25 gennaio 2022

SANITÀ E RIFORMA MORATTI

Un cambio rotta, ma non basta


pizzul

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“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale”.  La legge 833 del 1978 con queste parole ha rivoluzionato la sanità italiana, che prima di allora si basava su una forma di protezione-assicurazione in cui il diritto alla tutela della salute era strettamente collegato alla condizione lavorativa e quindi non era considerato un diritto di cittadinanza.

Un richiamo a quella che rimane la legge fondamentale per la sanità italiana non è inutile quando si tratta di capire che cosa è accaduto in Lombardia negli ultimi dodici mesi: si è discusso di una riforma sanitaria che non può far altro che inserirsi nel solco di una normativa nazionale tutt’ora vigente che prevede, tra l’altro, che il servizio sanitario sia rivolto alla “promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”.

Potestà delle regioni è unicamente, si fa per dire, quella di organizzare la sanità sul proprio territorio. Per questo ricevono dallo Stato un finanziamento annuale che consenta loro di garantire i Livelli Essenziali di assistenza (LEA) che vengono stabiliti a livello nazionale. La Lombardia per il 2022 potrà contare complessivamente su circa 20 miliardi di euro.
Credo fosse utile richiamare questo quadro per comprendere la posta in gioco: una montagna di soldi e diritti fondamentali da garantire a tutti i cittadini. Poi è arrivata la pandemia e tutto ciò che pareva scontato improvvisamente è stato messo in discussione, con conseguenze drammatiche e imprevedibili.

La Lombardia non ha deciso autonomamente di riformare la propria legge sanitaria. Con una lettera del dicembre del 2020 Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, diretta emanazione del Ministero della Sanità, ha inviato le proprie considerazioni riguardo la Legge 23 del 2015 che aveva concluso il suo periodo di sperimentazione quinquennale. La nota di Agenas non era tenera con la regione e chiedeva di procedere a precise modifiche legislative che potessero far fronte a carenze evidenti della legge voluta da Maroni, a partire dalla confusione organizzativa tra ATS e ASST e dalla necessità di ripristinare un presidio sanitario territoriale attraverso la ricostituzione dei Distretti che negli ultimi 5 anni sono stati sostanzialmente azzerati. Osservazioni molto critiche, che suonavano come una bocciatura della riforma Maroni e che l’arrivo della pandemia non ha fatto altro che rendere ancora più evidenti, soprattutto in ordine alle gravissime conseguenze che l’assenza del presidio sanitario territoriale ha avuto per i cittadini lombardi, in molti casi abbandonati a se stessi quando gli ospedali non sono stati più in grado di dare assistenza ai pazienti meno gravi. Agenas nelle sue osservazioni ha confermato la bontà di una delle affermazioni di base della legge del 2015, ovvero la necessità della presa in carico dei pazienti, ma ha detto chiaramente come l’organizzazione lombarda non sia stata in grado di garantirla.

Veniamo alla cosiddetta riforma Moratti. Che cosa ha realmente cambiato? Nella sostanza, la principale novità della nuova legge è il forte investimento sulle strutture della sanità territoriale che regione ha dovuto recepire in virtù di quanto stabilito dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) per l’utilizzo dei fondi europei di Next Generation EU. Sulla base di quel piano, la Lombardia ha istituito le case della comunità e gli ospedali di comunità come presidi sociosanitari territoriali attraverso i quali garantire servizi al di fuori degli ospedali e in collaborazione con i servizi sociali dei comuni. La rete territoriale così costituita sarà gestita dai distretti a cui faranno riferimento anche le COT, centrali operative territoriali, che si occuperanno di creare la rete dei servizi e degli strumenti per fare lavorare assieme tutti gli operatori presenti sul territorio, dai medici di medicina generale agli infermieri di comunità per arrivare agli assistenti sociali.

Un netto cambiamento di rotta, almeno teorico, rispetto alla centralità dell’ospedale che ha caratterizzato la sanità lombarda degli ultimi vent’anni; un salto di qualità che non deriva da convinzioni regionali, ma da un obbligo sancito a livello nazionale e non troppo ben digerito localmente, al punto che c’è stato anche un maldestro tentativo di cambiare denominazione alle case per marcare una supposta originalità lombarda.

Per il resto, la nuova legge tenta di cambiare il meno possibile di un’organizzazione sanitaria che ha mostrato tutti i suoi limiti: rimangono le ATS, anche se si chiede un maggior coordinamento tra loro, si evoca l’equivalenza tra pubblico e privato, asserendo che questo presupporrà maggiori obblighi per quest’ultimo, si inserisce il suggestivo concetto di “one health”, senza però porre un rimedio preciso alla clamorosa carenza della prevenzione che si è registrata negli ultimi anni.

