19 marzo 2024

MILANO E IL CAPITALISMO RELAZIONALE

La fine della democrazia


copertina

Sono solo tre gli argomenti che mi hanno turbato e mi turbano ancora, di cui sono piene le pagine dei quotidiani e che meritano riflessioni che vanno al di là dei semplici fatti di cronaca ma che spingono a porre una domanda di non poco conto: come possiamo chiamare sociologicamente la città nelle quale viviamo oggi e che sembra indicare un probabile futuro?

La vicenda dello stadio Meazza non sembra finire e forse si concluderà con un restyling dell’esistente: l’ipotesi oggi vincente potrebbe esser merito di Luigi Corbani   con il suo blog “Comitato Sì Meazza”, come dice Giangiacomo Schiavi rispondendo ad una lettera alla sua rubrica sulle pagine milanesi del Corriere della Sera ma certamente anche per merito di tanti gruppi milanesi che si sono messi di traverso e non per il vecchio adagio Not In My Back Yard (NYMBY). Non lo hanno fatto solo per egoismo di quartiere ma anche per rispetto della pianificazione urbana: cittadini consapevoli dei destini complessivi della città.

A proposito del Meazza ho sempre sostenuto per parte mia che non vi fossero ragioni sufficienti per fare un “regalo” – volumetrie aggiuntive –   alle squadre, malgrado le ultime giravolte del Sindaco: “se non le sosteniamo saranno costrette ad aumentare il prezzo dei biglietti”. Questo non farebbe piacere ai tifosi (elettori).

Ne hanno realmente bisogno? Io vorrei solo rammentare alcune cifre: i giocatori dell’Inter tra tutti guadagnano 65,3 milioni l’anno netti e il loro allenatore 5,5. Cosa sia il lordo, ossia il costo per le squadre non lo so calcolare perché non conosco il regime fiscale-contributivo che li riguarda. Per parte sua il Milan spende 60.5 milioni per i calciatori e 4 milioni per l’allenatore.

Se pagano queste cifre avranno le loro ragioni ma ad un comune cittadino sono cifre che fanno impressione come quelle di certi presidenti di banche o di società, anche pubbliche. Si è perso il senso del denaro e di che cosa ci dovrebbe essere dietro: il lavoro.

Altra questione che mi turba è la vendita, o per meglio dire la svendita, dei beni comuni ossia di quello che l’Enciclopedia Treccani così definisce: L’insieme delle risorse, materiali e immateriali, utilizzate da più individui e che possono essere considerate patrimonio collettivo dell’umanità (in ingl. commons). Si tratta generalmente di risorse che non presentano restrizioni nell’accesso e sono indispensabili alla sopravvivenza umana e/o oggetto di accrescimento con l’uso. In quanto risorse collettive, tutte le specie esercitano un uguale diritto su di esse e rappresentano uno dei fondamenti del benessere e della ricchezza reale.

Per una città il bene comune, sommariamente, è costituito dal suo territorio perimetrato dai suoi confini amministrativi all’interno dei quali sono identificate le proprietà private e quelle di uso comune. I proprietari di un fondo godono del diritto di costruirvi ma la quantità dell’edificazione è stabilita da norme precise di legge e di regolamento e, in buona sostanza, l’attribuzione della quantità di edificazione ne determina il valore.

Ogni volta che un’Amministrazione determina la quantità edificabile di un fondo, sottrae qualcosa ai beni comuni e crea ricchezza al proprietario. La stessa sottrazione avviene quando su un sedime privato se ne aumenta l’edificabilità.

L’edificabilità non è una quantità infinita perché ha un limite costituito dal carico insediativo degli edifici destinati ai residenti e alle loro attività, conservando per le stesse condizioni di salubrità, di sostenibilità sociale e di rispetto della natura. (Del carico insediativo ne parla autorevolmente una circolare del Governo della Valle d’Aosta che riporto all’allegato 1).

Del carico insediativo gli urbanisti non parlano quasi mai anche se dovrebbe essere alla base di ogni politica territoriale.

Dunque quando vedo che edifici destinati ad un uso sociale come l’edilizia popolare, gli ospedali, le scuole, il verde, tanto per fare un esempio, passare invece in mano private, capisco che siamo di fronte ad una sottrazione al bene comune, così come quando si concedono volumetrie edificabili aggiuntive all’edificato esistente.

