21 febbraio 2023

RICCHI E POVERI ALLA DOGANA DEL 110%

Si perpetua il costume di favorire i ricchi


 rification (4)

Nella complessa vicenda del 110% del Conte II (quando al MEF c’era Gualtieri) c’è uno sconfitto sicuro: l’inquilino delle Case Popolari assieme a tutti i piccoli proprietari di casa, incapienti fiscalmente.

Che la transizione ecologica sia cosa prevalentemente per ricchi lo si era capito da subito: a fronte di un patrimonio edilizio stratificatosi in secoli nei quali il problema energetico non esisteva, i risparmi energetici derivanti da investimenti in efficienza premiano, è vero, tutti coloro che consumano energia, poveri o ricchi che siano, ma le agevolazioni fiscali (in detrazione, in deduzione, in contributo su uno o più esercizi) hanno senso solo per chi le tasse le paga, ovvero i ricchi (o meglio quei ricchi che hanno residenza e/o attività residenti) per i quali ogni azione aggiuntiva sul risparmio ottenuta a valle di propri investimenti può venire contabilizzata.

Ciò non offre alcun vantaggio a chi paga poche o punte tasse, e dunque non ha di che compensare, e men che meno chi proprietario non è, ma paga i maggiori costi dell’inefficienza energetica della casa che abita.

Nelle disposizioni di legge, a fronte delle buone intenzioni del legislatore, si scontrano una onesta volontà riformatrice, spesso nella direzione mainstream e quindi nel nostro caso quella ecologista, con il desiderio di emettere norme gestibili senza troppa fatica da parte di un apparato che non pare troppo afflitto dall’obbligo di lavorare e controllare e quindi delega volentieri l’azione al privato, senza verificare se i paletti da lui messi abbiano fondamento finanziario e nemmeno effettivo sul risultato atteso in valori assoluti.

Perché il primo punto per capire dove si genera il disastro cui la Meloni si è trovata a dover dire basta (peraltro favorendo definitivamente i ricchi capienti di cui sopra) è proprio nell’enorme dispendio di denaro a fronte di un risultato miserino almeno in termini di energia risparmiata.

Perché i governi di sinistra (mettiamoci dentro anche il governo giallorosso del Conte II) hanno finito per favorire solo i ricchi, anche grazie al colpo di grazia della Meloni?

Molto risiede nell’attaccamento insistito al suono delle parole senza il conforto dei numeri sul lato dei risultati e, soprattutto, nel ritenere la questione dell’equilibrio dei bilanci una cosa trascurabile al cospetto dei buoni proponimenti.

Se risaliamo agli intenti che nel 2013 diedero il via alla stagione degli Ecobonus, al Governo c’era Letta e al MEF Saccomanni, la questione era pur sempre affare per chi aveva capacità di investire in proprio ma a supporto aveva la non completa copertura di tali spese e quindi una compartecipazione attiva da parte di chi avrebbe goduto dell’agevolazione nel portare a casa un risultato positivo in termini di risparmio energetico con cui mandare (alla svelta) in pari i conti: giova ricordare che ogni risparmio economico sul lato combustibile si ha un corrispondente risparmio alla voce ‘emissioni’ (sia inquinanti che climalteranti) e dunque un onesto compromesso con un costo sopportabile.

Il problema di chi non poteva accedere a tale agevolazione e in particolare di come gli Istituti di Edilizia Popolare avrebbero potuto avviare la necessaria trasformazione dei propri energivorissimi edifici, porta alla legge di bilancio del 2016 che estende anche a questi ultimi la misura delle detrazioni con la clausola, oggi abolita, di poter cedere tale credito al costruttore o a chi per esso; intento lodevole che però mina un principio contabile non trascurabile, ovvero che la detrazione avvenga sul reddito del beneficiario e non su quello di chi subentra nel credito perché così non solo ci saranno le minori entrate previste dalla legge del 2013 (compensazione fra crediti e debiti fiscali) ma si aggiungono uscite assolute perché i crediti da compensare a questo punto si trovano di fronte ad imposte altrui: di fatto una manovra di aiuto in debito netto per lo Stato.

La questione diventa esplosiva con il 2020 perché il 110% sgancia gli aiuti dalla compartecipazione e da un qualche interesse a che l’intervento si possa ripagare almeno in parte con il risparmio energetico indotto: di fatto, pur continuando ad essere norma estendibile anche all’edilizia popolare è proprio quest’ultima che non ne utilizza le potenzialità, per contro  l’assenza di una necessità di risparmio per far tornare i conti dell’operazione da parte dei privati spinge ad applicare la detrazione sulle seconde case, notoriamente scarse consumatrici di energia e quindi prive di interesse ad investire per risparmiare (e prive di interesse pubblico a che si risparmino consumi trascurabili).

Ecco che l’Ecobonus che nasceva di fatto per incentivare chi era già in grado di investire si trasforma in una droga spacciata gratuitamente proprio agli stessi (oltre ad un corteo di mascalzoni pronti a intrufolarsi nelle pieghe di tutte le leggi italiane dove i soldi ti arrivano se le carte sono in regola, unico criterio perché, come abbiamo visto, di controllare non se ne parla mai, se non quando i buoi sono scappati).

Ma se per un secondo torniamo al punto di partenza, ovvero la necessità di diminuire l’impatto energetico di un patrimonio edilizio vetusto, lo sapevano tutti che i maggiori risparmi sarebbero derivati proprio dal mettere mano all’edilizia popolare e ai suoi costi, tutti in capo alle fasce più deboli della popolazione, ecco che i 7 o 8 mld necessari a efficientare una volta per tutte l’intera edilizia popolare milanese magari sarebbero stati una cifra spesa meglio che non gli stessi 7 o 8 mld destinati alle seconde case di ricchi incapienti che hanno ceduto il credito a banche, imprese o altri intermediari (questa l’ho buttata la, ma credo che con un minimo di indagine si vedrà che non mi sono sbagliato).

Restano insoluti due punti che erano alla base delle leggi sin dal 2013:

  • Come diminuire l’impronta energetica degli edifici italiani (fatto che diventa ancor più cogente alla luce delle determinazioni europee)
  • Come farlo sull’edilizia pubblica visto che la proprietà non è interessata a spendere perché l’inquilino risparmi (e per quel che riguarda la città di Milano questa è ancor meno interessata visto che chi fattura cifre altrimenti impensabili di riscaldamento è un società partecipata dal Comune che con quegli utili ci paga gli stipendi)

Visto che siamo già andati troppo lunghi, per concludere  dico che nessun legge dovrebbe deresponsabilizzare  chi ne gode  e quindi per quel che riguarda i privati si deve ritornare ai bonus precedenti con detrazioni non superiori al 50% da spalmare su periodi assai più lunghi  imponendo nel contempo l’obbligo a farlo pena una tassazione punitiva sugli immobili energivori,  mentre per quelli pubblici la questione resta complessa anche se, per quel riguarda Milano, il potenziale valore immobiliare incrementatosi in questi anni potrebbe fornire merce di scambio per operazioni radicali che riqualifichino e ridefiniscano in senso moderno l’edilizia popolare.

Il vero punto sta nel chiedersi se il coraggio e la prontezza mancati dal 2016 salteranno fuori oggi da Comune e ALER anche senza i contributi dello Stato, o se la questione rimarrà aperta sintanto che l’Europa non imporrà a ragione l’abbattimento di (quasi) tutta l’edilizia popolare milanese.

Giuseppe Santagostino

 



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