7 marzo 2023

LA MUSICA SI RACCONTA SUONANDOLA O PARLANDONE?

Essere dei critici o essere dei musicisti?


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Gallerie d’Italia, la ricca collezione di opere d’arte ospitata in tre palazzi storici milanesi, fra piazza della Scala, via Manzoni e via Marone, ogni tanto si lancia in iniziative culturali alternative e diverse e fra queste, insieme alle Dimore del Quartetto, giovedì scorso ne hanno messa in cartellone una più spericolata delle altre: una “lezione-concerto” per spiegare ai milanesi che cos’è e come funziona un Quartetto d’archi. E per fare ciò ha scritturato uno dei migliori Quartetti d’archi italiani costringendolo a trasformarsi in un quartetto di storici e di critici di un genere musicale che, fin dall’epoca di Haydn, è stato uno dei miracoli della musica classica (o “alta” o “colta”, come si vuole) e che continua ad esserlo.

Le cose sono andate così, con una locandina che diceva

“Giovedì 2 marzo 2023, ore 19.00, alle  Gallerie d’Italia Intesa Sanpaolo, Milano

INTESA PERFETTA | QUARTETTO INDACO

Musiche di Beethoven, Brahms e Ravel

Un progetto de Le Dimore del Quartetto organizzato da Società del Quartetto per Intesa San Paolo”

Si dà il caso che, come dicevo, il Quartetto Indaco sia fra i migliori Quartetti italiani e che dunque questo concerto non si poteva assolutamente perdere. Poi bisogna riconoscere che la presenza della Società del Quartetto fra gli organizzatori sembrava una garanzia. Senonché, giunti sul posto, dopo aver trovato con qualche difficoltà la saletta in cui si sarebbe svolto il concerto, abbiamo saputo che non di concerto si trattava, bensì di una “lezione-concerto”. E ci siamo di conseguenza trovati sui banchi di una scuola di cui la maggior parte degli astanti non sentiva alcun bisogno, anzi ne era visibilmente infastidita.

Come si fa a tradire le attese di chi pensa di andare ad ascoltare musica e viene invece costretto ad ascoltare una lezione? E poi, diciamola tutta, potrebbe anche far piacere ascoltare una bella lezione, ma forse da parte di qualcuno che ha dedicato la propria vita non a suonare uno strumento (si sa che per farlo come si deve non ne basta una, di vita!) ma, senza nulla togliere alla brillantezza e alla simpatia dei quattro giovani musicisti, magari da chi l’ha passata sui libri a studiare le forme, i contenuti, la storia stessa della musica!

Mi rendo conto di entrare a gamba tesa in una discussione che appassiona e dilania da sempre musicisti, storici e critici musicali di ogni stagione e di ogni rango ma, dopo aver sopportato per due ore una non desiderata lezione (per giunta con un audio del tutto insufficiente e inidoneo, specialmente se destinato a un pubblico attempato) confesso che ho bisogno di sfogare un profondo malcontento.

Spiegare la musica ed eseguirla sono due attività che solo un miracolo potrebbe far discendere da una medesima formazione culturale: non si può essere contemporaneamente un buon musicista e un buon critico o storico musicale. Sono due impostazioni mentali, due approcci, due preparazioni profondamente diverse. Sia chiaro: non è che un buon musicista non debba avere una preparazione storico-critica relativa alle fonti (in senso lato, dal contesto storico agli essenziali tratti biografici degli autori) e dei testi (che deve capire, analizzare, decifrare,  spiegare a sé stesso in ogni particolare e dettaglio, nota per nota). Ma altro è il lavoro intimo e personale di approfondimento del “senso” di ciò che ci si accinge a studiare e ad eseguire, altro è la spiegazione, il disvelamento ad altri e la divulgazione di quel “senso”, che necessita di un linguaggio, di un metodo, di una formazione specifica. Si può essere un grande scienziato e non essere capace di spiegare la scienza, e viceversa un ottimo divulgatore senza necessariamente essere uno scienziato. Figuratevi con il grande mistero della musica!

Né voglio dire che i bravissimi componenti del Quartetto Indaco (Eleonora Matsuno e Ida Di Vita violini, Jamiang Santi viola e Cosimo Carovani violoncello) che quando suonano ci trascinano fra gli dei dell’Olimpo, non siano bravi e preparati anche nel raccontarci ciò che suonano. Ma non mescoliamo i santi con i fanti; prima di tutto è un altro mestiere, e in secondo luogo bisogna avere davanti una platea che è venuta apposta per ascoltarli, non di subirli al pari dei tanti chiacchieroni (presidenti di istituzioni musicali, sindaci e assessori, mecenati e benefattori…) che infestano ormai tutti i concerti con i loro ringraziamenti, auspici, raccomandazioni e via di seguito. Uno strazio!

Per non parlare infine del massimo orrore: le opere-spezzatino! Come ci si può permettere di eseguire solo alcuni tempi di opere preziosissime come i quartetti di Beethoven, di Brahms, di Ravel, privandole della loro preziosa completezza. Nessun tempo di quartetto (o di concerto o di sinfonia) sta in piedi da solo, è un’opera autonoma e completa. Provate ad immaginare come si rivoltano nella tomba quei poveri autori nel vedere le loro opere fatte a pezzi e somministrate un po’ qua e un po’ là…a piccole dosi… giusto per dare un’idea… Mi perdonino gli innocenti musicisti, che suppongo abbiano dovuto sottostare a qualche necessità organizzativa, ma questa cosa ha un solo nome, si chiama barbarie!

Paolo Viola



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  1. Francesco PiccalugaDoveva essere molto arrabbiato Paolo Viola per scrivere il suo pezzo riguardo al quartetto Indico e all’organizzatore dell’incontro alle Gallerie di Italia! Non sono d’accordo neanche su quanto dice circa lo spezzettamento di un’opera: se adeguatamente presentato nel giusto contesto, anche un tempo o addirittura una frase potrebbero significare qualcosa. Resta la delusione di chi pensava di ascoltare un concerto e si è trovato ad ascoltare una lezione non prevista e non gradita.
    13 marzo 2023 • 10:50Rispondi
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