Questo destino sembra riguardare anche il patrimonio del Pio Albergo Trivulzio e le aree milanesi possedute da Invitalia (Invitalia è l’Agenzia nazionale per lo sviluppo, di proprietà del Ministero dell’Economia) ma anche altri enti.

In queste operazioni non manca mai Cassa Depositi e Prestiti (CDP), una Spa anche essa posseduta dal Ministero dell’Economia che si articola in molte partecipate tra le quali CDP Immobiliare e Webuild il cui capitale è posseduto da Salini S.p.A. 39,66%; CDP Equity S.p.A. (Cassa Depositi e Prestiti) 16,47% ; Unicredit S.p.A. 4,94% , Intesa Sanpaolo 4,62%, azioni proprie 2,15% e flottante 32,17%.

Curiosamente CDP partecipa a molte operazioni di questo genere, dando l’impressione di voler rappresentare oltre al capitale immesso, una sorta di marchio di qualità, mentre invece è un classico strumento di sottogoverno in mano ai Partiti, un ottimo posto dove collocare direttamente o tramite le partecipate gli “amici”.

Detto questo, tanto per chiarire il mio pensiero, guardo oggi al destino dell’edilizia popolare e degli altri beni consimili. La loro alienazione (privatizzazione) con il meccanismo di apporto ad un o più fondi immobiliari (Maran) dei quali il Comune deterrebbe la quota del 70%, sono una privatizzazione.  L’obiettivo sarebbe quello di immettere sul mercato alloggi a prezzo contenuto o ad affitto moderato per ridurre la pressione sull’attuale mercato immobiliare che determina un livello eccessivo di prezzi di vendita o locazione.

Questo effetto non vi sarà perché le quantità in gioco sono troppo piccole rispetto all’insieme degli immobili abitativi milanesi posseduti dai privati.

Il timore, già espresso dai sindacati degli inquilini, paventa che questo sia l’avvio di una smobilitazione complessiva della pubblica amministrazione dal problema “casa”: secondo me vedono giusto.

Sulla vicenda giudiziaria che ha travolto l’assessorato alla Trasformazione Urbana (ex urbanistica) faccio mia l’esclamazione di una partecipante ad un recente convegno organizzato da Gabriele Mariani al CAM di Corso Garibaldi, l’ultimo sul tema Urbanistica e PM, che disse:”Meno male che c’è il Tribunale coi suoi PM!”.

Veniamo per finire al Capitalismo relazionale milanese.

Il Capitalismo relazionale è l’ultima fase di trasformazione di quello che storicamente chiamiamo capitalismo marxsianamente inteso, come produzione del denaro per mezzo del denaro.

Il Capitalismo relazionale è dunque una forma di degenerazione del capitalismo storico che si è diffuso nei Paesi capitalisti come il nostro, dove il successo economico di una parte  – minoritaria – deriva da un intreccio sempre più avvolgente, fatto di favoritismi e corruzione e multiposizionalità tra i soggetti che si trovano nei punti chiave dell’economia, una forma anche di capitalismo politico che approfitta della debolezza delle istituzioni democratiche per gestirle nella logica degli interessi personali, in particolare sviluppando e tutelando la cosiddetta rendita.

L’anno scorso Carl Rhodes pubblicò un libro intitolato Capitalismo woke, con un illuminante sottotitolo – Come la moralità aziendale minaccia la democrazia.  Ci spinge a riflettere sull’attuale capitalismo: dobbiamo dunque diffidare da chi avvolto nella bandiera (rossa) della sinistra mette in atto comportamenti che sarebbero, analizzandoli, affini alla destra, in particolare la nostra destra che approfitta del disorientamento (anche ideologico) della sinistra.

Dice Rhodes:” È tempo di abbandonare l’idea che le imprese, in quanto attori principalmente economici, possano in qualche modo aprire la strada politica per un mondo più giusto, equo e sostenibile. Il capitalismo woke è una strategia per mantenere lo status quo economico e politico e per sedare ogni critica. Questo libro è un invito a opporgli resistenza e a non farsi ingannare.”.

