5 aprile 2022

UN TRIS D’ASSI

Giovani talenti con l’orchestra Verdi


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Se ti trovi ad ascoltare un concerto in cui il direttore d’orchestra ha 29 anni e i solisti sono due fratelli pianisti di 26 e 29, pensi di essere a un saggio del Conservatorio o ad una affettuosa festicciola in cui si esibiscono i figli di tuoi amici. Se invece sei in una importante sala di concerti, come l’Auditorium di largo Mahler, con l’orchestra Verdi sul palcoscenico, la platea e la balconata affollate dal pubblico, ti preoccupi e ti prepari ad esercitare tutta la tolleranza e la pazienza di cui sei dotato. 

Domenica scorsa, invece, le cose sono andate molto, molto diversamente. Quei tre ragazzi si sono rivelati dei magnifici musicisti, di grande levatura e con una sorprendente maturità artistica. Hanno offerto un concerto – e un programma – più che godibile, hanno rivelato lati nascosti di eccelsi capolavori, ci hanno costretto a rivedere vecchi giudizi che non avremmo mai immaginato di dover mettere in discussione.

Ma andiamo con ordine. 

Il programma, dopo la breve introduzione del celebre “Pacific 231” di Arthur Honegger, prevedeva il “Concerto per due pianoforti e orchestra” K. 365 di Mozart e quel sommo capolavoro della “Terza Sinfonia, Eroica” opera 55 di Beethoven, tutte e due (non a caso, immagino) in mi bemolle maggiore. Gli interpreti: ai pianoforti erano i fratelli olandesi Lucas e Arthur Jussen e sul podio il bavarese Thomas Guggeis, tre magnifici ragazzi nati fra il 1993 e il 1996, sorridenti, allegri, belli, che sprizzavano energia ed empatia non solo fra loro ma anche con i professori d’orchestra e con il pubblico.

La parte più spettacolare del concerto sono stati i tre ragazzi insieme nel Concerto di Mozart; l’esecuzione impeccabile dei due pianisti, seduti ovviamente uno di fronte all’altro per lanciarsi sguardi e segni di intesa, negli attacchi e nel gioco delle parti, e l’ulteriore intesa fra loro e il direttore, ed ancora fra il direttore e l’orchestra, hanno prodotto una portentosa manifestazione di armonia, affiatamento, consonanza, corrispondenza di sensi e sentimenti. D’altronde quando ha scritto quel Concerto, per sé e per la sorella Nannerl, Mozart era più giovane di loro, aveva ventitré anni, ed anche questa circostanza ha contribuito non poco alla creazione dell’atmosfera leggiadra e giocosa che ha accompagnato l’esecuzione. C’è da chiedersi se i due pianoforti dovevano essere suonati come da una stessa persona, così come hanno fatto i due Jussen, senza poter distinguere un pianoforte dall’altro, o se sarebbe stato meglio che avessero parlato con due voci diverse, riconoscibili, in modo da percepirne il dialogo. Difficile dire. Resta però il fatto che in questo specifico caso l’assonanza ha vinto su tutto, creando una gradevolissima compattezza sonora e soprattutto quell’atmosfera gioiosa di cui abbiamo detto.

Dei due ragazzi Neville Marriner ha detto che “non è un fatto normale. I fratelli Jussen non sono solo due bravi pianisti che suonano insieme. Percepiscono l’uno dell’altro la più sottile e personale sfumatura d’interpretazione”. Peccato che questi due genietti, probabilmente rimasti anche un po’ monelli, abbiano poi distrutto quell’atmosfera magica, mozartiana, con un bis totalmente privo di qualsivoglia relazione con la musica appena eseguita: un potpourri di arrangiamenti vagamente jazzistici di temi un po’ stucchevoli. Una birichinata o, se si svuole, uno sberleffo come forse avrebbe potuto fare quell’altro monello che era Mozart! 

Nella seconda parte del concerto, con l’Eroica, è emersa tutta la personalità e la maturità del giovane Thomas Guggeis che ha diretto a memoria e che, nella totale fedeltà al testo beethoveniano, ha restituito una sinfonia che potremmo dire non aver mai conosciuto. Un’Eroica che ha perso tutta la solennità e la monumentalità cui siamo da sempre abituati, da Toscanini in poi, a beneficio di una ariosità e una freschezza che ci erano totalmente ignote. Abbandonando il mito di Beethoven tormentato e rivoluzionario, che contrappone sempre il bene e il male per far vincere il bene, e che combatte dolorose e intime battaglie per l’elevazione spirituale dell’umanità, questo giovane direttore, con elegantissimi gesti forse un po’ abbadiani, ha raccontato una storia tutta diversa, scoprendo il Beethoven poco più che trentenne (l’Eroica è stata scritta fra il 1802 e il 1804) che esce dal guscio del classicismo mozartiano e si addentra in punta di piedi nel secolo del romanticismo, con il rispetto sostanziale delle regole ma insieme con il sottile e garbato piacere della loro trasgressione. (Guggeis, che ha studiato anche al nostro Conservatorio, è laureato in meccanica quantistica e questo forse la dice lunga sull’approccio innovativo della sua interpretazione).

L’insieme di rigore e di passione che caratterizza il gesto e l’idea musicale di Guggeis, insieme alla sua innegabile simpatia, ha letteralmente travolto la Verdi che, nonostante qualche sbavatura (ma non siamo ancora usciti dal covid e tantomeno dal post-covid!) ha dato il meglio di sé stessa e ha ritrovato quella verve e quel glamour che sfoggia nelle migliori occasioni, quando incontra direttori giusti che sanno entrare in sintonia con tutti i suoi componenti. Un magnifico concerto che indica la strada per ridare smalto a questa gloriosa istituzione milanese che negli ultimi tempi ci era sembrata un po’ appannata. Un concerto, soprattutto, che rassicura tutti coloro che non credono nel valore dei giovani d’oggi…!

Paolo Viola

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