18 settembre 2013

musica


MITO

In attesa che ripartano le “stagioni” dei concerti milanesi – la Scala, la Verdi, i Pomeriggi, le Serate Musicali, il Quartetto, la Società dei Concerti, solo per citare le più importanti – imperversa l’ormai ben noto festival “MITO SettembreMusica” giunto alla sua settima edizione, caratterizzato da due aspetti che non smettono di sorprendere: da una parte l’ecletticità del programma, di cui non si riesce a leggere il minimo filo conduttore, e dall’altra una capacità di promozione che sembra non avere limiti.

Ci si potrà chiedere perché mai un festival musicale debba avere un filo conduttore; noi pensiamo che quella cosa che continuiamo tenacemente a chiamare cultura, e che ha ben poco a vedere con lo svago, per essere praticata necessita di grande concentrazione, di meditati approfondimenti, di complessi sforzi di contestualizzazione, e che per questo serve un filo che conduca laddove tutto ciò sia facilitato e diventi possibile. E poi, è un bene o un male “promuovere” gli eventi culturali? Non ci sembra un tema proprio elementare. Ma andiamo con ordine.

1. L’ecletticità del programma – Fra il 4 e il 21 settembre – in 18 giorni – “il festival offrirà al suo affezionatissimo (sic) pubblico un fitto calendario di appuntamenti dando come sempre priorità alla musica classica, dall’antica alla contemporanea, ma concedendo anche il giusto (sic) spazio al jazz e al rock, alla canzone d’autore, all’elettronica e ad altro ancora” (1); così recita il programma e aggiunge che si tratta di “ben 109 appuntamenti a Milano in oltre 60 sedi dal centro alle periferie e quasi altrettanto a Torino“. Dunque siamo a circa 200 eventi che, equamente ripartiti fra i 18 giorni, superano la media di 10 eventi al giorno (ricordate PianoCity, in maggio, con più di 260 eventi in un weekend, solo a Milano? una gara straordinaria a chi più ne ha più ne metta!).

Non ci dilunghiamo sul programma, e soprattutto non andiamo a vedere l’elevata qualità artistica, l’impatto zero, il pubblico giovane, l’interattività e giù giù fino al car e bike sharing per gli artisti e ai “Bike’n Jazz” distribuiti in diverse piazze cittadine in cui i giovani, che si suppongono amanti della musica, pedalano su finte biciclette per produrre energia che alimenta gli altoparlanti che propinano musica ai passanti. Prendiamo atto invece che quest’anno sono arrivati o stanno per arrivare al festival Mehta, Pappano, Temirkanov addirittura portandosi le loro orchestre (non sappiamo se con il bike sharing per tutelare le foreste in crescita per quasi un milione di mq nel mondo!); non possiamo che esserne felici, ma che c’entrano questi magnifici direttori e le grandi e storiche orchestre del Maggio Fiorentino, dell’Accademia di Santa Cecilia, della Filarmonica di San Pietroburgo con il jazz, il rock e la canzone d’autore?

E cosa c’entra tutto questo con gli spettacoli dedicati ai bambini, i progetti didattici e il confronto con la pur ammirevole orchestra formata da giovani psichicamente disagiati (ragazzi down e autistici) che hanno seguito i corsi di musicoterapia orchestrale?

Esiste una larga corrente di pensiero, condivisa anche da grandi musicisti e critici musicali, che sostiene essere tutta la musica egualmente interessante e, almeno potenzialmente, avere tutta il medesimo fascino. Rispettiamo questo punto di vista pur non condividendolo; ma vorremmo chiedere, a proposito di MITO, quale pubblico gradirebbe (e quanto gioverebbe alla sua crescita culturale) una grande esposizione universale d’arte che vedesse allineati gli affreschi di Pompei a Giotto, a Tiziano, a Pollok, ai fumetti di Crepax, alle fotografie di Mapplethorpe, e via di seguito per illustrare tutti i generi dell’arte figurativa!

Adesso per fortuna siamo tutti in attesa dell’appuntamento alla grande festa di chiusura all’insegna della milonga, dell’habanera e del tango, che qualcuno ha definito «pensiero triste che si balla» ma che noi tutti vivremo con tanta allegria, scrive sul programma Francesco Micheli, vicepresidente e inventore di MITO, che abbiamo corso il rischio di vedere al posto di Lissner alla Scala.

2. La promozione dell’evento – Tutti sappiamo che gli eventi culturali vanno promossi se si vuole che abbiano successo, e sappiamo anche che il successo è un obiettivo tanto più ragionevole quanto più si impegnano risorse, materiali o immateriali che siano. Ma non stiamo esagerando con la promozione degli eventi culturali? È mai possibile che assomiglino sempre di più a prodotti commerciali da immettere sul mercato? Siano festival musicali o della filosofia, della letteratura o della scienza, siano mostre d’arte o cicli di letture e di conferenze, siamo bombardati dalla loro promozione, come se fossero i nuovi modelli di telefonini o di automobili.

È difficile che passi inosservata la quantità di risorse necessarie per promuovere duecento eventi culturali in diciotto giorni quando non vi sono borse di studio per gli allievi dei Conservatori e delle Scuole Civiche Musicali e quando i nostri giovani diplomati devono andare all’estero per fare il loro mestiere con decoro. C’è qualcosa di stonato, che non fa pensare a un paese ordinato e civile.

 

 

(1) i corsivi sono citazioni dal programma del festival

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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