Molti di noi lo stanno facendo ma il “nemico” è molto, forse troppo potente (giornali e televisione) e il suo canto da “sirena” ha mezzi giganteschi, tra i quali la corruzione e il lasciare sotto traccia e senza parlarne che prosperino e si diffondano mafia e camorra.

Se si guarda con occhio disincantato Milano, il suo Sindaco e la sua Giunta, il capitalismo relazionale è il morbo di cui soffrono, servi sciocchi di una strategia che a loro appare come crescita e sviluppo.

La democrazia a Milano sta morendo? Non posso immaginarlo come un mondo possibile.

Luca Beltrami Gadola

 P.S.

Chi ha interesse all’argomento vada a leggersi l’articolo di Mario Busacca dal titolo Innovazione sociale e capitalismo relazionale, Doppo Zero –  2014

Allegato 1 – (La parte più interessante è in corsivo)

CIRCOLARE OMNIBUS REGIONE VALLE D’AOSTA

LINEE GUIDA INTERPRETATIVE DELL’ART. 35 DELLA LEGGE REGIONALE 6 APRILE 1998, N. 11 COME MODIFICATO DALL’ART.16 DELLA LEGGE REGIONALE 20 GENNAIO 2005, N. 1.

PREMESSE
(omissis)

DEFINIZIONI GENERALI

INTERVENTI DI INTERESSE GENERALE AVENTI PARTICOLARE RILEVANZA SOCIALE ED ECONOMICA.
Si tratta di interventi che anche se realizzati da soggetti privati non devono conseguire esclusivamente o almeno prevalentemente un interesse proprio del soggetto privato medesimo, ma gli interessi della collettività generale che possa da essi trarre un utile. Tali interventi devono inoltre avere particolare rilevanza sociale ed economica. Quindi sono consentiti solo qualora indirizzati alla continuazione, al miglioramento ed allo sviluppo di risorse economiche e sociali in grado di garantire sia l’assetto economico, sia il soddisfacimento dell’interesse della collettività ad un certo bene, ad una condizione sociale o ad un determinato servizio.

INTERVENTI VOLTI ALLA SALVAGUARDIA DI IMPORTANTI INTERESSI ECONOMICI E SOCIALI.

Tali interventi sono ammessi solo qualora siano diretti a salvaguardare (e non creare) interessi economici e sociali importanti. Il parere espresso in data 27/11/2003 dall'”Osservatorio per l’attuazione della legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 e per l’applicazione del piano territoriale paesistico” stabilisce che tali interventi sono quelli che hanno lo scopo primario di mantenere o ripristinare situazioni di benessere e di ricchezza economica e sociale già consolidatesi nella porzione di territorio interessata e senza le quali si creerebbe uno scompenso economico e sociale non indifferente.

MANUFATTI E OPERE INFRASTRUTTURALI DIRETTAMENTE ATTINENTI AL SODDISFACIMENTO DI INTERESSI GENERALI.
Il parere espresso i data 10/06/04 dall'”Osservatorio per l’attuazione della legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 e per l’applicazione del piano territoriale paesistico” stabilisce che le “opere infrastrutturali direttamente attinenti al soddisfacimento di interessi generali” sono quelle infrastrutture di tipo puntuale e lineare che anche se realizzate da soggetti privati non devono conseguire esclusivamente o almeno prevalentemente un interesse del soggetto privato medesimo, ma devono essere destinate alla collettività generale che possa trarne un utile. Tale concetto generale va esteso anche con riferimento ai manufatti. L’Osservatorio, in ogni caso, ha escluso che negli ambiti in esame possano trovare esecuzione opere di grande portata che non solo implichino un notevole impatto sul territorio, ma favoriscano altresì la permanenza di persone, quali ad esempio scuole e alberghi.

