7 novembre 2023

L’ORCHESTRA DI SANTA CECILIA A MILANO

Le grandi orchestre in trasferta


Copia di Copia di Copia di rification (11)

L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la massima orchestra romana che risiede in quel fantastico complesso progettato da Renzo Piano nel 1995, non viene frequentemente a Milano e, quando qualche volta è venuta, è stata ospite della Scala. Questa volta, lo scorso venerdì 27 ottobre, ha tenuto un concerto di grande spessore all’Auditorium di largo Mahler, diretta da un musicista tanto noto fuori dai nostri confini quanto negletto in Italia, dove il suo nome non è molto conosciuto: Manfred Honeck.

Il concerto, inquadrato nel grandioso “Festival Mahler” – per il quale l’Auditorium sta portando a Milano le migliori orchestre italiane e alcuni grandi interpreti mahleriani, e che si concluderà il prossimo 13 novembre – era composto da due parti: nella prima il celeberrimo “Des Knaben Wunderhorn” (“Il corno magico del fanciullo”), nella seconda, sorprendentemente (ma non troppo), l’Eroica di Beethoven (la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore opera 55). La prima parte, uno dei capisaldi del Liederismo mahleriano, è un’opera dei primissimi anni del Novecento; la seconda, assai nota anche per la dedica poi cancellata a Napoleone Bonaparte, è invece dei primissimi anni dell’Ottocento. Dunque le due opere segnano gli inizi di due secoli fondamentali per la storia della musica e sembrano farsi un gesto di complice intesa anticipatrice dei due rispettivi secoli.

I 7 Lieder (selezionati fra i 24 dell’intero ciclo) hanno visto, a fianco di Manfred Honeck, direttore austriaco uscito dalle fila delle viole delle due massime orchestre viennesi, il baritono tedesco Christoph Pohl con una voce magnifica e perfettamente mahleriana che, a dispetto delle leggende che avvolgono l’incomprensione fra le due culture, si sono intesi benissimo ancorché Pohl abbia sostituito all’ultimo momento un altro grande baritono mahleriano, Matthias Goerne, che ha dovuto rinunciare per problemi di salute.

Mentre l’esecuzione dei Wunderhorn è stata esemplare e degna della grande tradizione mahleriana (Honeck è stato assistente di Claudio Abbado cui i mahleriani italiani devono molto), nell’Eroica i volumi sono parsi spesso eccessivi (una esecuzione un po’ “urlata”) ma si è capito perché. L’orchestra era arrivata a Milano la sera prima e già la mattina dopo ripartiva per Roma, sicché ha avuto pochissimo tempo per provare – non dico per intendersi, l’intesa era perfetta – ma per rendersi conto che l’acustica del nostro Auditorium è enormemente migliore di quella dell’Auditorium romano e il volume della sala decisamente inferiore. Ed è molto difficile in pochissimo tempo “aggiustare” i volumi dell’orchestra per adattarli all’acustica della sala.

A parte i problemi cui ho accennato, il concerto è stato molto molto gradito, soprattutto si è apprezzata la possibilità di ascoltare il suono di un’altra orchestra, in questo caso anche di grande valore; sarebbe stato bello vedere seduti in platea gli strumentisti della “nostra” orchestra che avrebbero potuto fare utili confronti e scoprire sonorità e modalità diverse da quelle cui sono abituate. Mi rendo conto che siano scambi costosi ed anche difficili da organizzare, ma è pur vero che ogni qualvolta ci capita di ascoltare altre Orchestre nelle nostre sale, l’attenzione degli ascoltatori aumenta considerevolmente e l’esperienza è sempre positiva.

Nel caso dell’Eroica, poi, che è la prima Sinfonia veramente beethoveniana, la prima opera che, con buona pace di Mozart e di Haydn, squassa il mondo classico ed anticipa il secolo d’oro del romanticismo (o, meglio, dei romanticismi che pulluleranno in tutti i paesi europei), nel caso dell’Eroica, dicevo, un’altra orchestra porta una ventata di aria fresca, illumina di una luce nuova, propone suggestioni ed emozioni diverse, perché si sa che l’Orchestra ha un’anima, e il direttore ha il compito di farla venire allo scoperto, di rivelarla (parole di Claudio Abbado di cui Honeck ha fatto tesoro).

L’anima dell’orchestra romana si è manifestata soprattutto nel secondo tempo dell’Eroica, in quella sorprendente Marcia Funebre che – nonostante si sappia ormai tutto sui sentimenti di odio-amore che Beethoven ha nutrito nei confronti dell’Empereur, e soprattutto della cocente delusine che Ludwig ha provato quando Napoleone si è fatto incoronare Imperatore – non si è mai capito come abbia potuto finire in un’opera …”composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo”. (Val la pena di ricordare in proposito che il Quinto Concerto per pianoforte e orchestra, di qualche anno successivo, è stato chiamato “L’Imperatore” dall’editore, contro il volere di Beethoven che non voleva allusioni napoleoniche). L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha dato il meglio di sé per far emergere da quella musica tutte le vibrazioni – ma anche tutte le ambiguità – ch’essa contiene e che ne fanno una delle pagine più “alte” della produzione beethoveniana.

Concerto di grande appeal, dunque, e noi speriamo che questi esempi di grandi orchestre in trasferta a Milano – non che siano una rarità, ma neppure sono molto frequenti – possano ripetersi spesso e vengano accolte dal pubblico con l’attenzione che meritano.

Paolo Viola

 



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