Senza indulgere in troppi tecnicismi, che rimando ad eventuali ulteriori approfondimenti, il problema di fondo della sanità lombarda pare rimanere irrisolto. La promozione e il mantenimento della salute fisica e psichica dei cittadini non può essere assicurato solo attraverso il moltiplicarsi delle prestazioni ospedaliere, dovrebbe essere parte di percorsi di prevenzione e buoni stili di vita che il servizio sanitario lombardo, non a caso ribattezzato “sistema”, ha faticato a garantire, privilegiando l’erogazione di prestazioni specialistiche spesso molto costose e non sempre del tutto appropriate. Se a questo aggiungete il fatto che in Lombardia chi vuole curarsi in tempi decenti è costretto a pagare rivolgendosi al privato, comprendete come anche il “senza distinzioni di condizioni individuali o sociali” in Lombardia fatica ancora a trovare una vera applicazione.

Fabio Pizzul

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  1. Sergio PennacchiettiTroppo tenero il giudizio sulla gestione della sanità lombarda. Si può solo dire che è stato ed è, ancora oggi come ieri e l'altro ieri, un fallimento totale. Basterebbe considerare cosa si nasconde dietro il discorso della parità tra pubblico e privato, bandiera delle "riforme" da Formigoni in poi. Abbiamo visto che cosa è successo in Lombardia in questi anni di pandemia. Che fine ha fatto la promessa di potenziare le USCA? E poi le case di comunità: ne hanno promesse tante anche a Milano; ma a quanto si sa ne hanno "inaugurata" una sola (la solita bandierina...); in tanti quartieri non si trovano medici di famiglia per soddisfare le richieste dei cittadini, e si potrebbe continuare...
    26 gennaio 2022 • 10:19Rispondi
  2. Giuseppe GattulloRimangono le ATS, anche se si chiede un maggior coordinamento tra loro, si evoca l’EQUIVALENZA tra pubblico e PRIVATO. Tutto come prima anzi peggio, si propone il modello fallimentare Nazionale anche a livello territoriale. Previdenza e la Sanità sono i due pilastri di ogni Nazione e sono prerogativa dello Stato Italiano. Bene detto questo per quanto riguarda la Sanità abbiamo trasformato i Pazienti in Clienti e per quanto riguarda la Previdenza con la creazione dei fondi pensioni non mi sembra che ci sia stato un miglioramento dei conti dell’INPS e relativo Welfare. Sia le strategie sia i movimenti di capitali, e il business sono per loro natura e finalità esenti da obblighi morali e legislativi, e da qual si voglia responsabilità sociale d’impresa compresa la sanità. Detto ciò è’ evidente che l’Etica finisce per diventare solo un grande spottone pubblicitario. Giuseppe Gattullo
    26 gennaio 2022 • 21:46Rispondi
  3. Mauro ValentiniConcordo con chi mi ha preceduto e aggiungo: La Sanità pubblica, quella vera, come la intendeva il grande Gino Strada, in Lombardia è stata demolita scientemente, anno dopo anno da Formigoni, Maroni, Fontana, Gallera, eccetera (“eccetera” significa che forse mi sono dimenticato di qualcuno, ma che il peggio è proprio dietro l’angolo). Dopo aver distrutto il buon funzionamento dei pronto soccorso perché rappresentavano dei costi per l’Azienda Ospedaliera, che invece deve fare profitti come una qualunque squallida multinazionale, lorsignori hanno sfasciato le liste d’attesa rendendole così lunghe e oggettivamente inaccessibili da costringere il cittadino a usare i risparmi per curarsi (alcune intercettazioni telefoniche dimostrano addirittura la volontà “fraudolenta”, da parte di primari spregiudicati, di allungare le liste d’attesa per dirottare i pazienti nei propri studi privati o addirittura usando lo studio dell’ospedale in cui lavorano). Se non hai i soldi la tua visita o la tua operazione sono programmate fra un anno, ma se li hai puoi venire in ospedale la prossima settimana! Quante volte, anche prima del Covid, noi cittadini siamo stati costretti a sentire questa frase e abbiamo dovuto ingoiare il rospo? Dopo aver eliminato gli ospedali periferici, lasciando vaste aree della Lombardia senza un pronto soccorso facilmente raggiungibile e senza struttura ospedaliera, tre anni fa a Giorgetti (dicono che sia l’uomo più intelligente della Lega) era venuta in mente un’idea geniale per migliorare la Sanità: eliminiamo la Sanità di Base perché è del tutto inutile! Infatti, abbiamo visto durante la pandemia il danno immenso prodotto dal malfunzionamento della Sanità di Base abbandonata a sé stessa! Un disastro! Altro che inutile! Ma lorsignori non demordono! Soldi pubblici alla Sanità privata! E anziché migliorare l’esistente e renderlo funzionale (l’operazione più veloce, semplice e corretta), s’inventano una riforma così farraginosa, burocratica, capziosa e aleatoria che anche un bambino delle scuole elementari capirebbe che è un’amara barzelletta.
    29 gennaio 2022 • 09:20Rispondi
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