17 aprile 2013

libri – L’OROLOGIO DI PONTORMO


SALVATORE SILVANO NIGRO

L’OROLOGIO DI PONTORMO

Invenzione di un pittore manierista

Bompiani, febbraio 2013,

pp. 220, euro 12,50

Mercoledì 17 aprile, ore 18, il libro verrà presentato, a cura di Unione Lettori Italiani Milano presso Palazzo Sormani, sala del Grechetto, via F. Sforza 7, Milano

libri_14Nel 2014 una grande mostra a Firenze onorerà Jacopo Carucci, alias Pontormo, definito il più grande pittore manierista del ‘500. E Salvatore Nigro, docente allo IULM e collaboratore del Domenicale del Sole 24 ore, già sin d’ora rende omaggio alla sua memoria con questo saggio, inclusivo della preziosa copia anastatica del così detto diario del pittore, “Libro mio“. Il libro fu scritto nei due ultimi anni della sua vita, tra il 1555 e il 1556, mentre lavorava da quasi dieci anni nella chiesa medicea di S. Lorenzo, al grande affresco del Giudizio universale terminato, a causa della sua morte, dall’allievo Bronzino. Il dipinto fu poi distrutto nel 1738, in occasione del rifacimento della chiesa e di questo ci rimangono solo disegni preparatori e scritti dello stesso Vasari, che mostra di non apprezzare l’opera, sia perché in odore di eterodossia e quindi conflittuale con la Chiesa, sia per lo stile fortemente innovativo ed espressivo dei suoi personaggi contorti, come quei dannati ritratti da cadaveri gonfi d’acqua, per maggiore realismo.

Libro mio” è al contempo un manualetto di prescrizioni sanitarie, letteratura “de preservazione”, un ricettario del tempo (vedi l’uovo di pesce del Pontormo), un piccolo catalogo di disegni preparatori, stilati a margine del testo, con indicazioni climatiche e lunari. Un breviario “che scandisce insieme il tempo del corpo dell’artista e quello del corpaccione” dell’umanità dolente del Giudizio. Squallido sembrerebbe questo vademecum, ma in realtà, rileva l’autore, tale era la vita del pittore, ombroso, introverso, sospettoso, taccagno, solitario, riflessivo, eterodosso, ma sicuramente eccentrico e innovativo, un’aquila nel panorama del ‘500, per le sue trovate spaziali, spaesanti, senza riferimento alcuno, come nel Giuseppe in Egitto, per i suoi colori di luce chiara accecante e spiazzante, e non scuri, come richiederebbe una Deposizione di Cristo, per le sue figure allungate di sapore nordico.

Pontormo viveva a Firenze in un casamento mitico, una sorte di torre, nella quale si isolava, tirando a sé la scala di accesso, per il bisogno insopprimibile di dare spazio al fragore e al “travagliare” della sua mente, lui pittore flosofo, “un anacoreta” pauroso della morte “quel fredo velenoso…che era come sentir frigere el fuoco ne l’acqua“, morte simboleggiata nella scala stessa.

Di grande interesse in questo saggio sono i riferimenti letterari di Nigro, a 360 gradi nel tempo, attraverso i quali l’autore riesce a far rivivere la figura del Pontormo: dai carteggi del pittore con l’amico Varchi, il filologo (autore dell’Ercolano, una prima raccolta di modi di dire fiorentini, tra i quali “rimanere con un palmo di naso“). A lui Pontormo scrive in merito a un suo sondaggio, per rivendicare il primato della pittura su tutte le altre arti.

Dagli scritti che il dotto amico del cuore Bronzino gli dedica, come la poesia “La prigione“, che allude al suo isolamento, e a lui Pontormo scrive di rimando “Or col cervello non poss’io far mill’ atlanti?“.E dalle citazioni che molti altri intellettuali del tempo nominati da Nigro, dedicheranno allo stile del Pontormo, per elogiarlo o denigrarlo. A lui fanno riferimento nella nostra era, continua l’autore, anche Sciascia, Ceronetti, lo stesso Manganelli dell’Introduzione, la quale apparve dapprima sul Corriere della sera nel 1985, e infine anche nella Introduzione tedesca del “Libro mio” nel 1988.

Un libro dunque questo “di letteratura sul tempo e sul corpo“, che ci restituisce la figura di un grande a volte dimenticato, la cui forza dei particolari, (come le mani di Cosimo il vecchio, come la torsione del S. Gerolamo nell’atto del pensare, come la forza di S. Giovanni che pare udire voci prima dell’Apocalisse, come la circolarità inquietante della Cena di Emmaus, o le geometrie disassate della Deposizione di Cristo) ci ricordano che i collegamenti del Pontormo con i grandi del suo tempo, da Michelangelo a Dürer, non ci restituiscono che una piccola parte dell’essenza del pittore, grande per una sua cifra innovativa personale di rottura con il passato, anticipatore di Caravaggio.

 

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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