3 maggio 2022
MILANO E LA DECRESCITA: FELICE O INFELICE?
Dipende solo da noi
Il 24 febbraio 2022 è una data che non dimenticheremo facilmente: il giorno dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin. Lo si aspettava già da parecchie settimane e i servizi segreti USA ci avevano avvertito: l’ammassarsi di truppe della Federazione Russa sui confini non era una “esercitazione” come tutte quelle che gli Stati fanno solo per mostrare i muscoli per avvertire il mondo sulla loro potenza bellica.
Stavamo ancora facendo i conti con il Covid e con tutte le sue conseguenze sanitarie, sociali ed economiche e ora a quella del Covid si aggancia la guerra ucraina, mettendoci di fronte ad uno scenario ancora più terribile: continuiamo a vedere morti per pandemia, già molti e quotidiani, e morti a causa della guerra, morti questi ultimi che si sarebbero potuti evitare, quindi il peggio, sacrificati sull’altare di una politica imperiale radicata nel DNA di alcune nazioni e della loro classe politica.
Non mi lascio coinvolgere nei dibattiti di questi giorni sull’invio di armi difensive o offensive né tantomeno sulla politica europee, mi limito a qualche considerazione sui dati che conosciamo e in particolare su alcuni di essi che secondo l’agenzia Roiter sono questi a tut’oggi: almeno 46.160 morti, 12.039 feriti, 400 dispersi,13 milioni di profughi, 2071 edifici distrutti, 565 miliardi di dollari in danni materiali.
A questo dobbiamo aggiungere i costi degli armamenti, delle truppe, delle azioni militari e la distruzione di capacità produttive industriali e agricole, lo sconvolgimento dei mercati e la crisi alimentare di tutto il mondo e, come sempre, i più poveri avranno più fame e più sete.
Si sta cominciando a fare l’elenco dei crimini di guerra ma sarebbe bene fare anche i conti col peggior crimine contro l’umanità: la guerra.
Ci sarà mai un tribunale internazionale capace di procedere contro i responsabili di questa guerra? Ci saranno giudici autorevoli? Ma sopratutto chi bisogna mettere sul banco degli imputati? Si saliranno i gradini delle gerarchie per arrivare fino ai capi di Stato e di Governo senza fermarsi ai militari che sono solo il braccio armato di questi Stati e Governi?
Questa guerra provocherà oltretutto danni ambientali terribili, rallentando inesorabilmente il cammino di tutte le iniziative per la riduzione dalle emissioni di CO2 da un lato e dall’altro inquinando direttamente l’atmosfera nella quale si stanno immettendo sostanze nocive come i propellenti dei missili e gli esplosivi delle armi portate direttamente da questi missili o dall’uso di qualsiasi arma, dai semplici fucili alle artiglierie pesanti e alle batterie antimissile.
Un ulteriore danno sarà il consumo accelerato di risorse non rinnovabili disponibili sul nostro pianeta, in particolare le materie prime e le risorse energetiche del sottosuolo. La ricostruzione dopo la guerra avrà un costo non solo in termini economici ma anche ambientali.
In tema di risorse l’Italia è uno dei Pesi messi peggio perché ha esaurito virtualmente le proprie risorse il 10 marzo scorso (l’ Earth overshoot day) ed è in testa alla classifica dei paesi che dovrebbero avere una superficie più grande per raggiungere un equilibrio rispetto ai suoi consumi: l’Italia dovrebbe essere 5 volte più grande. (da EconomiaCircolare.com).
A margine di questi ragionamenti varrebbe la pena di domandarsi come mai tra Francia e Italia ci sia un così ampio divario.
Che fare a Milano calata nello scenario della guerra ucraina e delle sue conseguenze? Possiamo cominciare a riflettere anche se non sappiamo quanto durerà questa guerra e soprattutto quale sarà la sua conclusione e a che prezzi per gli ucraini, per l’Europa e per gli equilibri politici mondiali.
Detto questo dobbiamo sin da ora rileggere quello che è stato scritto a proposito del dopo Covid, la pandemia che ha messo in rilievo la fragilità del cosiddetto “Modello Milano”, esaminarne dunque le caratteristiche per avviare una riflessione approfondita che supporti i decisori per le future e inevitabili scelte a partire dalla guerra ucraina.
Siamo inesorabilmente arrivati al nodo della “decrescita felice“, quella propugnata da Serge Latouche, l’economista francese che, pur con il suo fondo di utopia, affronta i problemi del mondo cercando di costringerci a ragionare senza comodi sotterfugi o inutili ottimistiche fughe in avanti. Il termine decrescita non deve spaventare perché decrescere non vuol dire mettere indietro le lancette dell’orologio ma come prima cosa avere un atteggiamento “parsimonioso” nei confronti dei beni non riproducibili: ne ho parlato già nel 2012 a proposito del Bilancio del Comune di Milano in un mio editoriale.
Il problema vero sta nel fatto che se avessimo sin da tempo adottato pratiche di parsimonia e di attenzione a questi problemi oggi staremmo comunque meglio ma adesso non possiamo far finta di niente: la decrescita è inevitabile: felice o infelice?
Felice per tutti quelli che la capiscono e la condividono non da oggi, probabilmente infelice per chi crede ancora che per essere felici si debba continuamente crescere ma ora non lo si può più fare.
Luca Beltrami Gadola
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