5 settembre 2021

STORIA DEGLI INDICI

Recenti vicende urbanistiche milanesi


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Fino a poco tempo fa, il dibattito urbanistico era fortemente incentrato (anche troppo) sulla questione degli indici: indici di edificabilità (quanto si può costruire per metro quadro di terreno), quote percentuali da destinare a servizi e aree pubbliche. Il motivo dell’interesse al tema è facilmente giustificato: gli indici sono oggettivi e facilmente controllabili, la valutazione comparativa è più semplice.

Ora questa attenzione sembra un po’ venuta meno, e c’è anche chi dice che nel PGT di Milano gli indici di edificabilità sono “bassissimi” e i servizi “più che sufficienti”.

Ma è proprio così?

Per capire meglio la questione, potrebbe essere utile fare dei raffronti: vedere cioè quali sono stati indici e dotazioni di servizi nelle politiche urbanistiche milanesi recenti. Il raffronto non è sempre semplicissimo, perché i parametri non sempre coincidono; ci saranno quindi alcune approssimazioni, che si cercherà di segnalare.

1) Stato di fatto

Partiamo innanzitutto dai dati generali sulla città, per avere degli ordini di grandezza di riferimento. La densità edificatoria media, in base ai dati comunali di qualche anno fa (1), ma che non dovrebbero essere modificati più di tanto nel frattempo, è di circa 0,48 mq SL/mq, dove con SL si intende come noto la superficie lorda di pavimento edificata (quella che fino a poco tempo fa si chiamava slp), in rapporto ai metri quadrati di terreno complessivo. Questo dato comprende tutte le funzioni (residenza, industria, commercio, uffici) e anche le quote di edilizia sociale e popolare. Non comprende invece la volumetria dei servizi. Si precisa che il dato comunale è relativo all’intero territorio comunale, aree agricole comprese; se escludessimo queste ultime, limitandoci al tessuto urbano consolidato, la densità edificatoria media sarebbe di circa 0,61 mq/mq.

Le aree a servizi invece, sempre sulla base dei dati comunali (2) corrispondono a circa 35 mq di terreno/abitante. Anche qui il dato è in evoluzione, ma per semplicità si può ritenere che il rapporto sia tuttora valido come ordine di grandezza (aumentano i servizi, ma aumentano anche gli abitanti, ecc.). I servizi stimati sono quelli “classici” (scuole, sport, verde, cultura, sanità, parcheggi, ecc. ovvero quelli direttamente fruibili da tutta la popolazione) e non sono compresi quelli “innovativi” (housing, strade, impianti tecnologici, ecc.); tutti i servizi sono attribuiti ai residenti esistenti e previsti e non vengono calcolati i servizi necessari per gli addetti, studenti, popolazione gravitante, ecc.

Ipotizzando che ogni abitante utilizzi circa 40 mq SL (una famiglia di tre componenti avrebbe mediamente a disposizione un appartamento di 120 mq), il rapporto esistente fra SL e le aree a servizi sarebbe di circa l’88%. Comprendendo invece anche la popolazione gravitante e attribuendo alla stessa i medesimi parametri dei residenti, il rapporto sarebbe di circa il 62%.

Avendo in mente questi dati di riferimento, passiamo a esaminare alcune rilevanti politiche urbanistiche milanesi degli ultimi anni.

2) Aree d’oro di Ligresti (metà anni ’80)

All’interno del Progetto Casa si sono esaminate le aree riconducibili al costruttore Ligresti, ovvero via Dei Missaglia, Bellarmino, Vaiano Valle Nord e Sud. L’indice edificatorio medio (3) è di 0,51 mq/mq, housing sociale compreso. La dotazione di servizi per le funzioni residenziali è pari al 120% della SL (Parco Ticinello escluso). Le aree erano tutte inedificate. Gli indici sono quindi grosso modo pari a quelli medi esistenti, e le dotazioni di servizi superiori.

3) PRU di Formentini (1995)

L’indice edificatorio, solo su aree dismesse, era di 0,55 mq/mq (elevabile fino a 0,6 mq/mq) e comprendeva anche le quote di housing ed edilizia popolare (4). La dotazione di servizi per le funzioni residenziali era di 44 mq/abitante, calcolato sul parametro di 30 mq SL/abitante, corrispondente quindi al 147% della SL. L’indice quindi è inferiore a quello medio esistente nelle aree edificate, e le dotazioni di servizi di molto superiori.

