17 ottobre 2023

DUE CONCERTI INTRIGANTI

Uno al Conservatorio e uno Spazio Teatro 89*


Copia di Copia di rification                                               

Commenterò due concerti molto diversi fra loro, quasi agli antipodi: uno, trionfale, di un celeberrimo quartetto americano al Conservatorio, l’altro di una pianista russa in uno (a me) sconosciuto mini-teatro di periferia, che verrebbe voglia di chiamare “teatro di resistenza”, dove si svolge una stagione di musica da camera per pochi eletti – vista la location e la dimensione della sala – non priva di interesse e di qualità.

Cominciamo dal Quartetto Emerson, americano e assai longevo (è nato nel 1976 a New York), considerato uno dei migliori quartetti al mondo, venuto per accomiatarsi dal pubblico italiano durante una tournée in Europa per dare gli ultimi due concerti prima di sciogliersi e di andare in pensione; non credo sia un caso se ha privilegiato, per questo addio, Parigi e Milano, e a Milano proprio la Società del Quartetto.

Non vi dirò della sensazione di assoluta perfezione e di grande ispirazione che ha caratterizzato il concerto, le lascio immaginare, e neppure dell’enorme successo che hanno riscosso i quattro concertisti. Vi dirò invece del programma che ci hanno proposto: si inizia con un’opera giovanile di Schönberg, il Quartetto n. 2 in fa diesis minore opera 10, del 1907 (quindi, diciamo così, in anni pre-dodecafonici), che prevede nel 3° e nel 4° movimento l’aggiunta della voce di un soprano, sicché diventa un vero e proprio Quintetto (ancorché inusuale) e Barbara Hannigan, magnifico soprano canadese, è stata il perfetto e commovente 5° strumento! È un’opera di rara esecuzione, rivelatrice della peraltro nota precocità del giovane Arnold che, prima di cimentarsi in nuovi linguaggi, aveva già maturato una espressività musicale ben definita e una creatività di grande respiro.

Nel secondo tempo gli Emerson hanno eseguito uno degli ultimi quartetti di Beethoven, il numero 13 opera 130 in si bemolle maggiore, che si conclude con la celebre “Cavatina” in tempo lento (“adagio molto espressivo”), fonte di particolare commozione. Poi, seguendo le originali intenzioni dell’Autore, prima che scoppiassero gli applausi, i quattro archi hanno attaccato la poderosa e a suo modo rivoluzionaria Grande Fuga per quartetto d’archi, opera 133, sempre in si bemolle maggiore, del 1825, che doveva essere la conclusione del Quartetto opera 130. Di questa Fuga Stravinskij scrisse ”… il perfetto miracolo di tutta la musica. Senza essere datata, né storicamente connotata entro i confini stilistici dell’epoca in cui fu composta, anche soltanto nel ritmo, è una composizione più sapiente e più raffinata di qualsiasi musica ideata durante il mio secolo.(…) Musica contemporanea che rimarrà contemporanea per sempre”. Massimo Mila, da par suo, scrisse che è un “titanico sforzo per realizzare il matrimonio del diavolo con l’acqua santa”! Teniamo presente che siamo fra le ultime, estreme opere del Maestro, che morirà cinquantasettenne nel marzo del 1827

E infine il bis: un celestiale corale di Bach, e si dà il caso (ma forse più che un caso è stata una scelta precisa) che, sia fra Schönberg e Beethoven che fra Beethoven e Bach, passino circa cent’anni; due salti di un secolo quasi preciso ma a ritroso, come per andare a cercare le radici, a scoprire i gli antenati. Se avessero fatto il contrario (aprire con Bach, poi Beethoven, e chiudere con Schönberg), come peraltro si usa fare, il risultato sarebbe stato molto diverso, non saremmo stati obbligati a riflettere su quanto ogni composizione abbia radici nel passato e come, nella storia della grande musica, tutto si tenga.

***

Qualche giorno prima, ascoltando la radio in macchina, ero capitato per caso nel mezzo di una intervista a Tatiana Larionova a proposito di un concerto che la pianista russa avrebbe tenuto di lì a poco a Milano, nello “Spazio teatro 89” nel quadro di una stagione di concerti promossa, programmata e gestita da Luca Schieppati.

La cosa sarebbe scivolata via senza lasciare traccia se non per i nomi dei due protagonisti e per il programma molto accattivante del concerto: un confronto diretto e serrato fra Pëtr Il’ič Čajkovskij e Sergej Rachmaninov, con opere non molto conosciute dei due grandi compositori russi, eseguite al pianoforte da una pianista nata e cresciuta proprio in Russia ancorché da tempo diventata milanese. In questi giorni, in cui la Russia è diventata una nazione infetta ed esecrata, un programma del genere mi è apparso intrigante, quasi provocatorio e, ricordando che Čajkovskij è scomparso nel lontano 1893 e che il povero Rachmaninov dal 1918 in poi ha vissuto esule in Europa e negli Stati Uniti, mi sono fatto trascinare dalla curiosità e sono andato alla ricerca di quell’ignoto teatro.

