rendiamo conto quanto sia azzardato esprimere queste opinioni a cospetto di un maestro così importante, ma l’impressione di piattezza, soprattutto per le prime due composizioni (con la Praga le cose sono un poco migliorate), era troppo evidente. La semplice esecuzione della musica è poca cosa se non vi si aggiunge una interpretazione illuminata e illuminante, che insuffli la vita e dia l’anima alle note; le quali sono solamente dei numeri che, riportate sugli strumenti, possono anche restare insignificanti. Un buon concerto è sempre una sorta di miracolo, non si può pretenderlo ogni sera.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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