4) Documento Inquadramento PII di Lupi/Albertini (2000)

L’indice edificatorio su aree già edificate/edificabili era di 0,65 mq/mq, elevabile a 0,75 mq/mq nel caso di previsione di housing sociale (compreso nell’indice) (5). La dotazione di servizi per abitante era pari all’80% SL. Qui gli indici per le aree già edificate sono di poco superiori a quelli medi esistenti (con qualche notevole eccezione: Fiera e Porta Nuova hanno indici superiori all’1) e le dotazioni di servizi di poco inferiori.

Era previsto anche un indice di 0,2 mq/mq destinato a servizi privati sulle aree inedificate, ma risulta sia stato utilizzato poco o nulla.

5) PGT Pisapia/Sala (2012-2020)

L’indice sulle aree inedificate è di 0,35 mq/mq, a cui aggiungere un ulteriore 0,35 mq/mq (e oltre) per housing sociale, per un totale di 0,7 mq/mq (ulteriormente incrementabile con housing “fuori indice”). Per le aree già edificate, si conferma la SL esistente sui singoli lotti (normalmente pari nelle aree industriali a un indice di 1 mq/mq – la norma prevedeva indice 1,2 elevabile fino a 1,5, ma non sempre veniva tutto utilizzato).

La dotazione di servizi per abitante nel caso di nuova edificazione è pari al 100% della SL (sono però conteggiati anche i servizi “innovativi”: housing, impianti, ecc.); nel caso di interventi su aree già edificate con cambio d’uso (ad esempio nelle aree dismesse), la dotazione è variabile (dal 80% al 18% della SL, peraltro ulteriormente riducibile in alcune fattispecie).

Una precisazione: sul tema dell’intervento su aree inedificate, molti ritengono che sia irrilevante, vista la legge regionale che limita il consumo di suolo e la percezione diffusa che l’intervento principale sia su aree già edificate. In realtà però strettamente parlando non è così, perché un escamotage normativo (6) classifica come suolo già consumato tutte le previsioni urbanizzative, ivi comprese quelle per servizi e parchi intercomunali. A Milano si parla quindi di circa 10 milioni di metri quadri di aree a verde inedificate, spesso agricole, che sono state rese edificabili con gli indici sopra riportati (in parte con il solo indice “base” di 0,35 mq/mq), senza che da un punto di vista strettamente normativo ciò comporti “consumo di suolo”.

In generale quindi, come riportato nel grafico sottostante, negli anni gli indici edificatori si sono alzati, sia sulle aree dismesse che sulle aree inedificate, mentre le dotazioni di servizi richieste si sono abbassate; in particolare nel PGT Pisapia/Sala gli indici sulle aree inedificate sono superiori a quelli medi esistenti, mentre le dotazioni richieste per interventi su aree edificate sono inferiori a quelle mediamente esistenti. Non si può quindi sostenere che si tratti di indici “bassissimi”.

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(NB: in blu l’intervento su aree inedificate, in arancione quello su aree già edificate; in grigio le medie cittadine esistenti)

Beninteso, non c’è nulla di male nell’incremento di edificabilità, le città crescono e quindi l’edificabilità in sé non è né giusta né sbagliata; l’importante è che non si perda l’equilibrio urbano, che ci sia cioè spazio anche per altre cose, che ci siano i servizi e le infrastrutture necessarie. Su quest’ultimo punto vale quindi la pena di fare una riflessione.

Nella valutazione del tema della dotazione di servizi necessari, possiamo infatti registrare tre approcci principali, differenti fra loro ma inevitabilmente intrecciati e parzialmente sovrapposti, e che potremmo chiamare quello tecnico/culturale; quello normativo/burocratico; e quello pragmatico e iperpolitico.

