21 novembre 2023
POLITICA ODONOMASTICA E ODONOMASTICA POLITICA
Sindaci alle prese con ambrogini d’oro e regina Giovanna
21 novembre 2023
Sindaci alle prese con ambrogini d’oro e regina Giovanna
Il sindaco ha lamentato una eccessiva ingerenza dei partiti nell’assegnazione degli ambrogini d’oro ed ha indubbiamente ragione ma non c’è da stupirsi: è sempre stato così. Dal 1925 anno della prima formalizzazione delle benemerenze civiche comunali ad opera del podestà (esistevano anche prima ma erano più che altro un riconoscimento interno) al 2018 i premiati sono stati circa 6000, ancorché gli elenchi sono probabilmente incompleti tant’è che l’associazione benemeriti parla di 8000.
Spulciare l’elenco dei benemeriti è indicativo della situazione politica del tempo, nei primi vent’anni vi troviamo ex podestà, ex presidenti dei fasci di combattimento, membri del Gran Consiglio del fascismo, fondatori del Partito Fascista Repubblicano, e tra i giornali il Popolo d’Italia (ma solo nell’elenco comunale, non vi è traccia dell’attestato sugli altri giornali).
L’8 dicembre 1937 la benemerenza civica tocca a Vito Mussolini, presidente della scuola di mistica fascista, insieme ai ministri Bottai, Solmi, Benni e Thaon de Revel e nella stessa cerimonia “la Milano arditissima e fascistissima” come dice la motivazione, attribuì la cittadinanza onoraria ai marescialli Badoglio, De Bono e Graziani.
In segno di gratitudine Badoglio regalava alla città l’elmo e i guanti con cui era entrato ad Addis Abeba mentre De bono, più taccagno, solo l’elmo portato ad Adua, chissà dove sono finiti.
Nel 1939 tocca al maresciallo Caviglia che recupera quasi in extremis rispetto ai suoi concorrenti Marescialli.
Per altro che il fascismo preferì altre onorificenze lasciando le benemerenze civiche più a fatti eroici individuali, a dipendenti dalla “lunga opera in uffici e commissioni comunali” e soprattutto a donatori economici e di opere d’arte e d’archivio, a protagonisti della beneficenza e in generale di aiuto al comune.
Nel dopoguerra la consuetudine della cerimonia ai primi di dicembre venne mantenuta ma ovviamente a partire dal 1946 cambiarono i premiati, simbolica fu l’assegnazione dell’attestato speciale al CLN cittadino e al CLN dipendenti comunali.
Un ulteriore cambiamento avvenne con Aniasi, così lo racconta il suo capo di gabinetto: “L’iniziativa del conferimento delle benemerenze civiche …risaliva a epoca podestarile. Fu tuttavia conservata …la lista degli onorati tardava sempre a essere completata, costringendomi a improvvisare motivazioni…c’era sempre di mezzo la fretta e, qualche volta la mia ottusità nel rendermi rapidamente conto di quale fossero veramente i meriti di certi benemeriti albo signanda lapillo. Aniasi trovò, e aveva perfettamente ragione che le benemerenze di sant’Ambroggio erano troppo scarse e riduttive in proporzione al numero di cittadini meritevoli di una qualche menzione onorevole.
Colse al volo l’occasione del facsimile in oro di una moneta trecentesca con l’effigie di sant’Ambrogio, solitamente offerta in omaggio per lo più a ospiti non milanesi in visita a Palazzo Marino: ne fece fare un certo numero e un numero ancor maggiore in argento, vi aggiunse un diploma in carta quasi pergamena ed ecco creati gli ormai notissimi ambrogini. Con l’andar degli anni tutti coloro che forzatamente perdevano l’autobus di sant’Ambroggio pedalavano quasi egualmente felici con il tram dell’ambrogino”.
