26 settembre 2021

EPPUR SI MUOVE

La decarbonizzazione e Milano


santagostino

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Le quattro grandi voci che compongono i consumi energetici di Milano (autotrazione, illuminazione, energia elettrica ed energia termica) nella prospettiva del 2050 si ridurranno a due, entrambe elettriche: la mobilità e l’alimentazione delle varie macchine.

Ovviamente non sfugge a nessuno che attualmente in Lombardia la produzione elettrica non dipende esclusivamente dalle fonti rinnovabili, idroelettrico o solare che sia, ma anche in quota non trascurabile dalla produzione termoelettrica alimentata a combustibili fossili: anche qui dovrà avvenire lo spostamento verso le rinnovabili.

Altrettanto ovviamente la conversione in alimentazione elettrica dell’energia termica (oggi all’85% affidata alle caldaie o al teleriscaldamento e solo per il 15% in pompa di calore) pur scontando i maggiori rendimenti offerti dalle pompe di calore geotermiche richiede consistenti adeguamenti alle reti elettriche già oggi sottodimensionate a Milano, come indicano i black-out verificatisi in occasione delle ultime ondate di caldo.

Non è lontano dal vero preconizzare dunque la fine della caldaia, con l’eccezione di quelle a biomasse (ovvero la forma rinnovabile del carbonio combusto) ma nelle versioni più hard ad emissioni (quasi) zero, quindi limitate al momento a impianti di grandi dimensioni: per il resto il nostro destino è la pompa di calore.

Ora, dando per scontato che si conosca il funzionamento di tali macchine basate sulla compressione dei gas ed il loro potere moltiplicatorio dell’energia termica prodotta, di quali stiamo parlando?

Da un punto di vista prettamente economico l’indicazione è semplice, di quelle geotermiche che usano l’acqua di falda, perché richiedono è vero investimenti non trascurabili (il pozzo di presa e quello di resa) ma offrono poi grazie alla stabilità della temperatura sotterranea (15-16° tutto l’anno) rendimenti ineguagliabili sia in caldo che in freddo se riferite a quelle ad aria come, ad esempio, i condizionatori classici oppure le macchine VRV, VRF.

Tutto bene dunque?

Nient’affatto perché il bene acqua di falda nell’attuale regime di concessione senza tariffa (si paga un diritto fisso annuale) preclude territorialmente e quantitativamente l’utilizzo generalizzato perché i vari pozzi che andrebbero a moltiplicarsi finirebbero per entrare proprio in conflitto con quelli vicini di nuova realizzazione: di fatto emergerebbe il Far West odierno regolamentato solo dal criterio del primo che arriva.

Questa prospettiva è emersa con forza nel corso degli ultimi anni proprio nel luogo del delitto, ovvero in quella Città Metropolitana di Milano  titolare del rilascio delle concessioni di prelievo e reimmissione dove si è cominciato a ragionare su come affrontare questo futuro prossimo così conflittuale e che rischia di lasciare fuori molti utenti, specie quelli di minori dimensioni, dalle economie garantite dalla geotermia e contestualmente esporre la città a maggiori consumi e quindi emissioni.

Naturalmente al momento attuale non esiste una risposta precisa ma solo delle ipotesi da verificare ma la linea di ricerca pare delineata: i prelievi individuali in concessione andranno a scadere e si proverà a definire una rete di acqua tecnica destinata ad alimentare le pompe di calore su scala metropolitana in modo capillare a ricalco delle linee di acquedotto.

Per questo nel mese di luglio, promosso da Arianna Censi vicesindaco metropolitano, è stato avviato un tavolo congiunto fra Città Metropolitana, Green Bocconi e Politecnico per verificare le reali condizioni di prelievo e reimmissione disponibili in quest’ottica di rete, nonché i quantitativi termici estraibili, le quantità richieste dagli edifici nella configurazione attuale e in quella di una possibile riqualificazione energetica a valle degli attuali incentivi italiani ed europei.

A chi servirà tale studio di massima?

E’ evidente che la Città Metropolitana non sarà il destinatario operativo e che l’attuale divisione in due concessionari del Servizio Idrico Integrato nell’area milanese parrebbe opporre un ostacolo a questa soluzione dal forte connotato metropolitano ma, e qui sta la vera buona notizia, il percorso di unificazione in unico gestore è finalmente avviato ad una soluzione tanto razionale quanto gravida di molte positive ricadute: seguendo anche la linea promossa da Regione Lombardia che mira a ricondurre la gestione del reticolo idrico minore all’interno del SII, sia in funzione di laminazione che di separazione delle acque reflue oggi tendenzialmente destinate ad una antieconomica fogna mista, si prefigura per questa strada una vera rivoluzione nel mondo dell’acqua con l’inclusione dell’intero ciclo sotterraneo e superficiale nelle competenze del Gestore Unico.

Resterebbero fuori fiumi e Reticolo Maggiore, ovvero il sistema dei Navigli, ma credo che fra qualche anno, specie se dovesse procedere con maggiore incisività un processo di divisione del sistema fognario in due sistemi distinti (acque nere e acque bianche) e soprattutto se il governo dell’acqua di falda impiegata per gli usi termici potesse servire anche ad integrare  le necessità irrigue ordinarie e straordinarie,  l’intero ciclo dell’acqua potrebbe venire proficuamente ricompreso in un’unica casa.

Per il momento la buona notizia è che Milano si sta muovendo nella direzione giusta.

Giuseppe Santagostino

Candidato al Consiglio Comunale nella lista PD per Beppe Sala



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