8 marzo 2022
LE VICENDE DEL NUCLEARE IN ITALIA
Una storia lunga 40 anni
La cronologia degli atteggiamenti dell’opinione pubblica in Italia sul tema dell’energia nucleare parte dal 1981, più di quarant’anni di iniziative referendarie, di prese di posizioni contradditorie, di vivaci polemiche.
Vale la pena ricordarle per capire quali sono state e quali sono le forze in gioco, gli interessi che hanno via via condizionato gli atteggiamenti delle forze politiche e le conseguenti decisioni.
Si inizia nel marzo 1979 con l’incidente alla centrale nucleare statunitense di Three Miles Island che allarma l’opinione pubblica, pur non causando vittime umane ma solamente fuoriuscita di gas radioattivo senza conseguenze.
I radicali si mobilitano e nel 1981 propongono un referendum per l’abrogazione delle norme che consentono la costruzione di centrali ma la Corte Costituzionale non lo ritiene ammissibile perché costituisce violazione di obblighi internazionali e cioè il Trattato di Roma e la conseguente partecipazione alla Comunità dell’EURATOM.
Nel 1985 viene approvato il Piano Energetico Nazionale che consente di costruire nuove centrali, oltre alle quattro già esistenti, entro il 2000.
Ma il problema si ripropone l’anno successivo in termini drammatici: il disastro della centrale ucraina di Chernobyl, nell’aprile del 1966, provoca migliaia di vittime e danni in tutta l’Europa con conseguenze che si protraggono per molti anni.
Il Partito Radicale organizza una manifestazione che vede la partecipazione di più di 200.000 persone e inizia la raccolta di firme per un nuovo referendum con un esito clamoroso: un milione di firma in quattro mesi. Il Partito Socialista si associa e aggiunge un altro quesito: la responsabilità civile dei magistrati e il risultato è ampiamente positivo: l’80% dei 26 milioni di cittadini che si recano alle urne l’8 ottobre 1987.
E’ da notare però che, ricordando la ragione della già ricordata non ammissione del precedente referendum, la formulazione non esclude totalmente la costruzione di nuove centrali, ma abolisce norme che limitano il potere del CIPE sulla loro localizzazione e che tolgono contributi agli Enti Locali che consentono di costruirle nei loro territori. Ma il significato è evidente e il governo si adegua. La situazione politica è chiara: le elezioni del giugno hanno registrato la ripresa del centrosinistra con il PSI che raggiunge il suo massimo storico con il 14,3% dei voti, la Democrazia Cristiana in ripresa con il 34% mentre il PCI conosce una flessione al 26%. La situazione economica è buona e si inizia a parlare di fonti rinnovabili alternative, anche se, più responsabilmente altri paesi europei ritengono essenziale per il loro sviluppo l’energia nucleare e costruiscono centrali che garantiscono energia a basso costo e condizioni di sicurezza, con nuove tecnologie, che eliminano le conseguenze negative registrate negli anni precedenti.
Ma il periodo favorevole non ha vita lunga: nel 2005 l’impennata del prezzo del gas e del petrolio obbligano il governo Berlusconi a dare il via a dieci nuovi reattori per arrivare a coprire con il nucleare il 25% del fabbisogno nazionale che, unito all’altro 25% stimato per le energie rinnovabili, può portare ad una riduzione del 50% delle energie fossili per la riduzione dell’inquinamento atmosferico che inizia a desta diffuse preoccupazioni. La decisione anima un dibattito animato: il movimento ambientalista non riesce a prevalere e nel 2009 e nel luglio la legge definitiva viene approvata ma l’avvio è lento e subito un nuovo dramma mette in allarme l’opinione pubblica: un terremoto con conseguente tsunami distrugge quattro dei sei reattori della centrale nipponica di Fukushima, mette in allarme il Giappone e crea enormi danni ambientali e vittime. Anche se non si è trattato di un guasto all’impianto ma una scelta irresponsabile della localizzazione della centrale l’effetto è ugualmente devastante. Il governo tenta di modificare la legge, ma la raccolta di firme per un nuovo referendum è immediata e nel 2011 viene celebrato con un’altra vittoria schiacciante degli ambientalisti e di una opinione pubblica impaurita.
Così termina in Italia la vicenda nucleare.
Michele Achilli
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