In pratica è esistita una “onorificenza” comunale pare al momento non del tutto documentabile. Come racconta il sito museo del basket; il 26 aprile 1972 Aniasi (fatto ampiamente documentato con foto dal corriere d’informazione) premia il Simmenthal Milano, ambrogino d’oro al presidente Bogoncelli e al coach Rubini per il decimo scudetto e la vittoria nella Coppa delle Coppe, ambrogino d’argento agli altri giocatori e allo staff tecnico stesso ambrogino dato alle giocatrici della GEAS per il terzo scudetto, tuttavia anni dopo fatta una ricerca in comune di quei premiati non vi era traccia.
A mettere ordine alla faccenda intervenne la deliberazione del Consiglio Comunale n. 16 del 9 marzo 1998.
Sala ha quindi ragione ma poteva capitargli di peggio, ad esempio, occuparsi di odonomastica (il complesso dei nomi delle strade, sia con riferimento concreto a una determinata zona o località, sia con riguardo alla scelta o al modo della loro formazione).
Milano entra nella modernità grazie agli austriaci; il 9 novembre 1786, Giuseppe II imperatore del Sacro Romano Impero e duca di Milano, emanò un decreto che stabiliva l’obbligo di mettere targhe bianche di legno all’angolo di ogni incrocio di ogni via recanti il nome della via e le case vennero numerate; la numerazione aveva un sistema progressivo, slegato dalle vie, seguendo una spirale antioraria: 1 e 2 erano il palazzo Reale, 3 e 4 l’arcivescovado, 5 un palazzo nell’attuale piazza Fontana e così via; il sistema era piuttosto intricato e con questo metodo un palazzo d’angolo di una via poteva avere un numero di qualche centinaia di unità diverso da quello a fianco. La scelta imperiale non fu ben accolta dalla popolazione perché aveva come obbiettivo quello di rendere più efficiente e capillare il pagamento delle tasse.
Con l’arrivo di Napoleone vi fu il primo cambio “politico”: la Contrada dei Nobili divenne via dell’Unione, San Calogero divenne Filadelfia, vi fu una via Contratto Sociale ed una via Tahiti che sostituì piazza delle Galline, tutti i nomi dei santi vennero aboliti.
Con il ritorno degli austriaci i nomi più “eversivi” vennero sostituiti ma non tutti come ci testimonia la sopravvissuta via Moscova.
Nel 1860 il comune ormai italiano costituì la prima commissione toponomastica e il 26 settembre toccò al Belgioioso (che fu consigliere comunale per 23 anni) dettare la linea: “è necessario perpetuare il ricordo delle battaglie combattute e vinte per la causa dell’unità nazionale onorare gli uomini illustri…coll’intitolare a quei nomi onorevoli le vie nuove della città e le vecchie cui sembrasse conveniente mutare la denominazione”, così Corsia dei Servi che era diventato corso Francesco in onore dell’Asburgo divenne Vittorio Emanuele, piazza della Canonica divenne Cavour, strada Cavalchina divenne Manin, via san Martino divenne Beccaria; Strada Isara divenne Via Palestro; Via dei ratti divenne Via Cesare Cantù e così via. Anche la numerazione cambiò e fu legata alla via con i numeri pari sul lato destro e i dispari su quello sinistro.
Non mancarono ovviamente polemiche come quella se intitolare una strada, che il futuro sindaco Negri definì poco più che una scorciatoia, a Giovanni Torti insigne poeta, all’altro poeta Pozzoni o a Carlo Cattaneo; vinse Cattaneo ma da allora resterà (irrisolto) il problema del rapporto tra la rilevanza del personaggio e la rilevanza della strada in senso di traffico e commerci.
Nel 1903 si pose anche la coerenza tra la strada e il personaggio cui doveva essere intitolata, quando si propose Cavallotti per sostituire Monte Napoleone, proposta che fu bocciata dagli amici di Cavallotti perché “egli era uomo del popolo, visse sempre col popolo…è in mezzo al popolo che deve essere ricordato”. Chi volesse l’elenco dei “titolari” delle strade milanesi lo trova in Pietro Migliorini le vie di Milano, edizioni la vita felice.
