5 marzo 2024

REGIONALI SARDE. LA RONDINE FARÀ PRIMAVERA?

Si apre una nuova stagione politica, forse


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La vittoria in Sardegna dà vigore all’opposizione e qualche pensiero alla Meloni. Inutilmente, come si usa, la sconfitta viene derubricata ad evento locale. Poteva anche essere così, ma quando il capo di un governo impone a forza il suo candidato e ci mette la faccia, capita che poi la perda. A sinistra, specie nel PD, grande sollievo e corsa ad intestarsi la vittoria. Schlein trova conforto ad una linea che stentava a decollare e Bonaccini si congratula. Conte si intesta per intero il merito, ignorando i numeri quasi doppi del PD.

Al netto dei riconteggi in corso, il dato di realtà ci dice che per la prima volta dal 2022 la destra è sconfitta ai seggi. Sul filo di lana, vero, ma in realtà molto più nettamente di quanto non dicano i numeri dei due candidati maggiori. Anche se i voti di Todde e Truzzu quasi si equivalgono, la “maggioranza politica di destra” si è confermata “minoranza elettorale” in Sardegna come alle politiche. L’ing. Soru, cui non mancano robustissime dosi di testardaggine e rancore personali, ha raccolto a sinistra l’8,65 %, che sommato al 45,37% della Todde porta il cosiddetto campo del centro sinistra ad un complessivo 54,02%, ben 9 punti % in più della destra. Minoranza numerica nel paese, governa per maggiore omogeneità e capacità di manovra politica. È però vero che i voti delle opposizioni non si sommano se non si trovano prospettiva e candidati unitari.

Qui è stato, per l’essenziale, il succo della sconfitta del centro sinistra nel 2022 e qui resta ancora il nodo da sciogliere. In Sardegna per vincere sono bastati i voti delle opposizioni di sinistra (PD, 5 Stelle, Verdi e Sinistra..) ma non è detto che poi sarà sufficiente, anzi. Se le opposizioni di sinistra sorridono a ragione, qualcuno, non a torto, si chiede se la rondine nel cielo della Sardegna annuncia davvero una nuova primavera  democratica.

Le prossime scadenze regionali (Abruzzo, Basilicata) introducono l’election Day dell’8 e 9 giugno, quando alle elezioni europee si sommeranno quelle del Piemonte e di molti  comuni sopra i 100.000 abitanti (Bari, Bergamo, Cagliari, Ferrara, Firenze, Forlì, Livorno, Modena, Perugia, Pescara, Prato, Reggio Emilia e Sassari). Un’abbuffata elettorale che lascerà il segno sui rapporti di forza, le dinamiche ed i destini di molti partiti e leader. Salvini, tra gli altri, trema.

Se alle Europee il sistema proporzionale impone il tutti contro tutti, come si stanno delineando  le strategie politico-elettorali nella grande sfida delle amministrative? Potranno favorire un accidentato ma concreto percorso politico per ricostruire qualcosa che almeno nello spirito unitario assomigli all’Ulivo di trent’anni fa, oppure, immemori della storia e miopi nel presente, in molti, troppi, si giocherella con una preoccupante emergenza democratica che richiede invece ampio respiro, politico e culturale. E generosità e preveggenza.

Ma tornando al presente, se pure il 10 marzo l’Abruzzo vedrà finalmente unito l’intero “campo democratico” (perfino Renzi ci sta!), al momento non si vedono candidati unitari in Basilicata e soprattutto in Piemonte, dove restano drammaticamente forti le tensioni tra PD e 5 Stelle. Proprio sotto la Mole viene in chiaro la principale tra le questioni: la dialettica PD-M5S trova dietro di sé, accanto alle già delicate logiche attuali, rancori ancora non superati dalla fine del governo Draghi, quando Di Majo sfilò ai 5 Stelle una quarantina di parlamentari per salvare la legislatura ed il posticino. Conte non ha dimenticato lo sgarbo e lo attribuisce per larga parte a manovre subdole del PD, traendone lezione ogni giorno che passa nel suo ambivalente rapporto con i democratici. E poco gli importa se oggi al posto di comando c’è Schlein.