Così domenica sono riuscito a trovare, dietro all’ospedale di san Carlo in fondo a via Novara, la via Fratelli Zoia e il numero 89 dove – al pianterreno di una anonima palazzina residenziale di tre piani, su una vetrina che sembrerebbe di un negozio, fra un gommista e una bocciofila – compare l’insegna del tutto insospettata: “SPAZIO TEATRO 89 – Spettacoli Musica Eventi Mostre SMEM”. All’interno, dietro un piccolo atrio con biglietteria, si apre una modesta sala con palcoscenico avvolta da pannelli fonoassorbenti e dunque – come potrò verificare durante il concerto – dotata di ottima acustica.

Un gran bel concerto, in cui la pluripremiata ed elegante Larionova (Mosca 1979) ha eseguito le giovanili 12 “Variazioni su un tema originale” in fa maggiore opera 19, di Čajkovskij, e le 20 “Variazioni sul tema La Follia di Corelli” in re minore opera 42, scritte da un quasi sessantenne Rachmaninov. Una prova ardua da ogni punto di vista, affrontata  dalla Larionova con grande tecnica, una considerevole lucidità e un’intima partecipazione, restituendo ad ognuno dei 32 brani il senso preciso dell’essere una variazione, senza mai perdere di vista il tema da cui tutto traeva origine.

Ai due gruppi di Variazioni sono seguite due altre opere, ancora di Čajkovskij (il “Dumka”, opera 59) e di Rachmaninov (i “Moments Musicaux”, opera 16) con l’inversione però dell’età dei due compositori: opera matura, in questo caso, quella di Pëtr Il’ič, ed opera giovanile quella di Sergej. Il gioco dell’alternanza dell’età dei compositori, fra la prima e la seconda parte, ha costituito il centro focale del concerto, creando una sorta di lezione/riflessione sulla evoluzione nel passaggio dalla gioventù alla maturità dei due autori, ed anche sulla evoluzione della sensibilità musicale da una generazione all’altra (Rachmaninov fu allievo di Čajkovskij ed aveva 33 anni meno di lui, giusto una generazione).

Poi c’è Luca Schieppati (Milano, 1964), ottimo concertista, didatta ed organizzatore di eventi musicali, che si autodefinisce “musicista onnivoro e polimorfo, insofferente di ruoli e schemi predefiniti”, che dal 2001 è il direttore artistico dei Concerti di Spazio Teatro 89! E dunque da oltre vent’anni mette e tiene in piedi stagioni musicali di tutto rispetto, tanto che domenica 22 ottobre, alle 17, il magico Quartetto Indaco vi eseguirà i quartetti “Delle arpe” di Beethoven e “La morte e la Fanciulla” di Schubert. Imperdibile!

Schieppati, organizzatore del concerto, ha lungamente intrattenuto il pubblico per illustrare il programma e – a dispetto della mia nota contrarietà (“ai concerti si suona e non si parla!”) – ha tenuto un’ottima lezione sul confronto fra i due grandi russi e fra le due generazioni ch’essi rappresentano. Poi l’altra russa, quella in carne ed ossa, ha dato il meglio di sé sulla tastiera ottenendo un grande successo presso un pubblico – non molto folto, a dir la verità (un vero peccato) – ma molto attento e visibilmente competente.

Possiamo dire che Milano è una città fantastica?

Paolo Viola

 

* Fratelli Zoia 89



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali


  1. annibale osti<> Sono un po' offeso e anche meravigliato, che una persona evidentemente colta e sensibile, dia per scontato che la cultura può esistere solo all'interno della cerchia dei Navigli. Che raggiungere il Teatrro 89 sia una specie di safari con casco da esploratore. Che un Teatro non possa relazionarsi in buon vicinato con un gommista ed una bocciofila. E la città dei 15 minuti? la città metropolitana? le esperienze di tutte le grandi città del Nord Europa? Magari avrebbe avuto più senso magari sottolineare che alla fine del concerto, il servizio del trasporto pubblico è praticamente assente? PS grazie del vostro insostituibile lavoro!
    18 ottobre 2023 • 11:06Rispondi
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. Tutti i campi sono obbligatori.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.


Sullo stesso tema





9 aprile 2024

VIDEOCLIP: LA MUSICA COME PRODOTTO AUDIOVISIVO

Tommaso Lupi Papi Salonia






20 febbraio 2024

SANREMO 2024: IL FESTIVAL CHE PUNTA SUI GIOVANI

Tommaso Lupi Papi Salonia



20 febbraio 2024

FINALMENTE

Paolo Viola



6 febbraio 2024

QUANTA MUSICA A MILANO!

Paolo Viola


Ultimi commenti