CARICO INSEDIATIVO (Aumento del)

Per quanto a livello normativo e giurisprudenziale, anche nazionale, vi sia una carenza riguardo alla definizione di carico insediativo, la stessa si può trarre dalle considerazioni che dottrina e giurisprudenza forniscono per giungere alla definizione del “carico urbanistico”. Tali fonti autorevoli evidenziano che l’organizzazione degli insediamenti umani si articola nella predisposizione e nell’organizzazione delle opere di insediamento in senso proprio, ossia che costituiscono ricovero degli esseri umani (abitazioni, costruzioni industriali, uffici), ma anche contemporaneamente delle opere che rendono possibile e funzionante l’insediamento stesso (le infrastrutture che servono gli insediamenti e gli abitanti insediati). Risulta che l’insediamento è costituito da un elemento primario (abitazioni, uffici ecc. ) e da uno secondario (strade, opere pubbliche, edifici pubblici) che deve essere proporzionato all’insediamento primario, ossia al numero degli abitanti insediati e fornito dagli enti e soggetti pubblici. Nasce così il concetto di carico urbanistico, che èl’effetto che viene prodotto dall’insediamento primario come domanda di strutture ed opere collettive, in dipendenza del numero di abitanti insediati su un determinato territorio.


Da tali considerazioni si può desumere che il carico insediativo è tutto quanto riguarda gli insediamenti umani, la distribuzione ed il raggruppamento delle dimore dell’uomo che possono essere di tipo produttivo, residenziale, turistico-ricettivo. Il concetto di carico insediativo può essere legato a quegli aspetti relativi agli “oggetti” fisici realizzati dall’uomo e finalizzati all’espletamento di tutte le attività ad essi connesse, siano esse di tipo abitativo, produttivo o inerenti lo svago ed il tempo libero


In via generale, per definizione urbanistica, un intervento edilizio o il mutamento della destinazione d’uso determina un aumento del carico insediativo nella misura in cui si rende necessario un aumento del carico urbanistico.
Nel contesto delle norme in esame, in ogni caso, posto che non è dato prescindere né dal divieto di aumentare le condizioni di rischio attuale, né dalle finalità di tutela dell’incolumità pubblica o privata perseguite dalle medesime, come precisato in premessa, ai fini della determinazione relativa all’aumento del carico insediativo assume necessariamente rilevanza anche l’elemento umano.


Per poter stabilire, quindi, che un intervento edilizio non causi un aumento del carico insediativo non è sufficiente far riferimento solo a quanto stabilito dalla normativa urbanistica in relazione a tale fenomeno. Si deve tener conto anche del fatto che tale intervento non deve in alcun modo comportare un incremento sensibile di persone che risiedono in via permanente nelle aree in questione (numero di abitanti, di addetti o di utenti).


Fermi restando tali parametri di riferimento dai quali non si può, in ogni caso, prescindere, ai soli fini di agevolare il calcolo di tale aumento si può fare riferimento al Capitolo I, Paragrafo M della Deliberazione del Consiglio Regionale 24/03/1999, n. 517/XI recante “Approvazione di disposizioni attuative della legge regionale 6 aprile 1998, n. 11 (Normativa urbanistica e di pianificazione territoriale) previste dagli artt. 23 (Spazi da riservare per servizi locali e limiti di densità edilizia, altezza e distanza) e 24 (Indici urbanistici)”, che definisce il concetto di insediabilità ed i parametri con cui calcolarla. Tale provvedimento specifica che “l’insediabilità dei PRG esprime il numero degli abitanti complessivi prevedibili sul territorio comunale valutati in posti letto”. Da questo si deduce che al numero di persone insediabili corrisponde il numero di posti letto a cui vanno aggiunti, per l’edilizia non residenziale, il numero di addetti o di utenti. Qualora non sia possibile adottare tale criterio perché “in assenza di dati relativi ai posti letto” il provvedimento citato stabilisce che l’insediabilità può essere valutata in base a parametri per abitante fissati dalle NTA del PRG o in assenza “con i seguenti parametri: a) Zone di tipo A) – 120 mc/ab o 40 mq/ab; b) Altre zone – 80 mc/ab o 25 mq/ab (mc o mq lordi)”. Quindi le trasformazioni edilizie ammesse sono quelle che, pur comportando un mutamento della destinazione d’uso, ove consentito dagli articoli in esame, o un aumento di superficie abitabile – contenuta nel volume esistente – compresa nei parametri del provvedimento n. 517/XI citato, non implichino un aumento del numero di posti letto o di utenti o di addetti, ed inoltre non aumentino il carico urbanistico e non incrementino i modo sensibile il numero di persone che risiedono in via permanente nelle aree in questione

In ogni caso, ove sia consentita la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia, gli interventi di frazionamento interno, ammissibili alle condizioni di volta in volta specificate, non devono comportare un consistente aumento delle unità abitative entro i volumi esistenti

I comuni, entro i limiti sopra indicati e previsti dalla legge regionale n. 11/98, saranno comunque tenuti a valutare caso per caso le fattispecie concrete sottoposte al loro esame.