Ma oltre al rancore, alla diffidenza ed al narcisismo, in gioco c’è la leadership dell’ipotetico campo democratico. I rapporti di forza tra i due maggiori partiti sono quasi paritari sulla scena nazionale, e Conte non intende lasciare ad altri lo scettro del comando. Anzi, proprio dopo la vittoria sarda della sua candidata, alza la posta e raddoppia gli sforzi per sottolineare la smentita del pregiudizio che vorrebbe i 5S privi di classe dirigente: grande movimento di opinione, ma zero capacità di governo.

Qui sta la principale sfida politica per Elly Schlein. Come attrarre Giuseppe Conte verso una prospettiva unitaria? In soldoni, può avere senso cedergli qualche boccone appetitoso (Piemonte) se questo porta l’intero convoglio sui binari desiderati? Ma fino a che punto il gioco vale la candela e fino a dove questa concessione può essere digeribile per i tanti appetiti e sensibilità PD?

Vi è poi un altro aspetto da considerare. La forza centripeta del possibile successo elettorale a trazione PD-5S indebolisce le pretese del cosiddetto Terzo Polo, inevitabilmente costretto a superare veti politici, se questa sarà la condizione per sopravvivere e stare dentro i giochi di potere. Dinamica che potrebbe incoraggiare almeno Calenda a riportare il suo pur problematico valore aggiunto nell’alveo del centrosinistra. Occorre poi considerare la  spinta unitaria che emotivamente potrebbe venire da un incrudimento delle politiche della destra, di cui i fatti di Pisa sono grave sintomo e le piazze piene di Firenze segnale incoraggiante.

Certo, alcuni nodi, soprattutto di posizionamento internazionale (Ucraina in primis), sembrano insuperabili, ma l’esperienza dovrebbe pur insegnare qualcosa se si guarda alla, diciamo così, complessa esperienza di governo di Giuseppe Conte, uomo che, pur di restare al posto di comando, cambiò nel giro di una notte riferimenti politici e posizionamenti internazionali. “Giuseppi” per il potere non guarda in faccia a nessuno e se oggi flirta di nuovo maliziosamente con Trump per trarre vantaggi da una redditizia trasversalità, domani, si può stare certi, lo dimenticherebbe senza fare un plissè.

Con grande tenacia, e qualche pesante limite, il PD cerca di avviare la nuova fase politica per cui Elly Schlein è stata eletta l’anno scorso. Il successo sardo ha messo la sordina, per ora, a molte lamentele, alcune non del tutto ingiustificate.

Ora alcuni nodi nel Paese vengono al pettine, sono dolorosi, incidono sulla carne viva delle persone e sono politicamente decisivi.

La questione ambientale passa dal sogno della transizione indolore alla conta dei costi e del chi li sopporta. La questione della povertà è sempre più questione dei salari dei lavoratori e di chi inevitabilmente costruisce profitti sulla loro compressione. La questione della coesione nazionale si traduce al Sud nella difesa dei livelli di cittadinanza minima  contro la cosiddetta “autonomia differenziata”.

Sono i grandi nodi che, con i diritti civili, formano il paradigma di una forza di opposizione che guarda, prima che al governo, ad un nuovo futuro del Paese e dell’Europa.

Come sempre, la politica di un grande partito è condotta azionando sul doppio pedale dell’identità e delle alleanze. Se l’identità è fondativa del senso e del consenso, la manovra la rende praticabile e vincente nei rapporti con le altre forze politico sociali. E non è raro che la manovra in alcuni momenti sembri contraddire l’identità. Il significato più profondo del voto sardo di questi giorni risiede nella dimostrazione che la capacità strategica di fare un passo indietro può servire per fare un passo avanti ancora più lungo ed utile.

Se la rondine sarda farà primavera, sarà anche perché qualcuno ne ridisegnerà il cielo.

Giuseppe Ucciero



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