Secondo il primo approccio, che sarebbe più corretto chiamare tecnico/politico, visto le inevitabili valutazioni anche di questo tipo, le dotazioni ottimali di servizi andrebbero calcolate sulla base delle caratteristiche attuali e future della popolazione e degli utenti (percentuali di bambini in età scolare, di anziani, di malati, ecc.) e attribuendo loro uno spazio adeguato (classi per alunno, posti letto/malato, ecc., ecc.). L’approccio in realtà come detto ha una sua forte componente politica, perché decidere quanti spazi riservare a servizi non obbligatori come gli asili nido, la cultura, il verde, ecc., dipende pur sempre da una volontà e da un’immagine della città futura desiderabile (si pensi ad esempio alla connessione fra le dotazioni di parcheggi con le scelte modali di mobilità). Comunque, seguendo questo tipo di approccio e confermando per le parti più “politiche” (il verde, per dire) le dotazioni di legge precedenti, è facile verificare che la quota di servizi “classici” per abitante dovrebbe essere superiore ai 40 mq (ovvero corrispondente ad almeno il 100% della SL) (7).

L’approccio normativo invece si limita a verificare la conformità delle previsioni urbanistiche ai requisiti minimi di legge. Visto che la legge prescrive la verifica di una dotazione minima pari a 18 mq/abitante, basta ipotizzare che ogni abitante abbia 50 mq di SL (attenzione! Perché vorrebbe dire che una famiglia di tre componenti occupa mediamente un appartamento di 150 mq, è così?), e una volta verificato che i servizi sono pari al 36% della SL, è fatta (anche se come abbiamo visto il PGT di Milano in alcuni casi richiede solo il 18%, ovvero addirittura la metà della dotazione minima, ma va be’).

In realtà la legge non dice esattamente questa cosa. Innanzitutto, da più parti si ritiene che la legge statale (8), che richiede anche di verificare la dotazione di servizi intercomunali (17,5 mq/abitante), sia tuttora valida e vada rispettata, portando così il totale da verificare a (18 + 17,5 =) 35,5 mq/abitante. Ma soprattutto, la legge regionale non richiede solo il rispetto delle dotazioni minime, chiede invece ai PGT di fare verifiche sulla effettiva domanda di servizi da parte dei residenti, degli addetti, della popolazione gravitante, ecc.; di decidere quindi quale sia le dotazioni ottimali per una città (ad esempio valutando specificità locali quali la prossimità della città a sistemi naturali quali mare, lago, fiume, collina, ecc.), e solo dopo verificare che queste rispettino requisiti minimi. Ora, da semplice cittadino milanese, è facile verificare che l’attuale dotazione di servizi in alcuni casi non è sufficiente: asili nido introvabili, piscine strapiene, code per prestazioni mediche ospedaliere, campetti di calcio lontanissimi, giri infiniti per parcheggiare: certo la città non è priva di servizi, ma sono sufficienti? Per fortuna mari e monti sono vicini, ma nel periodo di Covid, quando non si poteva uscire dai confini comunali, è capitato addirittura di vedere intere famiglie fare due passi nei campi agricoli, forse perché i parchi pubblici non erano sufficienti? Ci si aspetterebbe valutazioni sul tema all’interno del PGT, dove invece sono stranamente assenti.

L’approccio puramente normativo tende insomma un po’ a perdere il contatto con la realtà, che è quello che conta: i servizi sono sufficienti? Vanno bene anche in prospettiva per i cittadini?

C’è infine l’approccio pragmatico, iperpolitico: i rappresentanti pubblici si siedono al tavolo con i portatori di interessi, le dotazioni di servizio che escono dal confronto sono quelle giuste. È un approccio che potremmo chiamare anche “tautologico”, perché non ammette replica: ciò che è reale è razionale – e morta lì.

C’è invece da chiedersi: se i risultati sono questi, chi è che si siede a questi tavoli? Che mandato hanno, che competenze? Davvero i costruttori edili rappresentano tutto il mondo immobiliare, davvero Assessori e funzionari comunali (non eletti) la cittadinanza? Basti vedere la sottovalutazione fatta in PGT di altri temi, come quello della domanda abitativa non solvibile, pur in presenza di dati che dimostravano il contrario, per dimostrare che probabilmente non è così, e che quindi il problema sta nel sistema decisionale. In teoria i piani regolatori (variamente denominati) vengono decisi dal Consiglio Comunale (eletto) sulla base anche delle osservazioni e dei suggerimenti presentati dai cittadini. Ma sappiamo tutti bene che non è esattamente così, i PGT arrivano in Consiglio già blindati, prendere o lasciare, e le osservazioni a mala pena vengono lette (spesso manca addirittura il riassunto e la risposta motivata). Forse varrebbe la pena di farci una riflessione.

