23 aprile 2024

25 APRILE: LE CULTURE DIVERSE SOPRAVVIVONO

La lezione inascoltata della Liberazione


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Mentre pensavo al prossimo 25 Aprile, mentre leggevo di Scurati cancellato dalla nostra tv pubblica (tenuta in piedi dagli abbonamenti e dalle tasse pagati da molti cittadini di destra e di sinistra), mentre riguardavo l’intervista di un paio di giorni fa al presidente della comunità ebraica David Meghnagi, mentre ancora mi aggiravo tra i vari post apparsi su  facebook, discussioni e distinzioni infinite su Israele, Palestina, le guerre d’oggi e quelle di ieri, sul ruolo della stessa Brigata ebraica nella sconfitta dei nazifascisti in Italia (una storia ricostruita tra l’altro in un dottissimo saggio pubblicato dalla rivista dell’Anpi nazionale), persino sugli slogan buoni o cattivi perché chiedono solo la pace come se non fosse questo il bene più prezioso, per una stranissima associazione di idee mi è venuto in mente “L’isola del tesoro”, il formidabile romanzo di Robert Louis Stevenson. 

Mi sono venute in mente in particolare due righe scritte da John Trelawney in un messaggio all’amico David Livesey. Siamo a Bristol, all’imbarco, tra gli ultimi lunghi preparativi del viaggio verso la misteriosa isola, tra intralci e contrasti vari. Il cavalier Trelawney rompe gli indugi e scrive: “Prua verso il mare. Al diavolo il tesoro”. Una associazione azzardata, ripeto, ma mi piaceva  l’entusiasmo, la passione, l’esortazione e la risentivo così: “Basta con le contese. Andiamo alla nostra festa”. Perché il 25 Aprile è una Festa: festa per la fine di una guerra,  festa della libertà ritrovata, della democrazia, della repubblica e di tutti quei valori che dovrebbero distinguere una società civile e una comunità solidale.

La lotta di liberazione dovrebbe aver insegnato che culture diverse possono convivere e che unite possono sconfiggere un comune nemico. Non credo che comunisti e monarchici la pensassero allo stesso modo, neppure cattolici  e azionisti di Giustizia e Libertà. Eppure insieme si ritrovarono contro, appunto, un nemico comune: il nazifascismo. Noi, tanti anni dopo, stiamo qui a litigare, con una destra al governo, persino con le piazze negate in tanti comuni da tanti sindaci evidentemente di scarsi sentimenti democratici, che preferiscono intrattenersi con le celebrazioni della repubblichina di Salò. 

La Resistenza fu scuola contro il settarismo e dunque libera da ogni forma di settarismo dovrebbe essere la manifestazione del 25 Aprile, una Festa per tanta parte degli italiani ma a cui tutti gli italiani dovrebbero “riconoscenza”. Una Festa in cui vivere e comporre tante diversità, nel ricordo di quello che fu il fascismo, nella celebrazione di una lotta partigiana che segnò una rottura irrevocabile nei confronti del passato. Dovrebbe valere ancor di più oggi, quando si assiste, in Europa, non solo in Italia (e non è una consolazione) all’insorgere di movimenti che stanno all’opposto di una cultura democratica, che inneggiano al fascismo e al nazismo, in preda a nostalgie che si possono realizzare anche in atti di governo. Se la nostra capa non riesce a pronunciare la parola “antifascismo”…

Purtroppo capita di ascoltare polemiche, annunci di diserzione, critiche… Si può tutto. Lecito contestare. Però è triste rinunciare in un giorno così ad una prova di solidarietà, tanto più necessaria quanto più dure, aspre, sanguinose sono le situazioni che ci circondano.

La manifestazione del 25 Aprile ha sempre mostrato la sua attualità anche nella convivenza di tante “diversità”, nella condivisione del rifiuto del fascismo. 