MUTAMENTO DI DESTINAZIONE D’USO.

Il mutamento della destinazione d’uso secondo quanto disposto dall’art. 74 della L.R. n. 11/1998 si verifica quando l’immobile, o parte di esso, viene ad essere utilizzato, in modo non puramente occasionale e momentaneo, per lo svolgimento di attività appartenenti ad una categoria di destinazione, fra quelle elencate all’art. 73, comma 2, diversi da quella in atto. Il mutamento di destinazione d’uso, come disciplinato da tale articolo, sussiste anche in assenza di opere edilizie ad esso funzionali.

SPECIFICHE INDAGINI GEOGNOSTICHE.

Per esse si intende qualsiasi indagine diretta o indiretta volta alla caratterizzazione geologica, geotecnica o geomeccanica del suolo e sottosuolo mirata al controllo del comportamento dell’opera nel suo insieme ed in rapporto al terreno.

SPECIFICA VALUTAZIONE GEOLOGICA E GEOTECNICA; SPECIFICA VALUTAZIONE DELL’ADEGUATEZZA DELLE CONDIZIONI DI SICUREZZA IN ATTO E DI QUELLE CONSEGUIBILI CON LE OPERE DI DIFESA NECESSARIE; SPECIFICO STUDIO DELLA SITUAZIONE DI PERICOLOSITA’ DEL BACINO CHE INDIVIDUI LE POSSIBILI MISURE DI MITIGAZIONE DEL RISCHIO; SPECIFICO STUDIO DI COMPATIBILITA’ DELL’INTERVENTO CON LO STATO DI DISSESTO ESISTENTE.
Per tali concetti si intende un studio geologico volto ad individuare le conseguenze della realizzazione dell’intervento sullo stato di dissesto ed una valutazione tecnica volta a stabilire le conseguenze del dissesto sull’opera che si intende realizzare, vale a dire la sua vulnerabilità.

 



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  1. paliddaOttimo come sempre e più di sempre !!! Barvo LUca !!! Meno manle che ci sei tu! grazie!!!
    21 marzo 2024 • 07:09Rispondi
  2. paliddabisognerbbe individuare e analizzare le "cerchie di riconoscimento sociale e morale" alle quali appartengono di diversi attori dominanti (finanza, attività economiche, cultura e politica) e come si intrecciano o competono fra loro ... sono queste cerchie che determinano il futuro della società ...
    21 marzo 2024 • 07:13Rispondi
  3. Paolo BurgioLucida analisi perfettamente aderente alla realtà che ci circonda a livello di governance cittadina (in cui rientrano tutti, amministrazione comunale, associazioni imprenditoriali, ordini professionali, società di consulenza e finanziarie). A livello nazionale e sovranazionale accede lo stesso, il capitalismo relazionale giustifica tutto il peggio che sta accadendo, guerra e distruzioni di massa come occasioni di crescita e sviluppo. Quando gli elettori apriranno gli occhi per vedere la realtà? Cominciamo dalle prossime elezioni europee ad aprire e far aprire gli occhi ai distratti e rassegnati. Per un futuro ancora possibile.
    21 marzo 2024 • 18:26Rispondi
  4. Pietro VismaraFra le tante dette ultimamente dal nostro sindaco (oltre a quella per cui ci dovremmo preparare "ad avere sempre più buche", giustamente ridicolizzata da Crozza) vorrei ricordare quella del sentimento "paterno" verso la città. Come diceva Kant, "un governo paternalistico", ossia un governo che tratti i suoi sudditi "come figli minorenni... è il peggiore dispotismo che si possa immaginare." Niente cure paterne, please, faccia il suo mestiere.
    21 marzo 2024 • 22:47Rispondi
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