Gregorio Praderio

(1) delibera CC n. 9/1997 (monetizzazione standard) – relazione

(2) PGT 2012 (DdP all. 2 pag. 61)

(3) dati desunti dalla relazione della commissione consiliare di indagine conoscitiva sul Piano Casa del marzo 1987

(4) delibera CC n. 147/95

(5) delibera CC n. 48/2000. È da notare che con la nuova definizione di SL contenuta nel Regolamento Edilizio approvato nel 1999 a parità di SL corrispondeva una superficie edificata maggiore.

(6) LR 31/2014 art. 2.1.b)

(7) non bisogna nascondersi che contro tale approccio è abbastanza diffuso un convincimento, che potremmo chiamare “economico”, secondo cui la finanza pubblica non sarebbe in grado di reggere la realizzazione e la gestione di quote elevate di servizi, se non tramite una maggiore tassazione delle attività immobiliari. Più in generale, c’è chi ritiene che la realizzazione di servizi pubblici fuori mercato vada a scapito delle relative attività private: una buona dotazione di parcheggi pubblici ad esempio renderebbe poco remunerativo la realizzazione di parcheggi privati – e, secondo lo storico detto attribuito a Luigi Einaudi “se uno sposa la serva, diminuisce il PIL”, meglio che tutte le attività facciano parte del ciclo economico. I piani regolatori secondo questo approccio non dovrebbero quindi occuparsi di nominare o localizzare neanche di massima i servizi mancanti – posizione peraltro che sembra sposata dal PGT di Milano, che infatti non localizza neanche di massima nessun nuovo servizio costruito -, perché ci penserà il mercato a realizzarli, così come per le altre funzioni. La questione esula dalla limitate finalità di questa nota; ci si limita però a notare che nelle città dove le istituzioni non realizzano servizi, questi spesso semplicemente non ci sono (la loro rimuneratività è inferiore a quella di altre attività, e se sono remunerativi, il più delle volte non sono accessibili a buona parte della popolazione) e questo spesso finisce per diminuire l’attrattività della città – le attività economiche preferiscono insediarsi dove i servizi invece ci sono, c’è manodopera istruita, i dipendenti trovano la zona accogliente per le loro famiglie, ecc., ecc.

(8) DM 1444/68 art. 4.5



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  1. Sergio BrennaContributo di grandissima utilità ed interesse e che generalizza alla dimensione dell'intera area comunale e ai PGT che l'hanno governata i problemi sollevati dai cittadini che hanno fatto ricorsi amministrativi contro le trasformazioni urbane di Citylife, Porta Nuova e ora ex scali ferroviari, nelle quali gli indici appaiono fissati senza alcun criterio di razionalità urbanistico-insediativa (che densità edilizia e che altezze avranno gli edifici ?, quanti spazi pubblici si possono effettivamente realizzare ?, ecc.), ma solo in base alle aspettative di rendita fondiario-immobiliare delle proprietà. Con It= 1,20/1,15/1,00/0,88-0,85 (ex CD-Porta Nuova, ex Fiera Citylife, PII vari, ex scali Farini e Romana, ecc.) per realizzare i 35,5 mq/abitante minimi ex DM 1444/68 (calcolando anche la popolazione indotta e fluttuante) non basta l'intera area e bisogna "obbligatoriamente" monetizzare (spesso a prezzo "vile": a Citylife 300 €/mq per tenersi edificabili aree pagate 2.000 €/mq a Fondazione Fiera) una gran parte degli spazi pubblici dovuti. La trasformazione degli indici di spazi pubblici per servizi e verde da mq/abitante a % di SL avviene con criteri incongrui (si vedano le note di Praderio sulle dimensioni medie del abitazioni) che non rispettano i minimi usando falsamente il 100 % di SL, mentre servirebbe ben oltre!
    15 settembre 2021 • 10:05Rispondi
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