30 gennaio 2013
NOVECENTO
TONY JUDT
Editori Laterza, dicembre 2012
pp. 413, euro 22
Una cavalcata nel secolo breve. “Entrambi, io e Judt” scrisse tempo fa Eric Hobsbawm “sapevamo che la politica è stata nel XX secolo la chiave di volta tanto delle nostre verità quanto dei nostri miti”. Tony Judt è stato il più influente intellettuale americano dell’ultimo ventennio. E anche il più letto.
Il suo celebre “Dopoguerra” edito da Mondadori nel 2007, ha troneggiato per anni in vetta ai saggi storici più venduti nel mondo anglofono. Ha insegnato a Cambridge, Oxford, Berkley e alla New York University.
Il volume è costruito come una lunga intervista di Timothy Snyder, che attualmente insegna storia all’Università di Yale.
Le due parole chiave di “Novecento” sono comprensione e pluralismo. Per comprendere, e far comprendere, un determinato evento storico Judt rinuncia a un unico quadro e accetta, per così dire, simultaneamente la diversità di diversi quadri. La soddisfazione immediata di chi scrive e di chi legge, sottolinea l’autore, è certamente minore, ma i risultati sono più duraturi.
È, poi, sulla questione del pluralismo che il percorso intellettuale di Judt incrocia la storia delle idee del XX secolo, costruendo un racconto nel quale prospettiva biografica e prospettiva storica finiscono nell’incontrarsi nel cruciale 1989, l’anno delle rivoluzioni nell’Europa orientale e del crollo definitivo del modello marxista, aprendo una strada che ancora oggi gli storici hanno percorso solo nei primi tratti.
È la distanza sui fatti che confluisce sulla percezione e sull’analisi delle vicende storiche. “Il 1989 – si legge nelle prime pagine di Novecento- non è così lontano da farci dimenticare quanto plausibile apparisse a molti la prospettiva comunista. E ciò che abbiamo completamente dimenticato è che negli anni tra le due guerre l’alternativa più credibile al comunismo in tutta Europa, non era l’Occidente capitalista e liberale, ma il fascismo e in particolare quello della versione italiana, che dava risalto alla relazione tra governo autoritario e modernità.
Che il liberalismo a un certo punto sia emerso vittorioso – sia pure in larga misura grazie alla sua ricostruzione su fondamenti istituzionali molto diversi da quelli tradizionali – fu uno degli sviluppi veramente inattesi del secolo appena trascorso.
In realtà il liberalismo, come il capitalismo, si rivelarono sorprendentemente adattabili alle più diverse situazioni storiche politiche e sociali. Perchè sia andata così, e attraverso quali percorsi, è il tema principale del libro. (Paolo Bonaccorsi)
questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero