5 aprile 2022

QUI SESTO A VOI REGIONE

La transizione irrisolta della Città del Lavoro ed i dolori del Partito Democratico


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Da Sesto San Giovanni comincia il viaggio tra i comuni del milanese che andranno al voto nelle prossime amministrative. Quasi un pretesto però per “parlar d’altro”, superando la stretta logica municipale, e trovare nuove identità e soluzioni con il più ampio sguardo metropolitano, se non regionale.

Non a caso, si parte da Sesto, comune più popoloso della Città Metropolitana e città carica di simboli e memorie identitarie della sinistra. Segni del tempo gloriosi ma ormai sfioriti. Sesto, Medaglia d’oro della Resistenza, Sesto, sede della grande industria. Sesto, luogo elettivo del novecento operaio. Falck, Breda, Ansaldo, Magneti Marelli, Pirelli, le officine ferroviarie.  Spazi dove ogni giorno pulsavano lavoro e macchine, ed attorno la vita quotidiana della città tutta ed il suo senso. Sesto, città dell’acciaio, della fatica e del fuoco, scena di cui oggi non rimane che qualche remota traccia, nella memoria e nei luoghi: lo scheletro di un altoforno, binari ferroviari dismessi, qualche circolo di anziani, le targhe a ricordo dei giovani partigiani, il Carroponte, ora luogo di eventi. Un’identità tanto profonda da impiegare quattro decenni per sbiadire ed infine perdersi, portandosi via profilo della sinistra, radicamento sociale e capacità di rappresentanza.  

Sesto, ieri Città del Lavoro, ma oggi cosa, e verso cosa? Se per quasi tutto il Novecento, Sesto è stata città industriale in rapporto vivo e dialettico con Milano, dagli anni ’80 fatica a trovare una sua nuova identità, produttiva, sociale e culturale: le grandi aree dismesse occhieggiano vuote nella desolata geografia del territorio, richiamate a nuova vita da progetti tanto ambiziosi quanto finora inconcludenti. E mentre attendono, la città si è sistemata alla meno peggio, terziarizzandosi, cercando l’aggancio al treno dell’innovazione, retrocedendo a periferia di Milano, spazio di vita possibile per stipendi che, pur guadagnati nella città capoluogo, non sono sufficienti a sostenerne il costo. Così, anche Sesto concorre alla creazione del valore appropriato da Milano: fornisce risorse umane ma perde identità.

Non deve allora troppo stupire, anche se addolora ed ancora ferisce, il successo nel 2017 di un centrodestra lontano da un pur tenue parvenza di adesione a valori fondativi della cittadinanza. Guidato da un gruppo dirigente formato per parte da soggetti noti al casellario giudiziale e per parte espressivi dell’area più impresentabile dell’universo salviniano. Eppure, la città reagisce poco o nulla, salvo se il Sindaco mette mano alla gratuità dei parcheggi, contraddicendo la constituency più elementare dell’elettore del centrodestra: mai pagare di tasca propria l’uso di spazi comuni. Un assist involontario a chi sta preparando la sfida elettorale di giugno. Una sfida però molto, molto, difficile.

La vittoria di Foggetta, locale segretario di Sinistra Italiana, alle primarie di domenica scorsa ha certificato con chiarezza la situazione: il Re è nudo, a Sesto il PD conta poco più di nulla. Sperduto ed incapace di trovare per tempo il bandolo della matassa, ovvero un candidato forte ed autorevole, si è affidato in extremis ad un profilo civico, infine cadendo su di un candidato di Milano, pur ex vigile urbano di Sesto. Persona degna, ma inadatto a scaldare gli animi ed a proporsi autorevolmente come punto di riferimento di una coalizione complessa a dir poco. Così Mari Pagani, consigliera eletta nelle liste PD e poi transfuga nel gruppo misto, si è presentata a sua volta con un profilo socio politico concorrenziale, scavandogli il terreno sotto i piedi. Sono allora bastati al Foggetta soli 638 voti, neppure la metà di quelli raccolti da Monica Chittò (l’ultima sindaca di sinistra a Sesto), alle primarie del 2017, per spuntare la nomination.  Un disastro politico per il PD, che pur dovrà fare buon viso a cattivo gioco ed elaborare, con il lutto, una strategia utile almeno per combattere degnamente nel turno elettorale di giugno, ben consapevole che, se a Sesto si gioca un anticipo della prossima battaglia regionale, non si è partiti bene.

Il fatto è che il combinato disposto di una identità incerta e di un gruppo dirigente locale debole e balcanizzato appare come la risultante quasi obbligata di un processo che rimanda ad altre e più profonde cause. Sarebbe facile addossare la responsabilità, almeno in parte, al gruppo dirigente metropolitano, ma la questione ne travalica, non diciamo le capacità, ma certamente le risorse. Il fatto è che parlare di Sesto San Giovanni oggi, nel 2022, equivale a parlare della difficoltà perdurante del PD nel cogliere appeno la trasformazione di un territorio che si omologa sempre più alla “città infinita” (cfr. Aldo Bonomi), al suo essere “terra di mezzo”, ma senza saperne trarre i frutti, tra Milano ed il retroterra manufatturiero che si inoltra nella Brianza Felix fino ai laghi prealpini. Un’area vasta dove si è localizzata da tempo la nuova geografia della produzione delle filiere lombarde, intrecciandosi con le direttici intermodali della mobilità e della logistica. Un’area dove nasce e si struttura la base di consenso del ventennio di centro destra alla Regione e che resta tuttora come aliena al Partito Democratico.

Quale futuro allora per Sesto? E quale spazio politico per il PD in Regione? La “reinvenzione” di entrambe le identità invita a leggere il cambiamento, ponendosi in sintonia con i nuovi soggetti della produzione e dello scambio, ed interrogandosi sulle grandi aree “in cerca di autore” come risorsa chiave per attrarre nuove funzioni strategiche, e con queste ritrovare un profilo nuovo ma connesso alla storia di Sesto. Se un tempo le cattedrali della produzione erano le acciaierie, oggi al loro posto sorgono i luoghi della riproduzione sociale e della ricerca. La “Città della Salute” con le sue funzioni elevate porterebbe a Sesto la nuova linfa dei saperi professionali certamente, ma anche le funzioni tecnico operative che Istituti come Besta ed Istituto dei Tumori portano con la localizzazione delle loro filiere di servizio. 

E potrebbe essere anche il caso di nuove funzioni integrate dove culture, design, servizi innovativi, saperi alti, educazione e perché no intrattenimento, si alimenterebbero a vicenda, rinnovando su scala ben più ampia la scommessa perduta dello SpazioMil.  Occorre però chiedersi se la scala comunale è sufficiente per elaborare e gestire processi di questa portata, o se non sia piuttosto il progetto Sesto questione da Città Metropolitana. Saprà il PD farsi carico di questo ampio tema, e saprà farlo Foggetta, scardinando la narrazione che assegna al tema securitario/ proprietario il passpartout del successo sempre verde della destra? Dubitarne è lecito, ma lavorarci appare obbligatorio.

Tanto si dovrebbe ancora dire, ma un pensiero va pur dedicato alla questione “primarie”, l’innovazione del processo di selezione dei gruppi dirigenti che ad oggi, dopo vent’anni di evoluzioni varie, non sembra avere ancora trovato assetti stabili e successo partecipativo. Anche a Sesto, ci si è arrivati per vie traverse e tormentate, tanto da lasciare sul terreno l’interrogativo sulla loro utilità. Ma questo è un discorso che porterebbe troppo lontano.

Intanto il 12 giugno è vicino, e, mentre il centrodestra a Sesto sembra, per ora, al riparo dalle fibrillazioni nazionali, il campo del centrosinistra appare più frammentato che “largo”. Resta solo la speranza, ultima delle virtù a morire, che il Sindaco Di Stefano sia costretto al ballottaggio, offrendo l’ultima chance per tentare un rassemblement tanto acrobatico quanto improbabile.

Per alcuni, più che una speranza, un incubo.

Giuseppe Ucciero

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