Scrive Camilla Zucchi: “Non è sbagliato sostenere che l’odonomastica, proprio per la sua intrinseca vocazione alla pedagogia civile, così com’è ai giorni nostri, sia parte del cosiddetto fenomeno, di matrice illuministica e rousseauiana, di “religione civile”…L’apposizione di una targa con dedica, soprattutto se contiene un antroponimo, ricordava da vicino l’usanza del ricordo del defunto all’interno dei cimiteri, così come parallelamente stava avvenendo per la monumentalizzazione, le statue vogliono trasformare i morti in vive presenze» …La sinistra storica, salita al governo dopo il 1876, ha sfruttato a pieno questo strumento con l’intenzione di fare gli italiani”.
Con il fascismo molti altri cambiamenti, molti nuovi nomi; tra i tanti: Piazza Giovinezza oggi Piazza Mercanti; C.so del Littorio oggi C.so Matteotti; Via degli Arditi oggi Via Cerva; Corso Costanzo Ciano oggi Corso Plebisciti; piazza Predappio oggi piazza Miani; Via Marcia su Roma oggi Via S. Marco; Piazza Martiri Fascisti oggi Piazza Buozzi; Via del Fascio oggi via Nirone; Via Aldo Sette oggi Via dei Transiti; via Michele Bianchi quella per l’idroscalo; via Aldo Lusiardi ecc.
Il 27 ottobre 1923 la Giunta milanese “certa di rendersi interprete del pensiero della cittadinanza propone di intitolare “per l’intuito geniale, per la purezza degli intenti per la ferrea volontà” il corso che da Piazza Missori conduce a Rogoredo a Benito Mussolini ma il duce, si dice per scaramanzia, oppose un netto rifiuto, la giunta ripiegò quindi su corso 28 Ottobre anniversario della marcia su Roma.
Sarà proprio il fascismo a fissare le regole con la legge 1188 del 23 giugno 1927, aggiornata nel 1989; in pratica ogni denominazione di via o piazza deve essere approvata dal Prefetto, in quanto autorità di governo, e si può intestare una via solo a una persona che sia deceduta da almeno 10 anni salvo deroga motivata inoltre per cambiare denominazione a una via occorre il parere della soprintendenza del ministero dell’istruzione, decreto-legge 1158 firmato da Giovanni Gentile e di svariati altri soggetti.
Nel 1930 il governo pose forti limiti alla sarabanda di cambiamenti che i federali locali proponevano ma nel 1931 invitò tutti i comuni a dotarsi di una via Roma che infatti oggi è presente in 7900 comuni seguita da Garibaldi con 5500; tra i pochi comuni oggi a non averla ovviamente Milano e della cosa si lamentò il sindaco Veltroni con il sindaco Albertini visto che a Roma esiste una via Milano.
Nel 1936 anche lo schieratissimo Corriere della Sera protestò per la sarabanda del cambio dei nomi e per i disagi che crea ai cittadini.
Tra le amenità del tempo quello della Regina Giovanna. Il viale fu intitolato alla figlia di Vittorio Emanuele III moglie di re Boris di Bulgaria, compiendo uno strappo alla regola delle “mai intitolazioni in vita”, ma lo strappo fu ancor più clamoroso perché la nobildonna morì nel 2000 convivendo 70 anni con la sua via.
Nel dopoguerra fu proposto il cambio del nome ma si scontrò con l’opposizione degli abitanti e delle aziende per i quali il cambio significava costi e disservizi; allora da Palazzo Marino si pensò ad una soluzione astuta: cercare una regina Giovanna più presentabile.
Sfortunatamente le Regine Giovanne “importanti” identificate furono due: Giovanna di Castiglia madre di Carlo V detta La Pazza che passò 46 anni reclusa per demenza e Giovanna di Napoli detta anche Giovanna la dissoluta, Giovanna la cacciatrice di uomini, Giovanna l’insaziabile, Giovanna dai cento amanti. Nessuna delle due parve commendevole.
La ricerca si interruppe e fu deciso che il nome rimaneva ma senza specifiche ne date; quindi, viale Regina Giovanna è intestato ad una regina Giovanna à la carte, scegliete voi quella che preferite.
Nel breve periodo della repubblica sociale si tentò qualche ridenominazione ma non ebbe alcun effetto pratico.