Un giornale della destra avrebbe voluto dimostrare il contrario e si è esercitato alla ricerca di screzi, divisioni, episodi di violenza:  “Si fa fatica a trovare un anno in cui non ci sono stati fischi, contestazioni, insulti, spintoni o vere e proprie cacciate fisiche dai cortei da parte dei militanti antifascisti che vedevano nell’altro una persona che non meritasse di essere presente in piazza”. Ma il bello è che alla fine il nostro scrupoloso  giornale ha faticato a rintracciare questi episodi e tra il 1994 e il presente è riuscito a citarne tre o quattro… Tre o quattro in trent’anni. Quante persone coinvolte… Forse un cronista di miglior memoria avrebbe potuto aggiungere qualcosa. Ma, avendo vissuto ogni manifestazione da parecchi decenni, giurerei di no.

Rivediamo l’elenco. 

Bossi, appena salito al governo a sostegno di Berlusconi, fischiato nel 1994. 

Nel 2006 i fischi raggiunsero Letizia Moratti, candidata sindaco per il centrodestra. Partecipava al corteo con il padre in carrozzina, Paolo Brichetto Arnaboldi, quasi novantenne, sergente maggiore dell’esercito, medaglia d’argento al valor militare, nella Resistenza con Edgardo Sogno dal settembre del 1943. Catturato dai tedeschi, finirà nel lager di Dachau, dove venne liberato dagli americani del generale Patton. Letizia Moratti avrebbe commentato: “Non ho mai avuto paura, avevo messo in preventivo le contestazioni, ne è valsa la pena. Dobbiamo continuare a credere nella democrazia e in democrazia c’è posto anche per i fischi. Il nostro Paese deve continuare a lottare per un futuro fatto di tolleranza e di comprensione”. Il 5 giugno diventerà sindaca di Milano.

Per il resto non ho mai mancato una contestazione nei confronti della Brigata ebraica, sempre all’angolo di piazza San Babila, sempre la stessa ventina di urlatori pronti allo slogan contro figli e nipoti di quanti fecero parte di quei battaglioni organizzati dagli inglesi che risalirono la penisola italiana contribuendo alla sua liberazione, urlatori poco consapevoli della storia e quindi del fatto che la Brigata ebraica non è propriamente assimilabile al governo d’Israele. Aggiungiamo che due anni fa i fischi raggiunsero anche gli ucraini che sfilavano con le loro  bandiere. Un gran fracasso in un piccolo spazio, ma mi ricordo che nessuno ebbe mai a temere per la propria testa, Anche i manganelli rimasero inerti ai cinturoni dei poliziotti.

Ma non si può, per equidistanza, non ricordate le bordate di insulti all’indirizzo per povero Enrico Letta per il sostegno al governo Draghi. Se si volesse, ben altre sarebbero le responsabilità da imputare all’ex segretario del Pd.

Bisognerebbe rassegnarsi all’idea che in questi anni da quel 25 Aprile 1945, marciando insieme milioni di persone dei più diversi orientamenti politici, ben poco è successo oltre lo sventolare di bandiere,  oltre l’alzare di cartelli e di striscioni, cantando Bella ciao. Lo scriviamo a consolazione di quel giornale. Se qualcuno ha notizia d’altro integri pure.

A proposito di “riconoscenza”, vorrei concludere ri-citando un citatissimo episodio, protagonisti Vittorio Foa, azionista, sindacalista nella Cgil, di famiglia ebraica, ma profondamente laico, e Giorgio Pisanò, ex combattente della Repubblica sociale e poi  militante missino. I due , eletti senatori, il primo giorno di convocazione, si incontrarono in un corridoio di Palazzo Madama. Pisanò si rivolse a Foa:  “Caro Foa, dopo tanti anni di battaglie su fronti opposti, ci troviamo qui in Senato, a servire lo Stato pur con le nostre diverse idee. Possiamo stringerci la mano?”. E Foa: “Certo, possiamo stringercela. L’importante è ricordarci che lei è qui, in Parlamento, grazie alla Costituzione. E la Costituzione c’è, perché abbiamo vinto noi. Se aveste vinto voi, io sarei rimasto in galera e lì sarei morto”.

Condannato a sedici anni di reclusione dal Tribunale speciale per attività antifascista, Vittorio Foa in galera passò gli anni dal 1936 fino alla caduta di Mussolini nel 1943. Poi combatté i nazifascisti nelle brigate di Giustizia e Libertà.

Oreste Pivetta

 



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