Toccherà al sindaco Greppi cancellare, rinominare, ridefinire, intitolare tutta la toponomastica cittadina; un lavoro non banale costellato da polemiche (quella sulla intitolazione a Crispi, a D’annunzio, a Meda) e conflitti di competenza; alcune piazze come quella della stazione cambiarono nome (nel dibattito in consiglio comunale) più volte.
Inizialmente furono cancellati i toponimi più compromessi che si intitolarono a Turati (già via Albania), a Treves (già Largo Notari), Matteotti (già Corso Littorio), in altri casi di tre nomi, piazza D’annunzio, piazza Fiume, piazza Carnaro se ne fece uno solo piazza della Repubblica, in altri ancora la “punizione” fu uno spostamento in luoghi periferici. Tra gli epurati molti Savoia. Nel tempo alcuni epurati furono ripescati.
Non mancarono le polemiche politiche: il Partito Liberale ritenne il cambio dei nomi fatto senza alcun rispetto per le tradizioni storiche ed illegittimo dal punto di vista formale, l’associazione dei fanti protestò per la cancellazione del Duca D’Aosta.
Nell’agosto del 1951 si conclude la procedura e i nomi divengono definitivi; tra gli altri vengono celebrati molti protagonisti del comune stesso: Emilio Caldara (già Regina Margherita), Angelo Filippetti (già bastioni), Giuseppe Mussi, Eugenio Chiesa.
Lo sviluppo della città, del resto, consentiva ormai di sbizzarrirsi e nel 1954, l’assessore Montagna propose una nuova confusa infornata tra cui: Giovanni Giolitti, Don Minzoni, Jean Jaures, Giarabub, Marzabotto, Cesare e Lidia Rocca, Chopin, Debussy, l’esploratore norvegese Nanses, Himarara, Kalibaki, non tutti furono approvati per fortuna. Nel tempo la disponibilità di vie si è ridotta e quindi si sono intitolati giardini, vicoli, passaggi, gallerie di tutto di più.
Costante è stata la sottovalutazione delle donne, solo il 4,9% delle strade cittadine è intestata a donne comprese sante e madonne varie.
Negli anni ’80 scoppiò il caso delle strade ancora intitolate a gerarchi fascisti di cui ci si era dimenticati, due in particolare: Gustavo Fara luogotenente generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale uno degli organizzatori della marcia su Roma ma anche medaglia d’oro al valor militare e Aldo Tarabella anch’egli decorato nella Prima guerra mondiale, nel 1919 iscritto al fascio di combattimento milanese di cui sarà responsabile delle squadre d’azione per diventare console generale della milizia volontaria. Duro tra i duri Tarabella ebbe uno scontro anche con Mussolini ritenuto titubante dopo l’assassinio Matteotti, sua la frase “ma vi pare troppo un cadavere per una rivoluzione?”, tra i “meriti” di Tarabella in città anche quello di essere stato tra i protagonisti dell’assalto a l’Avanti! (la lapide sempre comunale che ricorda il misfatto e la lapide della via Tarabelli distano 20 minuti) e allo stesso Palazzo Marino. https://www.enciclopediabresciana.it/enciclopedia/index.php?title=TARABELLA_Aldo
Mai coinvolto in proposte di cancellazione Luigi Razza ministro dei lavori pubblici e membro del Gran consiglio.
La vicenda ebbe particolare visibilità perché a sollevare la questione di Fara fu Bettino Craxi, oggi potrebbe tornare di attualità vista la proposta di legge PD presentata il 5 ottobre scorso per impedire la titolazione delle strade agli esponenti del partito fascista.
L’assessore competente Guido Aghina un radicale fedelissimo di Tognoli, si disse (novembre 1982) contrario all’epurazione/revoca: “anche gli errori fanno storia… se continuassimo ad epurare potremmo trovarci un giorno nella necessità di rimettere al loro posto targhe strappate in epoche precedenti. Una targa stradale, secondo me, è un po’ come una stratificazione geologica, una testimonianza storica, culturale e politica che sarebbe sciocco distruggere”.
Walter Marossi
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